Una giornata in onore dei Clash. E in memoria di Joe Strummer. A Cosenza.
Strano a dirsi, ma è accaduto venerdì 11 luglio: grazie
ai ragazzi che in città organizzano da sei anni il festival Invasioni.
A rappresentare la storia: Don Letts. Quello che faceva il DJ al Roxy
di Londra nel 1977 e si è ripetuto qui dopo la mezzanotte a suon
di reggae in coppia con Dan Donovan (ex Big Audio Dynamite). Film-maker
artefice dei videoclip dei Nostri e regista dell'eccellente documentario
Westway To The World - proiettato in serata sotto le arcate del chiostro
del Liceo Vecchio. Il rasta fotografato di spalle sulla copertina di Black
Market Clash (non lo sapevo: è lui a dirmelo). Ma soprattutto testimone
privilegiato di quell'epopea straordinaria. Ed è in quest'ultima
veste che parla in piazza nel tardo pomeriggio, interrogato da un pubblico
appassionato e curioso. E un po' anche da me, che prima avevo cercato
di raccontare i Clash attraverso i ricordi che ancora conservo di quei
tempi. A fare da interpuzione nei dialoghi, un quartetto d'archi chiamato
Hitsville Ensemble. Che suonava canzoni dei Clash - Loose The Skin, Janie
Jones, Hitsville Usa e, per due volte, Stay Free - e del vecchio Joe -
Mondo Bongo. Che effetto ascoltarle in quella veste insolita! Spaesamento
all'inizio, ma grande piacere alla fine scoprire che anche in un formato
così lontano dall'originale mantengono intatta la propria forza.
Mi è stato però chiesto di offrire una specie di reportage
sulla giornata. E, a essere sincero, credo che l'ingrediente più
stuzzicante sia stato ciò che ha detto Don Letts: aneddoti e considerazioni
varie. Gli ho domandato quale sia e dove stia oggi a Londra l'eredità
dei Clash, per cominciare. E lui ha risposto così: "E' ovunque,
nelle musiche che mettono l'impegno davanti al commercio e comunicano
idee." Spiegando: "La cosa importante di Joe è che ha
cambiato il modo di scrivere i testi delle canzoni, perché aveva
capito la funzione sociale della musica: come Woddy Guthrie, Bob Dylan,
John Lennon, Bob Marley. Sta là con loro. Ha aggiunto in quel modo
significato e profondità al punk, perché i Clash ti davano
una ragione per fare le cose. Non avrà cambiato il mondo, ma la
coscienza di molte persone sì. E il mondo è fatto di persone."
E ha concluso: "In quel senso l'attitudine del punk, il fai-da-te
e l'essere coinvolti in prima persona, scrivendo le proprie regole, è
ancora viva." Gli è stato chiesto poi con che spirito ha realizzato
Westway To The World. "Senza nessun intento nostalgico," ha
replicato, "volevo riprodurre l'impronta lasciata dai Clash sul rock'n'roll."
Un bel film, no?! "Avrei dovuto essere stupido per non fare un buon
film sui Clash."
Siccome prima si era parlato di Sandinista, qualcuno lo ha sollecitato
a ricordare la genesi di quell'album. "Quasi tutto il lavoro fu fatto
a New York proprio mentre fioriva l'hip hop, che attraverso Mick ne divenne
componente fondamentale, ma i Clash non si erano certo dimenticati di
Londra, anzi
Erano un gruppo di larghe vedute, con la mente aperta:
invece di essere definiti dal punk, lo definirono." Joe e Mick: che
rapporto avevano? "Amavano tutt'e due la musica e questo li teneva
insieme. Mick era un grande musicista. E Joe scriveva sempre e ovunque:
i suoi testi erano densi di contenuto, in pochi versi raccontavano ciò
che altri impiegano canzoni intere per fare. Nei primi tempi nemmeno capivo
che cosa cantava, talmente era impetuoso al microfono, ma ti coinvolgeva.
Alla fine i Clash erano una band democratica, sostenuta da un'eccezionale
alchimia fra esseri umani. Siamo qui perché erano un grande gruppo.
E io sono un prodotto di quell'ispirazione." Rievocando quindi il
momento in cui furono scritturati dalla multinazionale Cbs (ora Sony)
e le polemiche che ciò scatenò, ha tagliato corto: "Se
hai delle cose da dire non ha senso starsene chiuso a strillarle in cameretta."
Ma perché si separarono, allora? "Ci si divide perché
così è la vita: a volte per crescere devi tagliare i ponti
dietro di te, anche se sei stato tu a costruirli."
Ha raccontato poi cose interessanti sul rapporto fra i Clash e la musica
giamaicana, lui che arriva di là. "Già i Beatles e
i Rolling Stones erano stati influenzati dalla musica nera, in quel caso
il rhythm'n'blues, ma per loro era un linguaggio lontano, qualcosa che
stava al di là dell'oceano, in fondo incomprensibile, mentre i
Clash erano dentro la cultura giamaicana: vivevano tra Notting Hill Gate,
Paddington e Ladbroke Grove. E io, che sono giamaicano, riconoscevo la
mia cultura nella loro musica." E interrogato sul ruolo di Bernie
Rhodes, si è espresso così: "E' stato per i Clash ciò
che Brain Epstein fu per i Beatles: era lui il primo a dire che la musica
deve significare qualcosa." Alla fine si è parlato di Joe
e di quel che ha fatto dopo i Clash. "Separandosi da Mick, aveva
perso la sua anima gemella. Credo che per un po' abbia vissuto una fase
di impotenza creativa. Ha fatto le cose che gli capitavano a tiro: i film
con Alex Cox, i concerti coi Pogues e la storia coi Latino Rockabilly
War. Era in viaggio: stava cercando un'altra anima gemella, ma non l'ha
più trovata, nemmeno coi Mescaleros." E il pensiero corre
allora a quel concerto per i pompieri londinesi in sciopero, in novembre:
con Strummer e Jones di nuovo insieme sul palco, 20 anni dopo. Joe ci
avrebbe lasciati 40 giorni più tardi. A Cosenza abbiamo tentato
di commemorare lui e quel suo gruppo formidabile. La bella atmosfera che
ha regnato per l'intera giornata mi fa pensare che forse ci siamo riusciti.
Alberto Campo
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