“THE
FUTURE IS UNWRITTEN”
BY JULIAN TEMPLE
(Quel rissoso, irascibile, carissimo… Joe Strummer)
Assisto
alla proiezione del film nell’ultimo giorno del Festival del Cinema
di Torino e lo faccio quasi come se andassi a trovare un vecchio amico
che non vedo da qualche tempo.
Il “buco nel cuore” che ci ha lasciato il buon Joe (la citazione
arriva da Paul Simonon) è per me molto vivo, pur a distanza di
cinque anni esatti dalla sua scomparsa.
Come spiegare? Mi manca proprio una parte della mia stessa vita, una
fase di evoluzione personale che realmente mi aveva fatto svoltare verso
un mondo diverso, più di nicchia se vogliamo, ma più consapevole
e sensato.
Ancora oggi, vedendo per esempio foto inedite di Joe, ho un sussulto
emotivo per via delle sue espressioni, il suo (non) stile, lo sguardo
profondo e ironico, in sintesi il suo essere Joe Strummer.
Per questo ed altri motivi voglio vedere come viene ritratto il cantante
dei Clash dal regista di “The great r’n’roll Swindle”.
Per cominciare Joe non viene posto su un piedistallo bensì ritratto
con tutti i suoi bravi difetti dalle persone che più lo amano,
tanto da non far apparire il tutto come mera celebrazione. Temple è
bravissimo ad assemblare gioie e dolori, successo e cadute nella polvere,
qualità e punti deboli; tutto ciò è racchiuso nei
cinquant’anni di vita dello Strimpellatore, tutti passati con
il piede sempre pigiato sull’acceleratore, se mi passate la metafora.
Le immagini dell’infanzia sono tenerissime ed è curioso
vedere John Mellor da bambino, con “quelle” orecchie a punta
e “quello” sguardo già presente.
Gli amici di sempre, da Don Letts a Topper, lo ricordano con estrema
delicatezza e affetto, anche quando - come già detto –
gli danno addosso per certi suoi aspetti indubbiamente criticabili,
lasciandoci intendere che, comunque, si parla di una grande persona.
Le situazioni di vita sono le più disparate, ma tutte ricollegabili
ad una verità di fondo: uno dei padri del punk inglese è
stato sostanzialmente un hippy!!!!
Il suo approccio alle cose è stato sempre “free”,
proprio come il periodo dei figli dei fiori, epoca comunque da lui esplorata
e vissuta in prima persona.
Poco importa se a partire dal suo ingresso nei Clash, ha per un po’
rinnegato il suo passato e fatto finta di non conoscere le persone che
frequentava con i 101’ers.
Inoltre con “1977” sputa metaforicamente su Elvis, Beatles
e Stones… Figuriamoci, il cibo di cui si è sempre nutrito!
La figura è questa, spesso controversa, volubile, testarda, collerica…
beh certo, anche meravigliosa nel suo insieme.
Mi commuovo in modo particolare quando si vede una fan giapponese che
lo abbraccia (il periodo è dei Mescaleros) e lo stringe forte
a sé, poi si stacca e lo guarda, quasi a dire “ma sei proprio
tu??!!” e lo riabbraccia di nuovo.
Quando ho avuto occasione di incontrarlo lo avrei fatto anche io ma
avevo paura mi dicesse “Fuck off, fuckin’ cunt!”,
frase che avrei comunque apprezzato, detta da lui!!!
A Julian Temple dico grazie. Ha fatto qualcosa di importante per i giovanissimi
che non hanno avuto modo di vivere Joe e i Clash e nel contempo ha fatto
qualcosa di importante per noi più vecchi, fortunatissimi per
averlo potuto apprezzare in vita.
Il film si chiude con una riflessione profonda, sensibile, strummeriana,
dove Joe conclude così: “senza la gente noi non siamo nulla”.
Si accendono le luci, mi asciugo gli occhi, vado a casa. Alla prossima,
Joe.
Torino, 23 dicembre 2007
Alessandro Zangarini