Dal
punk al punk
Dai Pistols ai Clash, ritratto di un regista con la musica nel sangue
Immaginate una collina perduta nella nebbiosa campagna inglese. Immaginate
un gruppo di amici seduti intorno a un fuoco, un falò, che si
passano da bere e conversano tra loro, come magari avrete fatto anche
voi tante volte. Solo che in mezzo a questo gruppo di amici c’è
una rock star, anche se nessuno lo direbbe mai, dal suo look dimesso
e soprattutto dalla sua affabilità, dalla capacità di
stare in mezzo agli altri. Quello lì, la rock star seduta accanto
al fuoco sulle colline di Quantock, nel Somerset dove viveva e dove
avrebbe trovato anche la morte, è proprio Joe Strummer, l’icona
dei Clash e di una generazione. Probabilmente anche due, tanto la sua
figura non ha perso, trent’anni dopo l’esordio della sua
band e cinque anni dopo la morte, un’oncia del suo carisma e della
sua importanza.
Quella del falò e del gruppo di amici radunato intorno è
una immagine ricorrente e chiave del bellissimo film documentario The
Future Is Unwritten, regia di Julien Temple, nei cinema italiani a partire
dal 22 febbraio. “Il falò è uno dei temi centrali
del film” spiega il regista. “Negli ultimi dieci anni della
sua vita, il tempo che mi è stato concesso per conoscerlo meglio,
abbiamo fatto le nostre conversazioni più profonde intorno a
un falò. Quando si trasferì nel Somerset, nella sua casa,
la cosa divenne ancora più importante per lui. Su, in alto, sulle
colline di Quantock, un ribelle in un avamposto… un posto che
nemmeno i romani sono riusciti a conquistare”.
Per Joe Strummer, l’idea del falò – una libera assemblea
di persone unite dalle fiamme che divampano aspettando l’alba
nascente – divenne una forma d’arte. Il falò era
il crogiuolo, la pietra della saggezza, il Santo Graal, il più
importante punto d’incontro all’aperto per conversare e
far nascere nuove idee.
Ideati dietro le quinte del Glastonbury Festival – dove le riunioni
notturne furono chiamate Strummerville – Joe portò i suoi
falò, il suo circolo di amicizie e le sue opinioni, in giro per
il mondo, poi tornò definitivamente a casa nel Somerset, dove
adesso è posto un cerchio di pietre per ricordare quegli appuntamenti.
Per il regista Julien Temple “proprio come allora, avevamo gente
di diversa estrazione sociale seduta vicino al fuoco che ascoltava la
musica che era stata tanto importante per lui. Era un posto in cui ci
si rilassava al calore delle fiamme. Alla luce del fuoco siamo tutti
uguali, la gente famosa perde la propria importanza confondendosi con
la normalità. Facendo le interviste in questo modo ci eravamo
liberati dalle inquadrature dei documentari convenzionali. Stavamo cogliendo
il vero senso dell’amicizia e dei legami. Dovevo farlo andare
bene perché era così importante per Joe. Una volta mi
disse che il falò era migliore di qualsiasi musica avesse mai
scritto. Era tutto incentrato su persone che provenivano da ambienti
completamente diversi e spero che abbiamo portato questa essenza nel
film”. Un ricordo indelebile, per il regista: “La maggior
parte delle volte, Joe era l’ultimo a restare intorno al fuoco.
A chiunque fosse rimasto lì avrebbe detto: siamo tu e io al Club
dell’Alba”. Tutte le interviste presentate in questo film-documentario
si tengono dunque non a caso davanti a un falò: sotto il ponte
di Brooklyn a New York, sulle colline del Somerset, in abitazioni private
ad Hollywood.
L’unico difetto del film è forse proprio questo: ampie
parti parlate e pochi estratti musicali, tutti di pochi secondi. Film
che comincia con la nascita e l’adolescenza di Joe (tanti i filmini
familiari), i giorni da vagabondo alla ricerca dell’utopia hippie
ormai tramontata (“Arrivai troppo tardi, come un soldato che giunge
sul campo di battaglia a lotta finita”), passa attraverso la prima
esperienza musicale con i 101’ers e quindi arriva ai Clash. Poi,
il dopo Clash, il periodo di smarrimento e di ricerca e la ritrovata
voglia di far parte del mondo della musica, prima con l’esperienza
nei rave (“Devo partecipare ai rave per capire cosa siano”
dice uno Strummer incuriosito da questa nuova realtà, che intelligentemente
lui identifica come un trait d’union tra passato e presente: “Punk
e hippie insieme per lottare”). Dall’esperienza come deejay
al ritorno con una band, i Mescaleros, fino all’ultimo giorno
di vita, il 22 dicembre 2002.
The Future Is Unwritten è basato sull’idea del programma
radiofonico London Calling, ideato dello stesso Strummer, ascoltato
da circa 40 milioni di ascoltatori della BBC World Service tra il 1998
e il 2002, e sui leggendari falò di Strummerville. Ogni scena
del documentario, ogni intervista, è infatti introdotta dalla
voce di Joe che presenta una canzone presa da quelle trasmissioni, dando
così l’idea di essere seduti davanti a una radio ascoltando
il musicista ancora tra di noi.
Sono lo stesso Joe e molti dei suoi amici, le due mogli, i colleghi,
a guidare lo spettatore per tutto il film, insieme alla splendida musica
selezionata per la colonna sonora (pubblicata su cd già alcuni
mesi fa). Canzoni dei Clash, ovviamente, ma anche alcuni dei brani preferiti
del musicista, come la versione di Corrina, Corrina che Bob Dylan registrò
nel 1963, o Crawfish, interpretata da Elvis, o ancora Rangers Command
di Woody Guthrie.
Temple fu il primo a filmare i Clash nel 1976: “Li filmai la prima
volta al concerto di capodanno del 1976 al Roxy di Londra (immagini
che si vedono nel film per la prima volta, con Strummer che indossa
una t-shirt con la scritta “1977”, nda). Continuai a filmarli
più o meno fino al marzo del ’77, poi dovetti scegliere
tra loro e i Sex Pistols. Ero amico di Steve Jones da lunghissimo tempo,
così andai con loro e i Clash non mi permisero più di
filmarli. C’era una forte rivalità tra i due gruppi”.
A proposito di questo, cito a Julien una frase che una degli intervistati
dice a un certo punto: “Sin da ragazzo, Joe continuava a dire
che un giorno sarebbe diventato una rock star”. Un po’ una
contraddizione, per un personaggio che lo stesso Temple definisce più
un filosofo che una rock star: “È vero, le contraddizioni
facevano parte del personaggio Strummer. A John Lydon (Johnny Rotten,
nda) Joe non piaceva proprio per questo. Lo considerava un opportunista,
uno che era salito sul carrozzone del punk solo per diventare famoso.
In effetti per Joe il punk rappresentò l’ultima chance,
dopo il fallimento del suo precedente gruppo, i 101’ers. Credo
che John e Joe in privato avessero un rapporto migliore, ma in pubblico
Lydon non perdeva mai l’occasione per sbeffeggiarlo. Comunque,
per Strummer diventare una rock star non ha mai voluto dire diventare
uno che si è fatto la villa in collina, voleva dire avere la
possibilità di comunicare certe cose”.
Per uno come Temple che ha avuto modo di lavorare e frequentare entrambi,
ci si chiede quali siano state le principali differenze tra i due musicisti:
“John Lydon mi affascinava perché era uno che era venuto
fuori dal nulla, senza alcun tipo di insegnamento. Strummer possedeva
una forte educazione, anche se lui aveva sempre cercato di sovvertirla
e distruggerla. Ma entrambi erano degli originali”.
Le strade di Temple e Strummer si divisero dal 1977 sino a circa dieci
anni prima della morte di Strummer. “C’era uno strano rapporto
fra me e Joe” dice Temple. “Eravamo nati nello stesso anno
e avevamo condiviso molte contraddizioni, epoche ed esperienze. Eravamo
insieme a Londra nel pieno degli anni 60, un periodo molto intenso.
Poi ci fu il periodo hippy e la prima volta a Glastonbury nel 1971.
Poi venne il periodo degli squat (le occupazioni), il ritorno a Londra,
e in seguito l’inizio del movimento punk vero e proprio. Ho condiviso
con Joe molti suoi spostamenti”.
Successe poi che un giorno il musicista suonò a casa del regista,
che viveva nel Somerset. Cercava casa lontano da Londra, voleva ritirarsi
nella tranquillità della campagna. Bastò un pomeriggio
passato insieme ad ascoltare vecchi dischi per rinnovare un rapporto
che trova degna consacrazione in questo film: “Fu una vera sorpresa
quando, dieci anni fa, arrivò all’improvviso al cancello
del mio giardino. Stava cercando un posto dove vivere nel Somerset e
incontrarlo dopo così tanto tempo fu un certo shock. Trascorremmo
una notte accendendo fuochi e cercando di far decollare la mongolfiera
che stavo costruendo. Da quel momento in poi ci legò un’amicizia
che durò fino alla sua morte”.
Il film è animato e illustrato da vignette, disegni, quadri,
appunti e artefatti realizzati di suo pugno e contenuti nella grande
busta di plastica che portava sempre con sé. Il cast di The Future
Is Unwritten è composto dagli amici più stretti di Joe
– tra loro il suo più vecchio compagno di scuola Dick Evans
e i cugini Ian e Alasdair Gillies – e artisti, amici e musicisti
dei suoi anni formativi. Insieme a loro c’è Gaby, la prima
moglie di Joe, Lucinda, la seconda moglie, membri dei Clash, attori
(John Cusack e Johnny Depp), musicisti (Bono, tra gli altri) e artisti
e altri eroi non celebrati che hanno avuto un ruolo importante nella
sua vita. C’è anche Courtney Love: “Non è
l’unica intervistata da sola a casa sua” dice Julien quando
gli faccio notare che tutti gli altri sono seduti davanti al fuoco in
compagnia. “Anche Johnny Depp e John Cusack. Credo sia una cosa
hollywoodiana quella di non mischiarsi agli altri” dice ridendo.
Ma anche nel loro caso, non manca il fuoco acceso: “Non è
stato difficile raggiungere Courtney. Ci teneva molto a essere nel film.
Lei conosceva Joe bene, si frequentavano molto prima che lei diventasse
famosa. E il fatto che mentre sta parlando si metta a piangere, dice
bene quanto i due fossero stati legati”.
Sempre attivissimo, Julien Temple oltre che a The Future Is Unwritten
ha recentemente lavorato a un’opera filmata per le strade di Sydney,
a un film giallo e a un nuovo documentario sui Sex Pistols: “Hanno
ricevuto un sacco di critiche per la nuova reunion. La gente non capisce
che loro non sono dei semplici musicisti rock, quello che fanno non
è semplice musica rock. Lo definirei pantomima, come l’antico
teatro della commedia italiana. Per loro, comunicare con l’audience
è la cosa più importante”. Non si occupa di biopic,
Temple, la recente moda hollywoodiana, ma quando gli chiedo se dovesse
farne uno su Joe Strummer quale attore gli piacerebbe avere per fare
la sua parte, risponde ridendo: “Philip Seymour Hoffman (quello
che fa Lester Bangs in Almost Famous e Truman Capote nel film omonimo,
nda)”. A proposito dei biopic, dice chiaramente che “non
mi sono piaciuti quelli su Johnny Cash e Ray Charles. Sono estremamente
riduttivi di quello che quelle due persone erano veramente, nei film
si raccontano i soliti clichè, le solite storie su di loro che
si sono sentite migliaia di volte. Non sono film realistici. Mi è
piaciuto in parte I’m Not There, anche se l’ho trovato piuttosto
pretenzioso. Mi è piaciuta la parte che fa Cate Blanchett, ma
non mi è piaciuta la struttura generale del film. Ma non sono
contrario ai biopic, dipende da chi li fa e come li fa. La vita di un
musicista è interessante, vale la pena raccontarla”.
Nella parte finale di The Future Is Unwritten si vedono alcune immagini
relative agli ultimi anni di Joe con i Mecaleros: “Sì,
sono prese dal film di Dick Rude, Let’s Rock Again!. Sono stati
molto gentili a farmele usare. È un bel film, anche se quello
che ne esce fuori non è il Joe che conoscevo io. In quel film
sembra un disperato”. Poi aggiunge: “Mentre lavoravo al
montaggio delle scene, mi ha colpito relativamente ai suoi ultimi momenti,
notare come Joe sembrasse malato. Non so. È qualcosa che nella
vita di tutti i giorni nessuno si accorgeva, visto il suo continuo attivismo.
Forse avremmo dovuto accorgercene”.
“A dispetto di come viene visto nell’ambiente del rock’n’roll,
per me Joe Strummer era un filosofo, ha riflettuto veramente sulla vita
e i tempi che tutti noi abbiamo attraversato. Era concentrato sulla
natura dell’essere umano, sul concetto di libertà, su molte
cose che sono state cancellate dal nostro modo di vivere oggi. Mi diceva:
pensare è il motivo per cui svegliarsi la mattina. E aveva ragione.
Tra l’altro è un concetto ancora valido, dovremmo pensare.
Così, se da un lato questo film è la testimonianza di
una grave perdita, dall’altro è anche un inno a tutte le
cose per cui Joe ha lottato”. Concludendo: “L’intera
vita di Joe la associo istintivamente all’immagine della speranza.
Forse siamo stati sciocchi nell’essere stati degli hippie, ma
quando diventammo dei punk eravamo realmente attratti dal potere allo
stato puro ed è una cosa che ho condiviso con lui. Eravamo in
simbiosi”.