“THE FUTURE IS UNWRITTEN” – Il Film sulla vita di
Joe Strummer by Julien Temple
Le
vostre recensioni :
Paolo Capacci
"The future is unwritten" (che ho visto a Padova un paio di
settimane fa) è un film intenso, sudato, umanistico, emozionante
e senza seghe mentali come la storia e la musica di Joe Strummer.
Il film trasuda verità dal primo fotogramma e, proprio per questo,
è un tributo straordinario a un grande musicista e a un uomo
fuori dal comune, col pregio assoluto (che sarebbe stato apprezzato
molto da un anti-retorico come Joe) di non diventare mai agiografico
o palloso e di avere il coraggio di scavare nei lati oscuri di Joe.
Quello che ne viene fuori è un ritratto a tutto tondo di una
persona complessa, sofferta e incredibilmente creativa: di suoni, di
parole, di pensieri, di sensazioni. in una parola, di vita.
Il bello del film è che chiunque - anche chi non abbia mai ascoltato
una canzone dei Clash - può uscire dal cinema affermando di conoscere
Joe Strummer. E avrebbe ragione.
La parabola di Strummer è ripercorsa per intero, dall'infanzia
fino alla prematura scomparsa, con un montaggio frenetico e molto punk
che alterna materiali audiovisivi dell'epoca (alcuni davvero eccezionali)
a interessanti interviste a coloro che l'hanno conosciuto nelle diverse
fasi della sua vita, condotte attorno al leit-motiv dei falò.
Notevoli, a mio parere, le parti sulla vita da hippy (col nomignolo
di Woody!) e sul periodo dopo lo scioglimento dei Clash, ma è
oggettivamente difficile trovare dei momenti di calo di tensione. a
giorni di distanza dalla visione, ancora ripenso a certe immagini e
a certe scene...
Certo, vedendo la sua rinascita umana nei Mescaleros, è fortissima
la sensazione dell'ingiustizia che tutti noi abbiamo subito a perdere
troppo presto un uomo così. That's life. torno a lavorare e a
fischiettare Clampdown.
Riccardo
Ciao Mauro,
domenica della settimana scorsa sono andato a vedere il film su Joe
, impossibile dare un giudizio obbiettivo , se avessero messo uno schermo
nero con la sua voce di sottofondo già sarebbe stato bello ,
vederlo bambino già con la sua faccetta da Joe , capellone, vederlo
papà e marito , vederlo per strada a pubblicizzare un suo concerto
, vedere gli abbracci con le fans , scoprirne gli aspetti meno noti,
da un lato lo hanno fatto diventare più "umano" , dall'altra
il contrario , lo hanno fatto apparire comunque un extraterrestre ,
una persona più unica che rara e che difficilmente si può
incontrare , è una contraddizione evidente ma è così
, non ti so spiegare bene.
Incomprensibile e incolmabile la mancanza di Paul!
Emozionante comunque.
Luca
Liverani
Ho avuto la fortuna di vedere “Il futuro non è scritto”
martedì scorso, 19 febbraio, all’anteprima per la stampa,
presente Julien Temple. Una volta tanto arrivo con qualche minuto d’anticipo.
La curiosità è tanta. Quando entro in sala al Barberini
di Roma gli altoparlanti diffondono The magnificent seven. Un brivido
mi corre lungo la schiena, l’emozione comincia a farsi sentire.
Buio in sala. Titoli di testa. Poi una delle prime scene è un
colpo al cuore e allo stomaco. Bianco e nero: Joe con la cuffia in testa,
in studio davanti al microfono, attacca White riot con una rabbia e
una potenza indescrivibili. C’è solo la sua voce, la base
martellante del resto della band è azzerata, la sente solo lui
in cuffia. E’ una White riot “a cappella” . La voce
esce dallo schermo come un’eruzione, per tutto il ritornello e
la prima strofa Joe urla a squarciagola in un silenzio irreale. Poi,
all’improvviso, entrano le chitarre il basso la batteria che pulsano
come un cuore impazzito. Un’emozione incredibile. Il resto del
film? Bello, toccante, coinvolgente. Un ritratto rispettoso fatto da
chi – Julien Temple - quegli anni li ha vissuti in presa diretta
a fianco dei “rivali”, i Sex Pistols, costruito con un montaggio
serrato e affasciante di materiale di repertorio e interviste fatte
attorno ai falò di strummerville, che sfuggono l’effetto
mezzobusto. A parlare sono i vecchi amici, i compagni di strada noti
e sconosciuti, come i big dello showbiz: gente come Martin Scorsese,
Johnny Depp, Bono. Toccante il racconto dell’infanzia, del fratello
morto, dei genitori così british e così anticonvenzionali,
con foto di famiglia e i ricordi dello steso Joe, dalla sua voce calda
e roca. Poi gli anni irrequieti della giovinezza, dell’occupazione
delle case, del 101 di Elgin Avenue. Poi i Calsh, il cinema, i Mescaleros.
Un film bello perché, paradossalmente, non è un film fatto
da un fan e per i fan. Ci sono molti spezzoni inediti, certo, filmati
vecchissimi, disegni di Strummer, foto mai viste. Ma dal film non esce
la rockstar, il profeta, il portavoce del movimento e della generazione.
Esce un uomo, un artista con i suoi limiti, le sue contraddizioni, i
suoi errori, sì, anche i suoi difetti. Insomma, Il futuro non
è scritto racconta tutta l’umanità imperfetta e
grandiosa di un musicista che ha intuito il potenziale eversivo –
soprattutto dal punto di vista musicale – del punk, ma che ha
saputo presto svincolarsene dal punto di vista formale spaziando in
tutti i generi musicali, senza mai tradirne lo spirito originale, autentico,
diretto. Un musicista che con i Clash decide di cancellare la distanza
idolatrica che esisteva tra la rockstar e i fan, entrando in rotta di
collsione col sistema dell’industria discografica. Ma entra in
crisi quando i Clash diventano loro malgrado un fenomeno mondiale che
riempie gli stadi da baseball. La band non regge la pressione. Lui scappa,
cerca di ritrovare se stesso e la sua strada. Accetta da vero uomo di
invecchiare, di non vergognarsi di avere dei figli e di volergli bene,
di dover abbassare a casa il volume della radio – come racconta
lui stesso. Ed è allora che si ritrova, ritrova la voglia di
suonare con i Mescaleros. Rifiutando pressioni e offerte per la reunion
che tutti volevano, suonerà assieme a Mick Jones per un concerto
non profit, per sostenere lo sciopero dei pompieri di Londra. Morirà
pochi giorni dopo sul divano di casa sua. Una morte certo non da eroe
maledetto, da Sid Vicious o da Jimi Hendrix. Una morte normale, che
non alimenta artificialemnte un mito che se esiste, esiste solo per
la forza della testimonianza in vita di un grande artista e un grande
uomo.
Rumblebeat
Michela
Cosseddu
Vero, completo,autentico è il ritratto che Julian Temple ci dona
sulla PERSONA Joe strummer.
Per due ore ci ha fatto stare in sua compagnia, in una reunion, non
solo con tutti coloro che lo ricordano nella pellicola ( clamorosa la
totale assenza di Paul Simonon), ma anche con noi spettatori: sentire
risuonare la sua musica nel buio della sala è stata una magia,
che a volte, solo il cinema sa regalare.
Temple è riuscito a narrare la vita di Joe in tutti i suoi lati
senza sconti, anche i più personali e ,leggendo tra le righe,
gli aspetti più profondi e tormentati di un'anima, al contempo
la volontà di andare avanti sempre,sbandamenti inclusi, commoventi
le immagini con le sue figlie.
Per arrivare ad una rinascita artistica, una ritrovata strada che poteva
essere ancora molto,molto lunga.
E' proprio per questa ragione,per questa rinascita, che diventa più
difficile accettare la sua scomparsa.
L' ironia delle immagini di commento, lo stesso Joe che racconta,i ricordi
di quanti lo hanno conosciuto,la colonna sonora,ne fanno un film ben
fatto, piacevole un pezzo di storia della musica, di amicizia, tradimenti
e riconciliazioni. Da vedere.
Buona visione, ciao Joe, grazie Julian.
Luca
Tuwat
Risiedo in Germania e il film l'ho gia visto da parechio tempo. Dico
subito di non averlo trovato un granchè. Non mi è piaciuto
l'impianto -molto povero di contestualizzazioni sociali e storiche-,
non mi sono piaciute le immagini -anche se alcune riprese notturne non
sono male. Nel complesso un film girato in modo un po' aprossimativo
dove l'effetto mi sembra essere più affidato all'essere un film
su Strummer che altro . Se paragonato a Control, film sulla figura di
Ian Curtis dei Joy Division- ottime immagini, una regia attenta a cogliere
i risvolti emotivi del personaggio narrato- il film di Temple non regge
è scontato e prodotto per i fans non per chi di Strummer non
ne sa nulla.
Nel film di Temple ci sono grandi nomi Bono and so on ... ma mi aspettavo
qualcosa di più, forse un qualcosa con un maggiore richiamo anche
all'oggi dando spazio a band che portano avanti un discorso di Combact
Rock -ce ne sono tante e sono anche brave. Ho avuto a suo tempo l'opportunità
di vedere Rude Boy e nonostante non fosse anche quello un capolavoro,
alcuni contenuti della realtà sociale rappresentata dai Clash
mi sembravano essere affrontati in modo più sincero nonostante
la povertà con cui quel vecchio film era stato girato.
Ciao a tutti
Alberto
Sanna
Ho appena visto il film, è stato potentissimo!
Ho pianto ancora, come a Natale del 2002.
E non è stata la forza suggestiva di una storia cinematografica
sapientemente scritta e diretta a commuovermi, ... No ... è stato
un documentario che mi ha accarezzato l' anima!
Un documentario sulla vita vera di un uomo, dei suoi valori, delle sue
bands, dei suoi amici, dei suoi cari ... I suoi occhi, la sua voce,
I suoi difetti, la sua morte prematura, il suo amore per la vita.
Grazie J.Temple