JOE STRUMMER 21/8/1952 - 22/12/2002 "Walking it like he talked it" |
|
|
|
Le agenzie dicono che Joe Strummer, 50 anni, è stato trovato morto due giorni fa, nella sua casa a Broomfield (Somerset, England), forse per attacco cardiaco (lo deciderà un'autopsia). Se esistessero ancora le fanzine punk racconterebbero la loro zerità, col tono militante e per sempre giovane della controinformazione fotocopiata : Joe se n'è andato per rovinare il natale all'Inghilterra guerrafondaia di Blair e per impedire che i Clash prima o poi si riunissero, spinti dalla calamita (o calamità ?) dell'eterno revival e/o dal richiamo di un ingaggio miliardario, magari in occasione dell'ammissione, il 10 marzo 2003, nella Rock and Roll Hall of Fame. Hey Joe, questo Natale (ri)parleranno del punk, confondendolo con le birichinate di Green Day & Co. Parleranno di te, e di zio Mick Jones, e di zio Paul Simonon, e di zio Topper Headon, e dei Sex Pistols e di tutti gli altri kids d'un tempo, forse ricorderanno persino London SS e 101'ers. Hey Joe, i soliti soloni diranno che eri l'ennesimo borghese, anzi, figlio di un diplomatico, nato ad Ankara per caso, trasformato in ribelle senza pausa, ma i cd dei ragazzi di ieri e di oggi suoneranno "White Riot", "Radio Clash", "London Calling" e "Washington Bullets" (ri)scoprendo quanta attualità e quanta rabbia mai sopita si nasconda nel sogno no global di quelle canzoni che mescolarono la rabbia del sottoproletariato bianco con quella dei ghetti neri. Hey Joe come spiegare a mio figlio chi eri, o almeno chi sei stato per me e per quanti negli inni riottosi scritti con zio Mick rinvennero l'ultimo disperato tentativo del rock di evitare la normalizzazione e la museificazione, combinando il sesso con la sovversione e lo stile? Hey Joe, che parole usare per raccontargli perché gli integralisti anarcopunk vi scomunicarono quando firmaste per una multinazionale del disco? O di quel vostro primo concerto italiano, nel giugno 1980 in piazza Maggiore, Bologna, con Topper Headon che non arrivava e veniva sostituito dal batterista dei Cafè Caracas, la band di Raffaele Refoli, alias Raf ? O di quando nell'84 la seconda line-up dei Clash si esibiva a Cava dei Tirreni e tu ne approfittasti per fare il turista a Napoli tra i guaglioni sconvolti dal tuo look mohicano ? Hey
Joe, forse ora qualcuno ti chiederà di metter su una band con Sid
Vicious al basso o di duettare con Ian Curtis o Kurt Cobain : siamo tutti
orfani di qualcuno, è difficile ammettere che siamo soprattutto
orfani di noi stessi, dei capelli e dei sogni perduti, quei sogni stretti
nei solchi di quegli LP consumati, ricomprati e riconsumati su Cd, anche
se il profumo del vinile è un'altra cosa : "The Clash"
(1977), ovvero l'urlo, l'esplosione nichilista ma non troppo, il punky
reggae party, il suono della "Garageland" che invogliava mezzo
mondo ad uscire fuori dai garage per suonare, non importa come, e urlare
il declino dell'impero occidentale; "Give'em enough rope" ('78),
duro, compatto e da rivalutare; il doppio "London Calling" ('79),
uno dei dischi da portare con sé sulla classica isola deserta,
con la copertina che cita l'esordio di Presley e una cosmogonia rock'n'roll
tra guerre civili spagnole, rivolte inglesi, incubi americani, profumi
giamaicani; il triplo "Sandinista! ('80), capolavoro terzomondista,
romantico, guerrigliero ed apripista della world music prossima ventura
con quel cocktail di ingredienti della tradizione bianca (r'n'r, punk,
surf, valzer, marce), ma soprattutto nera (reggae, funky,disco,jazz,ritmi
latinoamericani, rap) ; "Combat Rock" ('82), sospeso fra rap,
atmosfere dilatate, Allen Ginsberg e "Rock The Casbah". *
Federico Vacalebre è giornalista del Mattino ed autore del libro
"Clash" |
|