Band
partecipanti e brani eseguiti :
The
Gang
: Career Opportunities (versione acustica), Bandito Senza Tempo
(Gang), “Garageland” (versione acustica)
Yo Yo Mundi : Train in Vain – Lost
in The Supermarket
Klasse Kriminale : Garageland (version)–
Stay Free – Police and Thieves – White Riot
Ratoblanco : Armagideon Time – Brand
New Cadillac – Penso a Te (Ratoblanco) – London Calling –
Janie Jones
Malavida : Straight To Hell (version) Wrong’Em’Boyo
– Junco Partner – Grazie (Malavida)
Klaxon : I’m So Bored With the USA
– Garageland – Centocelle City Rockers (Klaxon) – Libero
(Klaxon) – Police On My Back
The Stab : Clash City Rockers – Hate
& War – Bankrobber– Un’altra primavera (Stab) –
Punk 77 (Stab)
Linea : Police and Thieves – Train
in Vain – Police On My Back – Ossigeno (Linea)
Bankrobbers : Safe European Home –
Somebody Got Murdered – Tommy Gun – Complete Control
Radio Brixton : Rudie Can’t Fail –
White Man in Hammersmith Palais – Guns Of Brixton – Heaven
Is Strummin’ (Radio Brixton) – Death Or Glory – Coma
Girl
Clampdown : 1977 – Gates Of The West
– City Of The Dead – Pressure Drop – Clampdown
Tupamaros : Stay Free (versione acustica)
Gang + Tupamaros + ospiti : I Fought The Law
Finale con le band sul palco : Redemption Song
Organizzazione
: Mauro Zaccuri (www.radioclash.it) – Fulvio Devil Pinto (www.punkadeka.it)
Dj
:
Vanessa , Gabrio.
Crew
:
Ilaria, Daniele, Giampiero, Claudio, Silvio, Gianmarco.
Intro di Mauro Zaccuri:
Lasciateci manifestare la grande soddisfazione che abbiamo provato nel
rivivere l’atmosfera d’altri tempi che aleggiava all’Estragon
la sera del 19 dicembre. Non è così scontato, e voi lo sapete,
ritrovare tutti insieme, e senza forzature, elementi come partecipazione,
passione, spontaneità.
A Bologna, per Joe Strummer, questo è successo. E’ stato
una serata nella quale “ci si sentiva bene”, come ci ha confidato
un caro amico del sito. Ecco “sentirsi bene”, essere a proprio
agio, fra gente con le tue stesse radici e le tue stesse passioni e convinzioni.
Alla base di tutto c’era la voglia di ricordare Joe, sullo sfondo
la voglia di riaggregare, di ricompattare, di ritrovarsi. Il messaggio
è passato, Joe si meritava una notte così, si merita migliaia
di notti così. Siamo orgogliosi di quanto è stato fatto,
frutto di tanto impegno e di qualche sacrificio personale. Ma ne è
valsa la pena, eccome.
Il futuro non è scritto amici, proveremo sempre, con caparbietà,
insieme, a fare la nostra la nostra piccola parte. Grazie di cuore a tutti,
vi vogliamo bene.
The
Gang |
Yo
Yo Mundi
|
Mauro
Zaccuri (Radioclash.it) & Fulvio Devil Pinto (Punkadeka.it)
Non
ci sarà la classica recensione per questa serata. Di seguito troverete,
oltre ad una serie di fotografie (grazie in particolare a Marco dei Ratoblanco)
, le brevi testimonianze di coloro che, a vario titolo, hanno partecipato
all’evento. Proseguendo potrete leggere una lunga e ricca (di contenuti)
intervista realizzata ai Gang, una band per la quale abbiamo sempre nutrito
grande stima, come ormai saprete, una stima che se possibile è
aumentata dopo averli conosciuti di persona (capita di rado). Ci sembrava
giusto così. L’intervista è stata realizzata in esclusiva
da Stefano Parolo (grazie di cuore Stè), ed è iniziata a
Pontremoli terminando proprio poco prima dell'inizio del tributo a Joe.
Non si parlerà solo di Clash e Joe Strummer, e forse la ricchezza
dell’intervista sta proprio in questo. Al suo interno troverete
diversi riferimenti culturali, collegamenti e riflessioni che meritano
di sicuro un approfondimento. Buona lettura.
ps : ci scusiamo con le band di cui non abbiamo recuperato fotografie
del tributo. Sempre pronti a riparare nel caso giungesse materiale fotografico
in tal senso.
Klasse
Kriminale
|
Ratoblanco
|
“La
serata è stata molto bella ed emozionante, erano anni che non vedevo
una serata così piena di imput positivi, e , senza nessuna paranoia,
ogni gruppo ha dato il meglio. Mi sembra di aver colto che tutti eravamo
nel feeling giusto, conoscere poi altre band, che non conoscevo, è
sempre cosa positiva. Poi anche i ragazzi sotto il palco hanno dato una
grande prova, con il loro calore ed entusiasmo. Insomma è stato
bellissimo. Grazie a tutti voi”.
Davide – The Stab
“Sarò
sincero, non pensavo fosse possibile percepire questa compattezza tra
gruppi : intendiamoci, non avevo dubbi sulla passione clashiana di ognuno,
ma queste situazioni, a volte, creano scale gerarchiche poco simpatiche.
A volte, appunto, non questa volta. Abbiamo richiamato Joe indietro al
suo posto di comando, gli abbiamo detto a chiare lettere che senza il
suo esistere, saremmo stati tutti più banali. Penso che lui ci
abbia sentito. Grande serata”
Alessandro – Radio Brixton
“Tutti
erano felici di partecipare, ognuno con il proprio stile, ognuno con quello
che aveva dentro. Una grandissima serata, una grande esperienza. Joe non
verrà mai dimenticato”.
Silvio - Linea
“C’era
una bella atmosfera e molti gruppi validi… mi ha fatto molto piacere
la presenza anche di persone come Anthony Davie, da Londra. Anche lui,
come molti altri, cercava di rivivere alcune emozioni insieme a coloro
che ognuno di noi considera “la sua gente”.
Marco Mezzetti – Ratoblanco
“Non
avevo una Band per il live sino a qualche settimana prima del 19 dicembre
2004, sara’ stata la coincidenza? Credo che Strummer ci ha messo
la sua mano come del resto in molte altre occasioni della mia vita e grazie
a Strummer ora sono a garageland con la mia nuova Band. Grazie Joe”
Marco Balestrino – Klasse Kriminale
“E’
stato un piacere partecipare alla serata… sapete, i concerti oggi
sono tutta un’altra cosa e non c’è più quello
spirito di una volta”.
Vanessa - Djlj
“Io
e Nyle siamo stati davvero bene a Bologna, tutte le band hanno suonato
con passione e professionalità, sono certo che Joe sarebbe stato
onorato dalla partecipazione che si notava in questo raduno”
Anthony Davie, autore di “Vision Of A Homeland
“Cari
amici, solo una breve nota per dirvi davvero grazie per la vostra recente
donazione a Strummerville. Guardiamo al prossimo anno con fiducia circa
gli sviluppi delle nostre iniziative, in particolare stiamo lavorando
per far sì che la prima presenza della fondazione sia a Bridgewater,
Somerset, proprio nel paese dove abitava Joe. Ancora grazie.”
Paula – Strummerville
Linea
|
Malavida |
Prefazione
all’intervista di: Fulvio Devil Pinto
Se
non conoscete i GANG questa è una ottima occasione per farlo e
vi consiglio un accurato ascolto dai loro primi lavori sino alle produzioni
su major ed oltre ancora.
Hanno lasciato da tempo la strada del controllo manageriale e sono tornati
sulla strada anche se a dire il vero non l’hanno MAI lasciata ed
il fatto che gli sia costata e gli costano ancora tutte le vicende trascorse
a causa del loro essere Banditi senza tempo, cani sciolti, fermi idealisti,
convinti comunisti ma di un comunismo reale, fin troppo ideale questi
tempi duri.
Personalmente sara’ che ultimamente la vita mi sta sempre piu’
accostando ed avvicinando a gente VERA.
Sara’ che scopro ogni giorno soprusi piu’ o meno evidenti,
che vedo gente sempre piu’ collegata per un posto in tavola e non
per una reale necessita’ comune di creare per creare senza alcun
fine o interesse…sara’ che nel PUNK (ma non in tutto il movimento)
c’è ancora gente che crede che uniti si vince…sara’
perché sono stufo di chi usa un ideale e se ne fa scudo per celare
la sua vera mira che alla fine è sempre la solita vecchia “Poltrona”…mi
sento Bandito senza tempo anche io.
Intervistatore di eccelenza per questa chiacchierata con Sandro e Marino
Severini è Stefano, ovviamente anche lui Un bandito senza tempo
come tutti coloro che hanno nel cuore questa NOSTRA BAND che merita Appoggio
e per i piu’ giovani, ai Punk, dico: Se amate i Clash non potrete
non Amare i Gang.
INTERVISTA a Marino e Sandro Severini, Ovvero
I GANG – Banditi senza tempo 18-19 Dicembre 2004
- di: Stefano Parolo
D:
All’esordio la critica vi ha definito i Clash italiani, addirittura
qualcuno si è spinto oltre e vi ha battezzato tout-court i nuovi
Clash. Ad onor del vero voi non avete mai fatto mistero di esservi ispirati
e di avere un gran debito di riconoscenza verso i Clash , che sono stati
sicuramente la più grande band di tutti i tempi. Ma, quanto vi
è pesato questo, diciamo, ”fardello”?
Marino: Ma non ci è pesato per niente, dico la
verità Stè, non ci è mai pesato. Anzi, all’inizio
è stato anche un gran bel passaporto, che ci ha permesso di entrare
in contatto subito, contatto ravvicinato, con tutta una razza in fuga
in quegli anni lì, cioè, chi nei Clash aveva trovato la
scintilla, quella che aveva fatto poi pian piano bruciare tutta la prateria.
Per cui ti dico la verità, forse poi la stampa, la critica, ecc.ecc.
aveva un po’ rotto i coglioni con questa storia dei Clash italiani,
però all’inizio e ribadisco all’inizio, è stato
veramente un gran bel passaporto.
Marino
Severini
|
Tutti sul palco: I Fought The Law |
D:
Dopo i primi tre dischi in inglese, considerati dai soloni della critica
musicale punk, post-punk, chiamateli come volete, perché ancora
oggi c’è questa specie di “polizia” del punk,
così come la chiamava JOE, che decide cosa è punk e cosa
invece non è punk. Il punk, sostanzialmente è libertà
di essere e di esprimersi nel miglior modo possibile. Chiusa questa parentesi
polemica, dicevamo che con “Le radici e le ali”, arriva la
svolta. Disco cantato in italiano, un po’ un ritorno alle origini,
alle radici se preferite. Quali sono stati i motivi che vi hanno portato
ad imprimere una svolta così repentina al vostro percorso artistico?
Marino: Ma, guarda, al di là dei guardiani dell’ortodossia
punk, e di tutti gli stili, poiché questo avviene anche a distanza
di tempo, io penso che come tutto il rock&roll, quella del punk sia
stata una grande stagione epica. Laddove le rivolte c’erano, c’erano
le storie, quindi il conflitto c’era e ci sono stati i grandi cantori,
i “profeti” in particolare ed una spanna sopra tutto e tutti,
Joe Strummer ed i Clash. Invece, in anni come quelli che stiamo vivendo
c’è più stanchezza. Il conflitto non c’è,
quindi manca il motore che fa muovere la cultura, l’arte in generale
ed anche quindi la spinta del r&r viene a mancare. Quindi c’è
un sentimento anche di nostalgia rispetto a quel tempo, rispetto alle
grandi band, ai grandi progetti ecc. ecc. Il progetto de “le radici
e le ali”, nasce, in se stesso, dopo parecchi anni che noi siamo
in giro per l’Italia, quindi dopo incontri, scontri, confronti ecc.
ecc. e pian piano nasce l’esigenza di ritrovare la propria identità
per far sì che anche il r&r, o anche il punk-rock, anche quella
stagione lì trovasse una organicità che secondo noi mancava
rispetto a quegli anni, e che quindi potesse epicizzare, cantandole, le
storie incontrate per strada. Quindi, inizialmente pian pianino, poi sempre
più velocemente anche attraverso una serie di incontri privilegiati,
come con Sandro Portelli, Max Stefani (Il Mucchio), Liperi, Ambrogio Sparagna
grande organettista e tanti altri. Dicevo, tutti questi incontri, ci fanno
maturare l'idea di un progetto musicale che poi appunto troverà
compimento con “Le radici e le ali”. Altra cosa né
indifferente né secondaria, è che per la prima volta arrivano
“i soldi”… Cioè, c’è un contratto
con la CGD che ci permette di guardare al futuro, dal punto di vista discografico,
in tempi medio-lunghi. Prima di ciò, era tutto estremamente precario
e conseguentemente frammentario. Puoi ben comprendere che per noi era
una situazione ideale, infatti “le radici e le ali” parte
già con un progetto complessivo di tre dischi, che si evolve in
seguito con “Storie d’Italia” e “Una volta per
sempre”. Il cantare il ritorno, insomma. Dall’esilio al ritorno,
infatti, non a caso il primo pezzo di “Le radici e le ali”
è Esilio, e l’ultimo pezzo di “Una volta per sempre”
è il Ritorno, solo che dall’inizio del viaggio sono passati
6 anni e tre dischi. Tutto un viaggio, una sorta di Odissea in musica,
insomma il viaggio è sempre lo stesso.
D:
Vuoi dire in pratica, che ritornate alle vostre radici, sostanzialmente
è la riscoperta della musica italiana filtrata attraverso le esperienze…..
Marino (interrompe): Ti rispondo con una massima Zen,
che Balducci ,un prete, citava spesso. Lui diceva che quando uno è
piccolo sa bene cosa sono le montagne, cos’è un fiume, cos’è
l’acqua. Poi c’è un periodo, che è quello adolescenziale,
dove uno perde la conoscenza rispetto a quello che è acqua, che
è fiume, che è montagna. E lì entra in crisi, e c’è
in più un atteggiamento di negazione, anche nei confronti di se
stesso, della propria identità perché quell’orizzonte
chiude tutto. Poi c’è la terza fase che è la saggezza,
legata all’incontro, dove l’orizzonte, dapprima tutto chiuso,
diventa invece un orizzonte che apre, cioè il limite e la soglia
che sono in realtà lo stesso punto, fa sì che si possa aprire
la porta ed andare oltre. Io penso che sia stato questo, soprattutto la
prima parte del viaggio, cioè i tre dischi in inglese fortemente
influenzati dai Clash, del percorso dei Gang. Sono stati la riscoperta
che quell’orizzonte, rispetto ad un’identità ritrovata,
permetteva, non la chiusura, ma bensì l’espansione al di
là dell’orizzonte. E’ stata questa la scommessa che
da parte nostra, e lo rivendichiamo con orgoglio, consideriamo vinta sotto
tutti i punti di vista soprattutto, ed è quello che ci importa
di più, sotto l’aspetto umano e personale.
D:
Dopo questa, chiamiamola “trilogia”, si torna ad un disco
di storie e che musicalmente suona più “cattivo”, diciamo…Un
disco estremamente politico, non che gli altri non lo siano, anzi ma del
rapporto tra i Gang e la politica parleremo dopo. “Fuori dal controllo”,
dicevo, segna un confine netto, è uno stacco netto rispetto ai
tre dischi che lo hanno preceduto, il ritorno a sonorità in parte
Clash, poi prosegue con “Controverso” che ha un tiro molto
Pearl Jam. Volete parlarmi di questi due “lavori”?
Marino: Ma gli ultimi 2 dischi sono proprio il ritorno
a casa con una consapevolezza ritrovata nel garage di casa. Quindi una
dimensione che è quella della band e da lì poi da lì
parte, se non proprio compiutamente con “Fuori dal controllo”,
sicuramente con “Controverso” l’idea di ritornare alla
formazione, non dico del quartiere, del borgo o del paese, ma una dimensione
che è quella del garage. Del gruppo che prova nel garage di casa,
e da lì ricomincia raccontando le storie che trova e raccoglie
in giro, con delle sonorità molto “elementari”, cioè
2 chitarre basso e batteria. Insomma la formazione classica. E’
come tornare un po’ alla Divina Commedia, all’Odissea, all’Iliade,
cioè tornare ai classici, al Don Chisciotte ecc. ecc, con tutta
una serie di reminiscenze di vecchi amori. Che trovano anche lì
attraverso vecchie e nuove storie nuovo vigore, nuova energia. Ed evidentemente
trovano anche nuove aggregazioni, perché di fatto sono 2 dischi
che ci permettono un contatto con generazioni nuove, anche con chi non
conosceva neanche “le radici e le ali” o addirittura neanche
i Clash del primo periodo, con chi non sapeva neanche chi fossero i fratelli
Cervi, insomma nuove generazioni, nuove energie.
Riprendiamo
la nostra chiacchierata all’Estragon di Bologna, nel backstage del
“Joe Strummer tribute” fortemente voluto da Mauro Zaccuri
e Fulvio Pinto. Naturalmente Marino e Sandro non potevano mancare.
D: Il vostro rapporto, intendo come Gang, con la politica.
Voi che siete considerati il gruppo più politicizzato e “partigiano”
del panorama musicale italiano…
Marino (interrompe): Ma guarda è molto semplice
il discorso. L’anello di congiunzione tra noi ed il punk rock, quindi
parliamo di un inizio, tra la scuola inglese, che non è r&r
ma rock puro e semplice che è una cosa molto diversa. Il rock nasce
in Inghilterra attorno agli anni ’60 e l’anello di congiunzione
è Gramsci! Non perché lo diciamo noi, che siamo italiani,
lo dicono loro, gli inglesi, che notoriamente hanno frequentato le High
Schools. Sanno benissimo che tutta la sociologia legata alle nuove aggregazioni
giovanili, nuove o vecchie che siano, cioè sono gli stili, la cultura
della strada. I mods, gli skin, i punk ecc. i teddy boys, che precedono
tutto il resto… è una cultura importantissima e c’è
già in Gramsci, nei quaderni, ma soprattutto in un capitolo che
è “americanismo e fordismo” la spiegazione a tutto
questo.Quando la tradizione non offre più gli strumenti in termini
di emancipazione, che fa? Semplice! Prende dei modelli che vengono da
altre parti. Nel caso specifico, così come dell’Inghilterra
ma anche dell’Italia, ecco allora gli anni ’50 con la grande
rivoluzione del r&r che viene dagli Usa. Il nostro rapporto con la
grande epica del punk rock passa soprattutto attraverso il “profeta”
più che Johnny Rotten, Joe Strummer, naturalmente, è proprio
questo: il fatto che il r&r apre le porte dell’occidente, cioè
di una cultura esclusivamente occidentale, il punk rock, invece attraverso
i Clash e quindi a Joe Strummer, le apre alla grande contaminazione derivante
dall’incontro con altre culture.
Questo è il grande miracolo del punk rock, e dei Clash in particolare,
perché si riparte dalle storie del quartiere, da “white riot”,
quindi dal confronto tra le minoranze giamaicane e inglesi e si riporta
il tutto nel contesto del villaggio globale fino all’ultimo grande
capolavoro che è “Combat rock”, non a caso ancora dei
Clash. Penso che su questo ci vorranno 1000/20000 anni per apprendere
la lezione però… insomma dei segnali comunque positivi rispetto
a dopo “Sandinista” a dopo i grandi capolavori, anche a “London
calling” il confronto con la cultura del r&r americano, penso
che siano ancora materia di grande approfondimento e penso che quei dischi
lì, intendo tutti quelli dei Clash, siano immortali. Perché
senza dubbio non hanno cercato l’universalità, torno ancora
una volta su un concetto di organicità gramsciana rispetto all’intellettuale,
al delegato di fabbrica, al pittore, al musicista ecc. Io penso che quelle
storie di quei dischi siano delle storie eterne e quindi non universali.
Ed i Clash sono stati proprio per questo eterni fin dall’inizio,
perché hanno raccontato la stessa identica storia, che però
è vista dalla prospettiva più vera, che è quella
della strada, dell’ultimo degli ultimi, della rivolta e del conflitto.
Quindi fra 1000 anni noi potremo, se vorremo capire i tempi di oggi attraverso
le canzoni. Da lì riuscire ad entrare e quindi capire la vera storia
di fine anni ’90.
D:
L’ultimo lavoro, il disco con “La Macina” – “Nel
tempo e oltre, cantando” – riprende pezzi della tradizione
popolare marchigiana e non solo, e li rilegge in chiave rock, mentre sono
ripresi e riletti in chiave popolare alcuni pezzi, chiamiamoli cavalli
di battaglia, dei Gang. Inoltre dal vivo fate anche altri pezzi che su
disco non ci sono. Voi insistete molto, negli ultimi anni quasi ossessivamente,
sul tema della memoria, sulla conservazione della memoria, sulla necessità
di avere la percezione esatta di cosa sia la nostra storia attraverso
la memoria. Volete dirmi il perché di questa insistenza?
Marino: Io penso che la memoria… la memoria prima
di tutto è la ricchezza più profonda e più grande
di un paese, di un’identità, ma non solo nazionale, identità
legata anche al villaggio, al borgo, all’aggregazione umana più
semplice. Io penso che senza memoria non ci sia la possibilità
di conquistare, non forse conquistare non è la parola giusta perché
è brutta, ecco diciamo di partecipare all’edificazione del
futuro, senza memoria non c’è possibilità neanche
di edificare la democrazia. In tempi in cui la memoria viene attaccata
e sappiamo benissimo perché, … perché i vincitori
tendono sempre a riscrivere la storia come gli fa più comodo. Invece,
i vinti, non hanno tanto la storia, quella con la S maiuscola, quanto
le storie, che è una cosa diversa, molto ma molto diversa. Portelli
su questo concetto ci ha scritto centinaia e centinaia di pagine. La Storia
è vista attraverso tante storie e conseguentemente ti dà
una visione diversa della Storia, che è l’unico modo possibile
di mantenere integra un’identità e passarla quindi alle generazioni
future. In questo gioco tra Storia e storie, si innesta il teme della
memoria. La memoria, e lo dico ormai da tanti e tanti anni, ma non lo
dico solo io lo dice anche De Bernardinis in teatro, e tanti tanti altri
attraverso le loro espressività artistiche. Dicevo, io non penso
che la memoria stia nei musei, a casa dei professori di storia o dentro
la “memoria” di qualche computer. Penso che la memoria sia
sempre quel solito vaso dove si possono gettare tanti semi, che sono le
sensazioni, i ricordi ma soprattutto le emozioni. Sottolineo emozioni
perché questa è la profonda differenza tra il fare canzoni,
scrivere libri, fare cinema e gli storici che insegnano all’università
o alle scuole superiori, insomma quelli che per mestiere fanno i professori
di storia. Senza emozioni non riuscirebbe a passare il messaggio della
memoria e quindi non ci sarebbe un’altra “primavera”
e quei semi resterebbero lì senza fiorire mai. Mentre invece, come
dice anche Alcide Cervi, di qualsiasi pianta le foglie cadono, i rami
si seccano, anche il tronco può essere attaccato dal fulmine, però
il più importante, il seme, resta sempre. Il seme però,
va annaffiato continuamente, ecco che l’emozione è l’acqua
ed il concime che sono necessari a farlo rifiorire. Poi, io non so quali
saranno i prossimi rami, come sarà la prossima stagione, le foglie
come saranno, quanti e quali saranno i frutti che cresceranno, questi
sono cazzi di quelli che verranno; però intanto il compito nostro
che passiamo in tempi bui come quelli che stiamo vivendo, tempi di aridità
e grande siccità, il nostro compito è di innaffiare questo
seme.
D:
Nei testi dei Gang, si incontra spesso la figura del bandito, ecco questo
bandito potrebbe essere inteso come il fuorilegge, colui che si pone fuori
dalle “regole costituite”, ma forse è un’altra
l’immagine che voi volete dare utilizzando questa figura.
Marino: Innanzitutto è una figura romantica. Quindi
c’è un grande affetto ed una grande emozione da parte di
una cultura che rispetto alle istituzioni non si è mai fidata più
di tanto. Perché le istituzioni, o comunque i governati, sono stati
sempre, rispetto a determinate categorie sociali…, bastonatori,
insomma le hanno sempre sfruttate. Io penso che, anche sotto questo punto
di vista, il comunismo stesso storicamente non è che è stato
molto gentile ed onesto nei confronti di chi ha versato il sangue o è
stato massacrato, ma questo accade anche nella rivoluzione francese, anche
l’illuminismo ed anche la borghesia, nel momento in cui non gli
sono servite più queste grandi masse, questa carne da macello,
sono state, per usare un eufemismo, abbandonate al loro destino. Quindi
il bandito resta comunque, nonostante le contraddizioni intrinseche, una
figura mitologica. Proprio perché la contraddizione esiste per
forza di cose sempre e comunque nelle figure dei banditi, non sono delle
figure innocenti e pure. Ma, perché vivono al confine tra il bene
ed il male, sono costretti a farlo. Vivono in clandestinità laddove
il bene ed il male rispetto alla superficie, non è mai una fotografia
in bianco e nero, bella nitida e precisa. Nei loro stili di vita è
possibile sentire il profumo di qualcosa di diverso, di altro..Sono quindi
delle figure che vanno tenute in vita, riaggiornandole, come ad esempio
nel caso nostro la scommessa di far sì che il bandito Trovarelli,
che è veramente esistito agli inizi dell’800, e che per inciso
era sostanzialmente un disertore, poi oggi come oggi diventa l’ultimo
della fila all’ufficio collocamento, un disgraziato qualsiasi che
è stato deluso anche dal 25 aprile, dalla resistenza, dai grandi
accadimenti degli anni ’60 e ’70, e che si trova forse un
po’ solo e che magari è “consolato” da qualche
canzone, dal r&r, dal mondo del rock. Cioè, una figura un po’
profetica che annuncia, pur essendo l’ultimo degli ultimi, qualcosa
di diverso: io ci credo molto al fatto che gli ultimi saranno i primi,
anche perché gli ultimi sono, per forza di cose, già adesso
i primi perché qualcosa, di fatto che può cambiare puoi
solo sperare di trovarlo laddove c’è l’ultimo, quello
che non ha più niente da perdere.
D:
Alla categoria dei banditi, così romanticamente intesa, ascriviamo
anche il sub-comandante Marcos?
Marino: Senza dubbio! Però, attenzione, la figura
di Marcos sotto l’aspetto storico. A noi ha sempre più interessato
ed affascinato per la grande capacità di comunicare con tutto il
mondo e non solo con gli ultimi. Marcos è il primo che profetizza
un tipo di rivoluzione dove non c’è niente da conquistare,
casomai da recuperare, recuperare la terra com’era prima, un paradiso
che c’era già prima. Per lui non c’è bisogno
di cambiare, ma semplicemente di riscoprire le regole principali. C’è,
al di là di tutto, nelle sue forme comunicative un forte senso
di sacralità, cioè riesce a toccare il punto dove tutti
siamo una cosa sola. Siamo la razza umana, ma siamo anche tutto un pianeta,
tutto un universo. Io ho sempre trovato questo concetto anche nelle storie
del vecchio Antonio, nelle sue dichiarazioni contro i potenti del mondo.
Questo gli viene, per forza di cose, da una cultura india, indigena. Lui
va a scuola dagli indios per anni prima di diventare il sub-comandante
e credo che sia uno dei più grandi allievi del grande patrimonio
dei miti, cioè di coloro che erediteranno la terra, il sud america.
Noi siamo sempre stati affascinati da quella cultura, ancor prima di Che
Guevara, del Brasile di Chico Mendes. Là io ho sempre trovato un
forte senso di rapporto intimo tra l’uomo e l’universo. Questo
secondo me, è il nodo cruciale che impedisce l’apertura delle
porte dell’apocalisse, cioè finché c’è
quella dimensione lì, ebbene quella ci preserva dall’apocalisse.
Dopodichè, l’apocalisse è in atto in occidente ormai
da tanti anni, io penso che ogni soluzione proposta per un qualsiasi problema
è sempre e comunque una: la guerra! L’un contro l’altro
fin dal mattino quando ti svegli e ti butti in mezzo al traffico, oppure
quando sei in fabbrica o in ufficio. Penso che la guerra, rispetto al
mondo, sia la conseguenza dell’orrore che noi viviamo quotidianamente
e del quale non ci accorgiamo più di tanto, ormai siamo per così
dire assuefatti. Quindi non ho grandi speranze all’interno dell’occidente
per l’umanesimo, almeno così come viene rappresentato in
Europa e negli Stati Uniti. O molta speranza invece nei miti della terra
rispetto ad altri popoli che si uniscono da secoli all’orrore dell’occidente.
D:
Torniamo per un attimo a “le radici e le ali”. Quando è
arrivato il contratto, o come dite voi “i soldi”, è
stata una garanzia, una sicurezza. Oggi invece, voi – all’unisono
i due fratelli Severini: “nun c’avemo ‘na lira”
– vi autogestite. Questa situazione può crearvi delle difficoltà
nel programmare un’attività discografica che abbia delle
cadenze, dei tempi; ad esempio il vostro ultimo disco risale ormai al
2000, insomma tutti aspettiamo ‘sto disco nuovo, ma mi sa…
Marino: C’è un fatto… come dire, una
serie di concause rispetto al ritardo del nuovo disco, che è dovuto
anche alla mancanza di un rapporto contrattuale, “di lavoro”
a tempi lunghi. Però non è una questione di cattiva volontà
nostra o delle case discografiche. Il mondo della produzione dell’arte
in generale è molto cambiato. Da quando noi siamo arrivati –
era il 1989 – nel nostro caso alla CGD, c’era l’azienda
con le sue regole ed un sistema di produzione all’interno di un
catalogo. L’etichetta aveva il jazz, la musica leggera che era la
parte preponderante, il folk, il rock ecc. ecc. Insomma una serie di collane,
così come in una casa editrice. Oggi invece ci stanno le multinazionali.
Quando noi siamo arrivati alla WEA abbiamo trovato un modo di produrre
i “prodotti culturali”, quindi anche i dischi, che segue regole
completamente diverse rispetto a quelle cui noi eravamo abituati. All’interno
di una multinazionale, al di là delle posizioni ideologiche, è
praticamente impossibile instaurare delle relazioni, dei rapporti. Di
conseguenza sarebbe assurdo se noi presentassimo oggi in WEA un progetto
di 3 dischi nell’arco di 5/6 anni, ci riderebbero in faccia! Ci
direbbero che un simile progetto non ha alcun senso, e se proprio lo vuoi
fare vallo a fare da un’altra parte. Ad esempio, per spiegarmi meglio,
i fratelli Citti a Roma qualche sera fa ci hanno detto: “…
una volta c’era il cinema, oggi si fanno i film…” Allora
io posso benissimo dire che una volta c’era la musica, anzi, c’erano
le canzoni, oggi ci sono e si fanno solo i singoli, i prodotti. In un
mondo in cui si producono solo singoli, noi che abbiamo una cultura legata
al disco, alla canzone, per noi non ha più senso bussare a quelle
porte o tentare di instaurare con loro un rapporto che è basata
solo sul singolo e quindi sull’accumulo veloce di denaro:Non ci
appartiene! Non è cattiva volontà, è un dato strutturale,
economico, ideologico, preciso e non c’è cattiva volontà
neanche da parte loro, diciamo che è così e basta! Le regole
del mercato sono queste punto e basta, è un dato di fatto. Tu dici
4 anni, è vero, ma non è solo colpa nostra è anche
che molte canzoni negli ultimi tempi son tornate a vivere con una nuova
energia, perché hanno trovato casa perché finalmente sono
cantate laddove quelle storie sono ancora vive, sono vere, attuali. Proprio
quando noi pensavamo che avessero fatto il loro tempo, ecco che ci ritroviamo
con canzoni che noi abbiamo inciso anche più di 10 anni fa, che
rinascono a nuova vita, tornano prepotentemente attuali. Naturalmente
questa ha contribuito, insieme a tutto quello che abbiamo detto prima,
a rallentare il lavoro per il nuovo disco..
Sandro:
Ti dico io una cosa, Stè. Perché andando in giro
in questi anni alla media di 90/100 date l’anno tutti mi chiedono:
…quand’è che fate un disco nuovo..”, tu per primo.
Però, cerca di vedere la cosa anche dal nostro punto di vista,
non soltanto dal tuo o degli altri che vengono a sentire i nostri concerti.
Certo, il vostro è affetto, anzi direi amore, considera però
che noi in questi 4 anni abbiamo fatto un casino di cose. Marino avrà
cantato con non so quanti gruppi, penso –Marino: 25/26- Sandro continua:
con chiunque ci ha telefonato chiedendoci una collaborazione, certe volte
addirittura senza sentire il pezzo che dovevamo fare, solo ed esclusivamente
sulla base di un rapporto di amicizia, di stima, di fiducia, di rispetto.
Anche perché, quando noi abbiamo cominciato, abbiamo chiamato un
sassofonista delle parti nostre, Urbani si chiama, uno che ha suonato
con gli Agorà, un gruppo che ha partecipato più volte al
jazz festival di Montreaux, per noi, per le band della zona era quasi
un mito. Pensa che quando siamo andati a casa sua, non è che ha
voluto sentire il pezzo, assolutamente.. ci ha invitato a cena e senza
aggiungere altro ha detto semplicemente:”.. O.K. possiamo andare,
prendo il sax e andiamo in studio…”che non so da quant’era
che non lo suonava: Per dire che noi, per un sacco di tempo legati ad
una casa discografica per collaborare con qualcuno dovevamo fare un casino
che non ti dico. E dovevi chiedere il permesso, l’autorizzazione
ed inoltre gli dovevi far sentire il pezzo, magari poi rompevano i coglioni
perché, secondo loro, non era “in linea” con la nostra
produzione ecc.ecc. Invece in questi 4 anni di vacanza, di libertà
abbiamo suonato con tutti coloro i quali ci interessava suonare, soprattutto
con tutti quelli che ci piacevano come persone, indipendentemente dallo
stile musicale.
Marino: C’è un’altra cosa da dire.
Quando noi avevamo un rapporto con un’agenzia, facevamo una media
di 20/30 date l’anno, oggi facciamo 90/100 anche 110 date l’anno!
Possiamo scegliere di andare a suonare anche dove ci troviamo con 10 persone.
A Terni, per esempio, ci siamo trovati in 8, dentro uno sgabuzzino dietro
una libreria, e ti garantisco che è stato bellissimo! Cioè
è la riscoperta di una dimensione diversa, non solo nostra, dal
punto di vista umano, ma anche le canzoni che trovano un vigore nuovo,
un vigore che per anni non hanno mai avuto. Anche se le suonavamo, ad
esempio, come gruppo spalla di Ligabue. Le canzoni, le nostre canzoni,
io e Sandro per tanti anni le abbiamo portate e suonate in situazioni…
imbarazzanti, non solo per noi che abbiamo la faccia come il culo e andiamo
dovunque, d’altra parte veniamo dall’Imbrecciata, ma secondo
noi, erano le canzoni che si trovavano in imbarazzo in certe situazioni.
Tornando al concetto di prima, sono canzoni eterne e non universali. Non
possono essere cantate da tutti e dovunque, vanno cantate anche in uno
sgabuzzino di una libreria di Terni da 8 persone, e lì sicuramente
trovano casa. Ma davanti a 20.000 persone in contesti sbagliati si vergognano,
si trovano in imbarazzo… al contrario nostro che ce ne freghiamo,
basta che vicino c’è un posto dove si mangia e si beve bene…
Sandro: Tieni presente inoltre che in questi anni abbiamo
fatto uno spettacolo teatrale su Fausto e Iaio, il disco con La Macina,
ora abbiamo ‘sto spettacolo con gli Yo Yo Mundi, e sicuramente qualche
cosa mi sfugge. Non è che i Gang sono degli stilisti tipo, che
so, Armani che ogni stagione deve lanciare una nuova linea di moda. Non
l’abbiamo mai fatto, neanche quando avevamo il contratto con una
casa discografica, cioè quando ci davano anche dei soldi in anticipo.
Noi abbiamo sempre fatto dischi ogni 2/3 anni senza mai rispettare tempi,
per così dire, imposti. Credo proprio che faremo un disco quando
avremo delle canzoni che, secondo noi, vale la pena incidere.
D:
Credo che quello che hai appena detto sia veramente il massimo della libertà…
Marino: Scusa, apro una parentesi. Io capisco il rinnovo
del guardaroba, c’è mio nipote che è piccolino, che
mi dice sempre:” … ma tu, zio, ‘sta camicia, quando
la cambi?” Ma, vedi Stè, è una camicia che mi piace
tantissimo, avrà 10 anni forse più, e l’avrò
pagata sì e no 14.000 lire, ed ancora la metto! Capito? Voglio
dire, come sostiene Robert Plant (Led Zeppelin), la canzone quando è
quella, quando è bella, resta lì, appunto in eterno! Tu
cambi guardaroba ma lei è sempre la stessa. E’ come se tu
che leggi 100 libri l’anno, poi alla fin fine, con il tempo, ti
accorgi che solo 2/9 massimo 4 sono quelli importanti e che tutto ciò
che leggi è già stato scritto. Voglio dire, a 50 anni quasi,
noi le canzoni le abbiamo fatte, ne faremo altre, anzi nel cassetto ne
abbiamo tante già pronte comunque ci siamo capiti, continueremo
a cantare le “storie”.
D:
Capisco.Ma tutte le collaborazioni di questi ultimi anni non sarebbero
potute avvenire se aveste avuto un rapporto contrattualizzato con qualche
casa discografica, perché il mercato non accetta di non controllare
qualcosa, né tanto meno la creatività (Linea dixit!). Però,
questo vi ha permesso anche di iniziare un progetto che, se pure tra alti
e bassi, va avanti. Sto parlando dell’Unione delle Tribù.
Volete spiegare di che si tratta?
Marino: Noi non abbiamo fatto altro che mettere in moto
delle energie! Quando tu vai in giro incontri delle persone, incontri
delle situazioni e non è che dici c’è da fare questo
o quello, tu pensi che quelle belle persone devono incontrarsi, devono
relazionarsi; insomma abbiamo fatto un po’ i ruffiani cercando di
farle incontrare. Noi questa cosa, un po’ per nostra forma mentis,
l’abbiamo sempre avuta, ma l’abbiamo imparata dai grandi maestri
che hanno fatto la storia della musica anche in Italia. Un esempio è
Gianni Sassi, quello che ha inventato la Cramps e la grande musica italiana
degli anni ’70. Lui non ha fatto altro che far incontrare le persone:
non ha mai detto a Demetrio (Stratos, Area), devi sentire questo, devi
fare quello oppure devi suonare con Tizio o Caio. Lui diceva:” Io
vado in Inghilterra o negli USA per qualche giorno, vuoi venire con me?
Ti presento Tizio o Caio ecc. ecc.” Lui si innamorava, se anche
Demetrio poi si interessava ai canti indiani e andava a prendere lezioni
di lingua navajo, lui aveva esaurito il suo compito. Lui scommetteva sulle
persone, perché intuiva che c’era del talento, e non faceva
altro che creare l'opportunità di incontro, di relazione. Credo
che per noi sia più o meno la stessa cosa, anche se spostata su
un livello diverso. Per noi, come Gang, i 20 e più anni spesi in
giro per l’Italia, sono stati importanti per conoscere tante persone.
Persone che fanno, che non fanno, che rompono i coglioni, che sono grandi,
gruppi che suonano, ma anche persone che non suonano, l’importante
per noi è farli incontrare. Questo vale per chi suona, ma vale
anche per te per esempio, perché da quando ci conosci quanti “disgraziati”
Hai conosciuto? Una marea. Allora, vedi, se tu fossi stato uno che suonava
sarebbe stato naturale avere un feeling e collaborare con te, oppure quando
hai una data che tu non puoi fare cercare di passarla a te. E’ una
specie di cordata spontanea. Poi se la vogliamo fare diventare una cosa
organizzata, sono cazzi di altri e non nostri, non è il nostro
ruolo. Vedi è come far diventare un movimento partito. Lo facciano
altri, io non ci sto. O meglio, ditemi quello che devo fare, perché
io e Sandro sappiamo fare canzoni, non sappiamo fare partiti, né
etichette né agenzie. Perché non siamo adatti, perché
ci conosciamo e sappiamo che no è cosa nostra e quindi rischieremmo
di rovinare tutto.
D:
Banalizzando il concetto: voi non fate altro che mettere in rete tutti
gli “ultimi”, i ribelli, coloro che non si arrendono e che
ancora conservano intatto l’entusiasmo e la voglia di cambiare.
Marino: Quello che noi cerchiamo di fare è, ripeto,
mettere in contatto le persone, anzi, le “belle persone” e
quindi le loro storie, in modo tale che, oltre a sentirsi meno sole, trovino
il modo di provare a diventare “storia. Vedo ad esempio persone
che ritrovano entusiasmo e voglia di fare dopo tanto tempo, certo può
essere poca cosa, ma intanto è un punto di partenza.
D:
Tra poco inizia la serata dedicata a Joe, quindi vi chiedo: come vogliamo
chiudere questa chiacchierata?
Marino: Che ti devo dire, stasera siamo qua, sembra che
voglia nevicare, tra un po’ arriva natale, siamo tornati all’Estragon
e come al solito mai una bottiglia di vino, sempre ‘sta cazzo di
birra, io ti dico…vorrei che il punk rock in Italia riscoprisse
il vino e la finisse con questa cazzo di birra. E ora andiamo a dedicare
un paio di pezzi al più grande di tutti……………
Naturalmente, da buon comunista, non posso che condividere!
Stè
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