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Per
Rough Trade vale lo stesso discorso almeno per quanto concerne
il modo di "trattare" la musica rock. Dall'etichetta inglese
di Geoff Travis, trasformatasi da negozio di dischi a label "alternativa",
sono infatti passate band che hanno lasciato un segno nel panorama rock
dell'ultimo ventennio (si pensi all'influenza degli Smiths),
oltre a decine di ottime band fra le quali citiamo i dai noi amati Stiff
Little Fingers oppure gli elettronici e originali Cabaret Voltaire.
Adesso Travis ci prova con gli Strokes (buona, forse fin troppo,
la prima) e The Libertines, gruppo di giovani londinesi prodotti
dall'ex Clash Mick Jones. L'occasione offerta dal party è
quindi estremamente allettante per poter dare una prima valutazione
live a questa band lanciata in grande stile dai media britannici.
Arriviamo
(io, Enrico e Silvio) al Propaganda intorno alle 22,30 e troviamo già
una buona presenza di gente (ipotizziamo circa 300 persone), destinata
a crescere di lì ad un ora. All'ingresso distribuiscono gratuitamente
magliette della Rough Trade (purtroppo taglia media, buona solo per
mio figlio, sich) e poster raffiguranti i Clash relativi ad un numero
speciale del Mucchio Selvaggio (autunno 2001). Intorno alle 23,15 ,
durante la presentazione della serata da parte di un giornalista del
Mucchio, "irrompono" sul palco i Libertines, che mostrano
subito un Pete Doherty (uno dei frontman) parecchio "su di giri".
L'attacco è con "Vertigo" il brano che apre il disco
d'esordio della band (vedi alla pagina recensioni/dischi),
subito inficiato (sarà una costante del concerto) dalla qualità
del suono. Non abbiamo idea delle condizioni nelle quali la band ha
effettuato il sound check, ma il risultato che ne esce è deprimente
: voci confuse, basso quasi inesistente, suoni in genere compressi e
poco "chiari". Nonostante l'handicap, il gruppo si muove con
buona sicurezza anche nella successiva e grintosa "Up The Bracket",
in cui l'andamento ciondolante di Doherty rischia il "clash"
con l'altro chitarrista e cantante Carl Barat. A proposito : le note
di merito maggiori vanno certamente a Barat con il suo lavoro "totale"
alla chitarra (compresi riff e tessiture varie) ed al batterista dotato
di un drumming preciso e potente. Pete Doherty ( jeans stracciati e
giubbotto di pelle) è invece il "personaggio" del gruppo,
dalla voce arrabbiata e dal tasso alcolico incontrollabile, a prima
vista sincero nei suoi atteggiamenti punkeggianti che comprendono anche
la distruzione di una chitarra dopo, l'ennesima, rottura di una corda.
Incoraggiata dal pubblico la band prosegue il gig, inserendo anche due
brani inediti non particolarmente esaltanti, insieme alle più
note "Death on the stairs", "Time For Heroes", "Boys
in the band" ,"Horrors Show" e "I Get Along",
proponendo in modo efficace, energico e deciso la loro miscela di brit-rock
sconfinante nel punk 77. Un bis di due canzoni chiude il set di circa
un'ora scandito da diverse semi-interruzioni nate da "complicazioni
tecnico-fisiche". Mauro Zaccuri |
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