L'ex
chitarrista dei Clash è morto a 50 ani stroncato da un infarto.
Conduceva una vita ritirata, ma dalla nascita dei Mescaleros, il suo ultimo
gruppo, gli impegni erano aumentati a dismisura. Nel 1977 rappresentò
l'ala più politicizzata del rock inglese.
Questa
no, questa nessuno se la sarebbe aspettata. E poi da lui Joe Strummer,
quello dei Clash, un tempo la "furia guerrigliera del punk"
e da qualche anno, il rocker meditabondo, pacato, quello che si era ritirato
in campagna, a Broomfield, nel Somerset, e che amava arrendersi alla lettura.
"A quei libri che parlano di cose vere, perché almeno in Inghilterra
l'immaginazione è morta", aveva raccontato a chi scrive in
un'intervista all'alba del 2000. E invece Joe Strummer, vero nome John
Mellor, se ne è andato ieri, lunedì, a 50 anni, stroncato
da un infarto, a casa sua. Aveva tre figlie. Si era appena reinventato
un futuro con i Mescaleros, la sua nuova band, di cui era quasi pronto
il terzo disco. Un gruppo divertente, ma con poco appeal; del resto nulla
poteva competere con il passato di Joe Strummer; niente era come i Clash,
niente era come quel primo album omonimo, The Clash, arrivato nei negozi
il 5/4/1977. Niente suonava come Career Opportunities, Tommy Gun o London
Calling.
Sul
palco
Sul palco Joe Strummer era un nemico pubblico; un'onda di sudore, una
voce arrembante e sferragliante, rauca, magnetica. Chi lo ha visto dal
vivo non può scordaselo. Era l'opposto di Johnny Rotten (Sex Pistols),
era la furia eterna, con quella chitarra brandita come fosse un prolungamento
del suo braccio; da un momento all'altro ti aspettavi che lui e la chitarra
si spezzassero in due. O che due persone con il camice bianco corressero
a rianimarlo.
Eppure, già nel '77, finiti gli show, Strummer tornava quello di
tre anni fa, delle tre figlie e della campagna inglese. Il meno visibile,
quasi si divertisse a staccare di proposito la spina della rivoluzione
per infiammarsi all'evento successivo; al contrario Mick Jones, l'altro
chitarrista, il fondatore dei Clash, era sempre il più ciarliero.
Strummer aveva una malinconia rabbiosa che lo accompagnava ovunque, un
senso della disfatta che presagiva la fine del punk inglese, del '77 e
anche la sua. Del resto lui, i Clash, i Sex Pistols, i Damned, i Jam,
gli Adverts e tutti gli altri non ce l'avrebbero mai potuta fare.
A parte Billy Idol (Generation X) e qualche "alto e basso" di
Paul Weller (Jam, Style Council) nessuno di quelli si è mai davvero
mosso dal '77. Nessuno ha mai flirtato con il mercato, con le classifiche.
Non sarebbe mai stato possibile. Tutti, proprio tutti, si sono consumati
in una splendida, inevitabile, implosione. Troppo estrema la partenza,
troppo devastante la caduta. E nonostante il rock Usa, oggi più
che mai, insegua quel punk londinese, lo cloni, lo omaggi e lo porti in
classifica; 25 anni dopo, confermando come anche Sex Pistols e Clash avessero
innato quel senso del pop che al tempo nessuno di noi aveva capito o voleva
capire.
Onnivoro
Joe Strummer aveva un approccio onnivoro alla musica; e questo più
di ogni altro della sua generazione. Era nato ad Ankara, in Turchia, e
già da piccolissimo i genitori lo avevano abituato a viaggiare;
dal Cairo a Città del Messico, a Londra. Negli spostamenti aveva
assorbito generi e stili musicali e proprio i Clash, con il disco "Sandinista!",
avrebbero sperimentato insolite collusioni tra rock e suoni latini. Ai
tempi, nell'80, quell'album sembrò quasi una sbandata o una botta
di genio. In realtà per Joe Strummer era tutto normale.
Quell'operaismo rockettaro e rivoluzionario che da sempre contraddistingueva
i Clash non poteva non guardare ai suoni del sud del mondo, dopo che lo
stesso Bob Marley aveva inciso Punky Reggae Party e dopo che a Londra,
nel '77, punk e rasta si erano saldati in un movimento dal basso e antagonista
senza precedenti.
Joe Strummer, che peraltro aveva contribuito a iniettare abbondanti dosi
di reggae nei Clash, lo sapeva e non se ne vantava. Mai. Anzi era convinto
che, uscendo dal rock, fallisse miseramente, che l'America Latina fosse
un mondo sonoro a sé, lontano, mitico.
Raccontava : "Non penso di aver mai fatto cose buone; sono canzoni
che vengono fuori male, ci sto ancora provando
Sai, penso che la
mia musica sembra latina perché è molto sexy. Al contrario
nel rock'n'roll dei ragazzi bianchi c'è soprattutto furia, casino
".
Lui no, era sensuale e casinaro. Era arrivato ai Clash su invito di Mick
Jones che scorazzando lungo Portobello Road, con Tony James (Generation
X) e Glen Matlock (Sex Pistols), si era imbattuto in Strummer. Gli aveva
chiesto di mollare i 101ers, la sua prima band e di cambiare suono. Un
cantante così era sprecato nei pub.
Strummer aveva annuito. Di lì a poco con i Clash avrebbe rappresentato
l'ala politica del punk inglese ; se i Sex Pistols puntavano ad un nichilismo
di massa, al caos realizzato, Strummer ed i Clash, immaginavano un "socialismo
stradaiolo", dove sussidi di disoccupazione, rapporti di classe subalterni
e burocrazia capitalista fossero solo un brutto incubo.
In
copertina
Del resto la scritta sulla copertina del primo singolo White Riot/1977
era perentoria : "Il vero scontro, clash, sociale non è tra
vecchi e giovani ma tra governanti e governati".
Allo stesso modo il testo di White Riot, brano emblema dei Clash chiedeva
alla classe operaia bianca di ispirarsi alla loro controparte nera e farsi
un po' di rivolte bianche per conto proprio.
Immenso. Di questo e altro avevo parlato al telefono con Joe Strummer.
Dei suoi dischi di reggae, delle capatine improvvise negli autogrill in
autostrada per comprare un cd; di come fosse difficile essere inglese.
Di come da un anno i Mescaleros lo stessero travolgendo. Forse fatalmente.
Tra tour e incessanti session in studio. Ma soprattutto avevamo parlato
dei suoi Clash e di come essere punk significasse portarsi appresso in
ogni momento della vita una energia totale, irrefrenabile.
Anche adesso, mentre da dove si trova sogna di riformare i Clash, e un
minuto dopo ci sta già ridendo sopra.
|