MEET JOE STRUMMER INTERVISTA A JULIEN TEMPLE
di Paolo Vites
Il 22 febbraio esce nelle sale italiane “The Future Is Unwritten”, documentario sulla vita e la musica di Joe Strummer già acclamato in Inghilterra. Ce ne ha parlato il regista Julien Temple


Dal punk al punk
Dai Pistols ai Clash, ritratto di un regista con la musica nel sangue

Immaginate una collina perduta nella nebbiosa campagna inglese. Immaginate un gruppo di amici seduti intorno a un fuoco, un falò, che si passano da bere e conversano tra loro, come magari avrete fatto anche voi tante volte. Solo che in mezzo a questo gruppo di amici c’è una rock star, anche se nessuno lo direbbe mai, dal suo look dimesso e soprattutto dalla sua affabilità, dalla capacità di stare in mezzo agli altri. Quello lì, la rock star seduta accanto al fuoco sulle colline di Quantock, nel Somerset dove viveva e dove avrebbe trovato anche la morte, è proprio Joe Strummer, l’icona dei Clash e di una generazione. Probabilmente anche due, tanto la sua figura non ha perso, trent’anni dopo l’esordio della sua band e cinque anni dopo la morte, un’oncia del suo carisma e della sua importanza.

Quella del falò e del gruppo di amici radunato intorno è una immagine ricorrente e chiave del bellissimo film documentario The Future Is Unwritten, regia di Julien Temple, nei cinema italiani a partire dal 22 febbraio. “Il falò è uno dei temi centrali del film” spiega il regista. “Negli ultimi dieci anni della sua vita, il tempo che mi è stato concesso per conoscerlo meglio, abbiamo fatto le nostre conversazioni più profonde intorno a un falò. Quando si trasferì nel Somerset, nella sua casa, la cosa divenne ancora più importante per lui. Su, in alto, sulle colline di Quantock, un ribelle in un avamposto… un posto che nemmeno i romani sono riusciti a conquistare”.
Per Joe Strummer, l’idea del falò – una libera assemblea di persone unite dalle fiamme che divampano aspettando l’alba nascente – divenne una forma d’arte. Il falò era il crogiuolo, la pietra della saggezza, il Santo Graal, il più importante punto d’incontro all’aperto per conversare e far nascere nuove idee.

Ideati dietro le quinte del Glastonbury Festival – dove le riunioni notturne furono chiamate Strummerville – Joe portò i suoi falò, il suo circolo di amicizie e le sue opinioni, in giro per il mondo, poi tornò definitivamente a casa nel Somerset, dove adesso è posto un cerchio di pietre per ricordare quegli appuntamenti. Per il regista Julien Temple “proprio come allora, avevamo gente di diversa estrazione sociale seduta vicino al fuoco che ascoltava la musica che era stata tanto importante per lui. Era un posto in cui ci si rilassava al calore delle fiamme. Alla luce del fuoco siamo tutti uguali, la gente famosa perde la propria importanza confondendosi con la normalità. Facendo le interviste in questo modo ci eravamo liberati dalle inquadrature dei documentari convenzionali. Stavamo cogliendo il vero senso dell’amicizia e dei legami. Dovevo farlo andare bene perché era così importante per Joe. Una volta mi disse che il falò era migliore di qualsiasi musica avesse mai scritto. Era tutto incentrato su persone che provenivano da ambienti completamente diversi e spero che abbiamo portato questa essenza nel film”. Un ricordo indelebile, per il regista: “La maggior parte delle volte, Joe era l’ultimo a restare intorno al fuoco. A chiunque fosse rimasto lì avrebbe detto: siamo tu e io al Club dell’Alba”. Tutte le interviste presentate in questo film-documentario si tengono dunque non a caso davanti a un falò: sotto il ponte di Brooklyn a New York, sulle colline del Somerset, in abitazioni private ad Hollywood.

L’unico difetto del film è forse proprio questo: ampie parti parlate e pochi estratti musicali, tutti di pochi secondi. Film che comincia con la nascita e l’adolescenza di Joe (tanti i filmini familiari), i giorni da vagabondo alla ricerca dell’utopia hippie ormai tramontata (“Arrivai troppo tardi, come un soldato che giunge sul campo di battaglia a lotta finita”), passa attraverso la prima esperienza musicale con i 101’ers e quindi arriva ai Clash. Poi, il dopo Clash, il periodo di smarrimento e di ricerca e la ritrovata voglia di far parte del mondo della musica, prima con l’esperienza nei rave (“Devo partecipare ai rave per capire cosa siano” dice uno Strummer incuriosito da questa nuova realtà, che intelligentemente lui identifica come un trait d’union tra passato e presente: “Punk e hippie insieme per lottare”). Dall’esperienza come deejay al ritorno con una band, i Mescaleros, fino all’ultimo giorno di vita, il 22 dicembre 2002.
The Future Is Unwritten è basato sull’idea del programma radiofonico London Calling, ideato dello stesso Strummer, ascoltato da circa 40 milioni di ascoltatori della BBC World Service tra il 1998 e il 2002, e sui leggendari falò di Strummerville. Ogni scena del documentario, ogni intervista, è infatti introdotta dalla voce di Joe che presenta una canzone presa da quelle trasmissioni, dando così l’idea di essere seduti davanti a una radio ascoltando il musicista ancora tra di noi.

Sono lo stesso Joe e molti dei suoi amici, le due mogli, i colleghi, a guidare lo spettatore per tutto il film, insieme alla splendida musica selezionata per la colonna sonora (pubblicata su cd già alcuni mesi fa). Canzoni dei Clash, ovviamente, ma anche alcuni dei brani preferiti del musicista, come la versione di Corrina, Corrina che Bob Dylan registrò nel 1963, o Crawfish, interpretata da Elvis, o ancora Rangers Command di Woody Guthrie.
Temple fu il primo a filmare i Clash nel 1976: “Li filmai la prima volta al concerto di capodanno del 1976 al Roxy di Londra (immagini che si vedono nel film per la prima volta, con Strummer che indossa una t-shirt con la scritta “1977”, nda). Continuai a filmarli più o meno fino al marzo del ’77, poi dovetti scegliere tra loro e i Sex Pistols. Ero amico di Steve Jones da lunghissimo tempo, così andai con loro e i Clash non mi permisero più di filmarli. C’era una forte rivalità tra i due gruppi”. A proposito di questo, cito a Julien una frase che una degli intervistati dice a un certo punto: “Sin da ragazzo, Joe continuava a dire che un giorno sarebbe diventato una rock star”. Un po’ una contraddizione, per un personaggio che lo stesso Temple definisce più un filosofo che una rock star: “È vero, le contraddizioni facevano parte del personaggio Strummer. A John Lydon (Johnny Rotten, nda) Joe non piaceva proprio per questo. Lo considerava un opportunista, uno che era salito sul carrozzone del punk solo per diventare famoso. In effetti per Joe il punk rappresentò l’ultima chance, dopo il fallimento del suo precedente gruppo, i 101’ers. Credo che John e Joe in privato avessero un rapporto migliore, ma in pubblico Lydon non perdeva mai l’occasione per sbeffeggiarlo. Comunque, per Strummer diventare una rock star non ha mai voluto dire diventare uno che si è fatto la villa in collina, voleva dire avere la possibilità di comunicare certe cose”.

Per uno come Temple che ha avuto modo di lavorare e frequentare entrambi, ci si chiede quali siano state le principali differenze tra i due musicisti: “John Lydon mi affascinava perché era uno che era venuto fuori dal nulla, senza alcun tipo di insegnamento. Strummer possedeva una forte educazione, anche se lui aveva sempre cercato di sovvertirla e distruggerla. Ma entrambi erano degli originali”.

Le strade di Temple e Strummer si divisero dal 1977 sino a circa dieci anni prima della morte di Strummer. “C’era uno strano rapporto fra me e Joe” dice Temple. “Eravamo nati nello stesso anno e avevamo condiviso molte contraddizioni, epoche ed esperienze. Eravamo insieme a Londra nel pieno degli anni 60, un periodo molto intenso. Poi ci fu il periodo hippy e la prima volta a Glastonbury nel 1971. Poi venne il periodo degli squat (le occupazioni), il ritorno a Londra, e in seguito l’inizio del movimento punk vero e proprio. Ho condiviso con Joe molti suoi spostamenti”.

Successe poi che un giorno il musicista suonò a casa del regista, che viveva nel Somerset. Cercava casa lontano da Londra, voleva ritirarsi nella tranquillità della campagna. Bastò un pomeriggio passato insieme ad ascoltare vecchi dischi per rinnovare un rapporto che trova degna consacrazione in questo film: “Fu una vera sorpresa quando, dieci anni fa, arrivò all’improvviso al cancello del mio giardino. Stava cercando un posto dove vivere nel Somerset e incontrarlo dopo così tanto tempo fu un certo shock. Trascorremmo una notte accendendo fuochi e cercando di far decollare la mongolfiera che stavo costruendo. Da quel momento in poi ci legò un’amicizia che durò fino alla sua morte”.

Il film è animato e illustrato da vignette, disegni, quadri, appunti e artefatti realizzati di suo pugno e contenuti nella grande busta di plastica che portava sempre con sé. Il cast di The Future Is Unwritten è composto dagli amici più stretti di Joe – tra loro il suo più vecchio compagno di scuola Dick Evans e i cugini Ian e Alasdair Gillies – e artisti, amici e musicisti dei suoi anni formativi. Insieme a loro c’è Gaby, la prima moglie di Joe, Lucinda, la seconda moglie, membri dei Clash, attori (John Cusack e Johnny Depp), musicisti (Bono, tra gli altri) e artisti e altri eroi non celebrati che hanno avuto un ruolo importante nella sua vita. C’è anche Courtney Love: “Non è l’unica intervistata da sola a casa sua” dice Julien quando gli faccio notare che tutti gli altri sono seduti davanti al fuoco in compagnia. “Anche Johnny Depp e John Cusack. Credo sia una cosa hollywoodiana quella di non mischiarsi agli altri” dice ridendo. Ma anche nel loro caso, non manca il fuoco acceso: “Non è stato difficile raggiungere Courtney. Ci teneva molto a essere nel film. Lei conosceva Joe bene, si frequentavano molto prima che lei diventasse famosa. E il fatto che mentre sta parlando si metta a piangere, dice bene quanto i due fossero stati legati”.


Sempre attivissimo, Julien Temple oltre che a The Future Is Unwritten ha recentemente lavorato a un’opera filmata per le strade di Sydney, a un film giallo e a un nuovo documentario sui Sex Pistols: “Hanno ricevuto un sacco di critiche per la nuova reunion. La gente non capisce che loro non sono dei semplici musicisti rock, quello che fanno non è semplice musica rock. Lo definirei pantomima, come l’antico teatro della commedia italiana. Per loro, comunicare con l’audience è la cosa più importante”. Non si occupa di biopic, Temple, la recente moda hollywoodiana, ma quando gli chiedo se dovesse farne uno su Joe Strummer quale attore gli piacerebbe avere per fare la sua parte, risponde ridendo: “Philip Seymour Hoffman (quello che fa Lester Bangs in Almost Famous e Truman Capote nel film omonimo, nda)”. A proposito dei biopic, dice chiaramente che “non mi sono piaciuti quelli su Johnny Cash e Ray Charles. Sono estremamente riduttivi di quello che quelle due persone erano veramente, nei film si raccontano i soliti clichè, le solite storie su di loro che si sono sentite migliaia di volte. Non sono film realistici. Mi è piaciuto in parte I’m Not There, anche se l’ho trovato piuttosto pretenzioso. Mi è piaciuta la parte che fa Cate Blanchett, ma non mi è piaciuta la struttura generale del film. Ma non sono contrario ai biopic, dipende da chi li fa e come li fa. La vita di un musicista è interessante, vale la pena raccontarla”.


Nella parte finale di The Future Is Unwritten si vedono alcune immagini relative agli ultimi anni di Joe con i Mecaleros: “Sì, sono prese dal film di Dick Rude, Let’s Rock Again!. Sono stati molto gentili a farmele usare. È un bel film, anche se quello che ne esce fuori non è il Joe che conoscevo io. In quel film sembra un disperato”. Poi aggiunge: “Mentre lavoravo al montaggio delle scene, mi ha colpito relativamente ai suoi ultimi momenti, notare come Joe sembrasse malato. Non so. È qualcosa che nella vita di tutti i giorni nessuno si accorgeva, visto il suo continuo attivismo. Forse avremmo dovuto accorgercene”.
“A dispetto di come viene visto nell’ambiente del rock’n’roll, per me Joe Strummer era un filosofo, ha riflettuto veramente sulla vita e i tempi che tutti noi abbiamo attraversato. Era concentrato sulla natura dell’essere umano, sul concetto di libertà, su molte cose che sono state cancellate dal nostro modo di vivere oggi. Mi diceva: pensare è il motivo per cui svegliarsi la mattina. E aveva ragione. Tra l’altro è un concetto ancora valido, dovremmo pensare. Così, se da un lato questo film è la testimonianza di una grave perdita, dall’altro è anche un inno a tutte le cose per cui Joe ha lottato”. Concludendo: “L’intera vita di Joe la associo istintivamente all’immagine della speranza. Forse siamo stati sciocchi nell’essere stati degli hippie, ma quando diventammo dei punk eravamo realmente attratti dal potere allo stato puro ed è una cosa che ho condiviso con lui. Eravamo in simbiosi”.