Premessa:
questa non e’ una recensione. Perche’ non saprei scriverla,
ma soprattutto perche’ non vuole esserlo. Non potrei vestire i
panni del critico nel recensire un film sulla vita di Joe Strummer.
Un uomo che ha toccato profondamente la mia esistenza e sicuramente
quella di molti di voi che state leggendo queste righe. E' piu' che
altro un mio personale, doveroso e definitivo tributo a Strummer, il
mio modo per dirgli ancora una volta, una volta per sempre: "grazie
Joe, ti voglio bene".
Ho
il biglietto per il film da due settimane, decido di ammazzare le ore
di attesa bevendo birra e guardando in un pub Irlanda – Inghilterra
( non conosco un granchè il rugby ma e’ stato divertente
e per inciso gli irlandesi hanno letteralmente stracciato gli inglesi).
Cerco di convincere alcuni amici a venire al cinema: no scusa non posso…
e’sabato sera… e’ troppo caro… Ok peggio per voi.
Ma io la seconda proiezione europea (all’inizio di febbraio e’
stato presentato in Germania) di un film su Joe Strummer che si intitola
“Il Futuro non è scritto” non me la perdo per niente
al mondo.
Raggiungo
quindi il Cineworld in Parnell Street da solo e in fila per entrare in
sala scruto incuriosito le faccie dei presenti: molti sono sopra i cinquanta,
magliette dei Clash che occhieggiano da sotto la giacca.
Un ragazzo irlandese si siede accanto a me e parliamo brevemente del match
precedente; sorride quando gli ricordo che per San Patrizio si gioca Italia-Irlanda.
Vinceranno gli irlandesi, ma stupidamente perderanno il torneo per un
eccesso di presunzione.
Non facciamo in tempo ad iniziare una conversazione sui Clash che si abbassano
le luci in sala. L’inizio e’ da pelle d’oca: Joe Strummer
in studio che registra le parti vocali di White Riot, parte la musica,
chitarre, basso, batteria , e’ mi sembra di essere ritornato diciottenne
in camera mia intento ad ascoltare The Singles appena acquistato. Le immagini
che accompagnano il brano ci mostrano un John Mellor bambino, con la faccia
da piccolo monello, intento a giocare in giardino con il padre. In sala
l’emozione e’ piu’ che palpabile.
Le
due ore che seguono sono il racconto di una vita incredibile, caotica
e decisamente fuori dal comune di un uomo che ha creduto fino alla fine
nel rock’n’roll, nella capacita’ della musica di cambiare
la vita delle persone, e nella capacità delle persone di cambiare
il destino del mondo. Temple sottolinea il lato umano di Joe, il suo rapporto
tutto speciale con i fan (raro per una rock star), la sua capacita' di
saper ascoltare la gente e offrire aiuto e conforto nei momenti difficili.
Ci sono amici, e celebrita’ varie a raccontare la vita di Joe, seduti
al tramonto intorno al fuoco (Strummer adorava i campfire), come si raccontavano
una volta le Storie, quando il racconto orale, era l’unico modo
per tramandare una cultura, dei modelli di vita che servissero da esempio
e guida per i piu’ giovani. Tante belle faccie, note e sconosciute:
le donne di Joe, gli amici intimi, Jim Jarmusch, Steve Buscemi, John Cusack,
Sara Driver, Tymon Dogg, Don Letts, Flea, Mick Jones, Topper Headon, Zander
Schloss, addirittura Martin Scorsese e Johnny Depp. Ed e’ bello
vederli tutti li’ insieme a condividere ricordi, emozioni, pezzi
di vita. Avremmo fatto a meno, credo, di Sua Maesta’ Bono Vox, che
e’ davvero ovunque ormai... Al suo posto avrei visto volentieri
Billy Bragg. E poi: dov’e’ Paul Simonon?! Quanto mi sarebbe
piaciuto conoscere qualcuno dei suoi pensieri, lui che e’ sempre
lucido e puntuale ( e molto piu’ intelligente di quello che i male
informati possono pensare), lui che dopo Joe resta il mio “Clash”
preferito.
I natali ad Ankara, i traslochi in giro per il mondo dovuti all’esigenze
lavorative del padre diplomatico. Poi l'Inghilterra e la noiosa scuola
privata in cui lo parcheggiano i genitori; il suicidio del fratello David,
episodio destinato a segnare l’animo del giovane John per sempre.
L’abbandono del tetto paterno, la Scuola d’arte, Londra, i
lavori di merda per campare e comprarsi la prima chitarra, l’amore
quasi fanatico per il rock’n’roll, la vita da hippie nelle
case occupate, le droghe, i primi amori, i primi timidi tentativi di imparare
a suonare la chitarra sotto la guida dell’amico e compagno di vagabondaggi
europei Tymon Dogg. Il cambiamento di nome in Woody Mellor, in omaggio
a Guthrie, l’uomo che aveva viaggiato in lungo e in largo per le
strade polverose d'america prima di Kerouac e raccontato le sue esperienze
in "Bound for Glory" (“Questa terra e’ la mia terra”).
E poi la trasformazione in Joe Lo Strimpellatore e la sua prima band di
una certa importanza: i 101 ers. Di li' a poco Johnny Rotten lancia il
suo grido di guerra e niente sara' piu' come prima...
La
storia dei Clash ormai la sapete tutti ed è sufficiente leggersi
il libro di Pat Gilbert o guardarsi il documentario di Don Letts per conoscere
tutto ma proprio tutto su quell’epopea brevissima e straordinaria.
Davvero l’unica band che conta. E suona pleonastico dirlo, ma ne
avrebbe bisogno oggi di gruppi come i Clash, in tempi come questi che
quando parli di stile e romanticismo ti guardano come fossi un alieno.
Ed aveva davvero stile Joe, l’ultimo romantico del rock’n’roll.
E non era solo un fatto di testi meravigliosi e musiche di rutilante bellezza
- dice bene il Johnny Depp “corsaro” quando ricorda che c’era
verità non solo nei loro testi ma anche nelle musiche – era
qualcosa di più. Era la camicia giusta con il giusto taglio di
capelli , la posa a meta' tra guerriglieri e divi di Hollywood , e lo
sguardo ammiccante nella foto in bianco e nero. Era rock'n'roll, punk,
reggae, hip hop, rockabilly, jazz in un colpo solo. Era essere rivoluzionari
ma senza bisogno di barbe e capelli lunghi. E’ una cosa difficile
da spiegare, o la cogli e te ne innamori subito o c’è poco
da fare.
Il film si avvale di molto materiale inedito e di una buona scelta di
musiche di altri artisti, nonché della voce fuori campo di Joe
– dalle trasmissioni che curava per la BBC . Temple anima anche
alcuni disegni che il Nostro ha lasciato sparsi in un po’ ovunque.
Il tutto condito con un azzeccato stile punk tanto caro al regista (ci
sono anche fotogrammi del cartoon "La Fattoria degli Animali").
Il risultato è un ritratto appassionato, brillante e sorprendente,
che riesce a commuovere e far sorridere.
Il film prosegue e io bestemmio a denti stretti per via del mio inglese
penoso che mi permette di capire solo la metà delle interviste.
Cristo, penso, sono quasi da due mesi a Dublino e non riesco a seguire
un film…
Si arriva alla tribolata fine dei Clash: Joe che fa fuori prima Topper
e poi Mick. Anni dopo ammetterà che i Clash sono finiti il giorno
che se ne è andato Headon. E si prova imbarazzo a vedere lo Strummer
“mohicano” che rispondendo alla domanda di un intervistatore
dice di pensare grandi cose del nuovo gruppo - quello di Cut the Crap
- e sfoggia un ghigno patetico alla telecamera.
I Clash sono finiti, per sempre. A Joe non resta altro che concedersi
un nuovo viaggio nella sua amata Spagna. "Guarda", dice rivolgendosi
ad un amico spagnolo,"guarda Granada, e' un posto meraviglioso; avevo
un fratello che si e' tolto la vita. Lo amavo molto e lui si e' ucciso.
Se solo avesse saputo dell'esistenza di un posto come questo, adesso probabilmente
sarebbe qui con me. E' meraviglioso essere vivi". Ci tornera' spesso
in Andalusia, quasi avesse trovato finalmente dopo tanto girovagare la
sua casa nel mondo, lui che non ha mai avuto davvero una patria . C'e'
chi racconta di uno Strummer in lacrime sul luogo in cui e' stato fucilato
Federico Garcia Lorca; ed e' forse un verso del grande poeta spagnolo,
come nota giustamente Salewicz, il biografo di Strummer, che rappresenta
al meglio il lato piu' sensibile di Joe: "al cuore della grande arte
c'e' sempre una profonda malinconia".
Ecco allora gli anni desolati, the Wilderness Years, come lui stesso ribattezera'
successivamente, alla ricerca disperata di una nuova vita dopo i Clash;
le piccole parti da attore, qualche colonna sonora, i Latino Rockabilly
War, i Pogues. Semplicemente tira avanti illudendosi forse di poter rimettere
un giorno in piedi la vecchia banda. Lo spaesamento, la depressione e
la solitudine in cui sprofonda sono ben rappresentati da un filmato che
lo vede passeggiare in studio mentre registra canzoni per "When The
Pigs Fly", il film di Sara Driver. Devono essere stati anni duri
per lui quelli, nei quali si e' forse anche fin troppo lasciato andare,
cercando di esorcizzare i suoi fantasmi con viaggi e alcool. E' il lato
piu' debole di Joe, ma non me la sentirei di avanzare una critica.
Voglio dire: e' stato il frontman di quella che non e' solo una delle
piu' grandi rock'n'roll band di tutti i tempi. "Mi hanno cambiato
la vita", quante volte l'abbiamo sentita questa frase. Ma quante
volte l'avete sentita associata a un gruppo che non fosse i Clash? A me
e' capitato di rado. E' una cosa incredibile, il fatto, intendo, che una
rock band possa cambiare la vita di una persona. E' straordinario quello
che quei quattro ragazzi sono riusciti a fare in un pugno di anni. Quanti
vite hanno salvato dalla noia e dall'apatia. Quante giovani hanno spinto
a prendere in mano la propria esistenza per cercare di farne qualcosa
di buono o semplicemente per provare ad essere davvero liberi. E quante
volte deve esserselo sentito dire il vecchio Joe. E' una cosa che ti fa
riflettere, che ti fa sentire una grande responsabilita' e pressione.
E probabilmente per un uomo estremamete riflessivo, insicuro e tendente
all'autocritica come lui deve essere stata davvero dura trovare una strada
per ripartire con il piede giusto e il cuore leggero.
E voglio ancora spezzare una lancia a suo favore: scoprire che non era
un santo, che non si e' sempre comportato all'altezza del proprio nome,
che ha fatto tanti sbagli; scoprire questo suo lato depressivo e malinconico,
con il quale ha dovuto lottare tutta la vita infondendo ottimismo e speranza
con la sua musica, me lo ha fatto sentire ancora piu' vicino e umano,
gli ho voluto per quanto possibile ancora piu' bene, come a un fratello.
C'e' gente che impiega anni per riprendersi da un amore finito e a pensarci
bene i Clash sono stati proprio questo: un grande storia d'amore, una
delle piu' belle. E Joe sapeva che se era finita era anche - almeno in
parte - colpa sua. Ma come in tutte le grandi storie d'amore, quello che
conta non e' quanto e' durata o come e perche' e' finita, quello che conta
e' che "c'e' stata" ed era "vero amore".
Strummer
praticamente scompare dalle scene negli anni novanta (from Hero to Zero,
era solito ripetere nelle interviste) e i media si dimenticano di lui.
Forse pensa davvero di ritirarsi una volta per tutte. Ma nel mondo ci
sono migliaia di persone, piu' o meno giovani, che nutrono per lui affetto
ed enorme riconoscenza e che vorrebbero rivederlo di nuovo su un palco.
Avete presente il "Il mio nome e' nessuno"? E' un bellissimo
western di Tonino Valerii a meta' strada tra il serio e il comico, un
misto tra Sergio Leone e "Trinita'", che celebra il mito del
west e al contempo la sua fine sotto i colpi del progresso inarrestabile.
C'e' Henry Fonda, Jack Beauregard, nei panni di un vecchio pistolero cinquantenne,
una leggenda vivente, che vorrebbe andare in pensione e partire per l'
Europa. Ma il giovane Nessuno (Terrence Hill) cerca di impedirglielo:
"tu sei Jack Beauregard, il mio eroe, non puoi andartene cosi' in
punta di piedi, ti serve un' uscita di scena degna del tuo nome, proprio
come ai bei tempi!". Nessuno fa di tutto per convincerlo ad affrontare
da solo il Mucchio Selvaggio, l' ultima memorabile impresa, la piu' grande
di tutta la sua carriera. Jack al principio rifiuta ("i bei tempi
non ci sono mai stati" risponde sarcastico) , indispettito dall'insistenza
del giovane ammiratore impertinente, buffone e mangiatore di fagioli.
Ma e' tutto inutile. Semplicemente non ha scelta, deve farlo. Cosi' Beauregard
da solo mette a tappetto tutto il Mucchio Selvaggio - centocinquanta cavalieri
che avanzano in gruppo sulle note della "Cavalcate delle Walkirie"
lasciando un grande nuvola di polvere dietro di loro - ed entra nei libri
di Storia. Ogni volta che mi capita di rivedere quel film, penso a Joe
e al suo ritorno con i Mescaleros.. Anche Joe alla fine ha trovato il
suo Nessuno che gli ha detto:" cazzo, sei JOE STRUMMER, il mondo
ha bisogno di te!" Anche Joe alla fine ha tolto la polvere dalla
Telecaster incerottata, come avrebbe fatto un pistolero con la sua sei
colpi, e ha trovato il coraggio di affrontare il "suo" Mucchio
Selvaggio. Un nuova band, una nuova vita - aggiungerei anche un nuova
donna-, un ultimo giro per il mondo a cantare le nuove canzoni; ancora
una volta canzoni di liberazione, redemption songs. Nuove suggestioni
musicali, suoni da tutto il mondo. Consapevole del proprio nome, ma senza
prendersi troppo sul serio, guardando solo al futuro, come ha fatto Jack
Beauregard. Let's Rock Again!
Temple ci mostra un ultimo Strummer davvero felice di essere tornato alla
musica, che ride di se' stesso scrollandosi di dosso con un' alzata di
spalle il peso degli anni e dei fallimenti. Joe che gioca affettuosamente
con le sue bambine. Joe allegro e sorridente in giro per Tokyo, che distribuisce
volantini ai passanti, che abbraccia fans in lacrime. I tratti del volto
cambiati, ma non troppo, rilassati, sereni, a tratti comici, sembrava
quasi.... Bill Murray in Lost in Translation! Cosi' le sue ultime canzoni,
ironiche, intelligenti, dolcissime e piene di speranza: "I wanna
live and I wanna dance a while", canta in "X- ray style".
E poi quella foto tenerissima con Johnny Cash... Che bello che una delle
ultime canzoni che ha registrato sia proprio "Redemption Song"
con l'Uomo in Nero. In modi diversi hanno cantato le stesse cose: l'indignazione
per le ingiustizie, l'amore per la vita, le debolezze umane, e il disperato
bisogno di essere liberi. Alla fine erono entrambi riusciti a tornare
sulla scena, con autorevolezza e passione, scoprendo che erano in tanti
a non essersi dimenticati di loro. Infine l'utimo concerto a Londra, per
i vigili del fuoco in sciopero, e Mick Jones che a sorpresa sale sul palco
per suonare un'ultima volta insieme London's Burning... Proprio come ai
bei tempi, avrebbe detto Hill/Nessuno.
Il film si chiude con l'incofondibile voce di Joe Strummer, piu' roca
del solito, su immagini notturne di palazzi che non saprei dire se sono
quelli di Londra, Los Angeles o New York:
"I'd like to say that people . . . people can change anything they
want to. And that means everything in the world. Show me any country .
. . and there'll be people in it just trying to take their humanity back
into the center of the ring . . . . And follow that for a time. Y'know,
think on that. Without people you're nothing."
Stop. Fine. Schermo nero e titoli di coda. Niente musica. E allora, tutto
in una botta, realizzi che Joe non c'e' davvero piu', che un banalissimo
difetto cardiaco lo ha strappato per sempre all'amore dei fan e della
sua famiglia, a soli cinquantanni, proprio quando aveva ritrovato finalmente
se stesso dopo tanti anni vuoti e stava producendo di nuovo bella musica.
Che non lo sentiremo piu' cantare nuove canzoni, che non l'ho visto e
non lo vedro' mai dal vivo su un palco battere freneticamente il tempo
con la gamba. Sono in lacrime e anche l'irlandese al mio fianco si asciuga
gli occhi prima di lasciare rapidamente la sala. Penso: vaffanculo Temple,
sei uno stronzo, dovevi proprio farci piangere?
Segue un' intervista al regista con interventi del pubblico. Ma non riesco
a seguire un granche', la mia mente e' altrove. Nell'uscire stringo rapidamente
la mano a Temple: "Thanks Julien", "Cheers man". Esco
per strada e sono come stordito. Cammino per O'Connol Street nell'usuale
caos del sabato sera. Avvolto nella sciarpa passo accanto a ragazze con
abiti estivi, ubriachi bercianti, accenti da tutto il mondo. All'improvviso
sento bisogno di affetto, del calore degli amici di sempre, quelli veri,
che non ti abbandonano mai nel momento del bisogno. Allora entro in un
internet cafe', controllo la posta, cerco messaggi di amici, parole care
che mi facciano sentire un po' meno solo. Niente di niente. Esco di nuovo
nell'aria fredda ed imbocco di corsa la porta di un pub in Talbot Street
per ascoltare un po' di musica folk, poi mi sposto in un altro.
Attraverso O'Connol Bridge diretto al Doyles che trovo strapieno all'inverosimile
di giovani e studenti. Per poco non mi ammazzo scivolando sulle scale
bagnate di birra. Penso ancora a Joe. Penso che mi manca un casino, non
riesco a credere che non ci sia piu'. Poi improvvisamente la mia memoria
cinematografica mi viene in soccorso. Mi ero dimenticato che Jack Beauregard
alla fine non muore mica! No! E' solo un imbroglio messo in piedi da quel
furbacchione di Nessuno! Dopo un' impresa come quella contro il Mucchio
Selvaggio l'unico modo per uscire di scena e' morire. Ma il duello con
Nessuno e' solo una farsa per i fotografi: Jack finge di essere stato
colpito a morte e si accascia a terra. Adesso puo' finalmente salpare
per l'europa e godersi la meritata pensione. Dice a Hill:" i tempi
sono cambiati, non c'e' piu' posto per quelli come me, quelli della vecchia
scuola, adesso tocca a quelli come te, con le vostre smorfie e i vostri
lustrini. La violenza e' cambiata si e' organizzata, stai attento. Ma
ricorda che se oggi tu puoi fare quello che fai e' perche' prima ci sono
stati quelli come me". Allora a me piace pensare che anche Joe abbia
preso il suo aereo e sia tornato nell' amata Andalusia, lontano dalla
luce abbagliante dei riflettori. E mi sembra quasi di vederlo, seduto
a sorseggiare cerveza, al caldo, mentre batte il tempo con il piede ascoltando
un gruppo di chitarristi che suonano il flamenco. Col sorriso sulle labbra,
e il cuore in pace. Bevi alla nostra Joe, ma vacci piano, resta libero.
Giro
per Dublino e mi tornano in mente le parole di Strummer che ho sentito
nel film: "Hai presente quando cammini per strada, ti fermi un attimo
e pensi, ehi, cos’è tutto questo?... cavolo... sono vivo!"
Cammino e penso che in un certo senso sono sono venuto a Dublino per riniziare
tutto da capo.Che avro' appena cinque euro in tasca. Che erano anni che
volevo venire in Irlanda e che adoro la musica irlandese. Che i soldi
hanno trasformato questa citta' in un bordello luccicante per turisti,
con molta plastica e finzione. Ma anche che qui posso vedermi concerti
che fino ad oggi avevo solo potuto sognare. Che ci sono centinaia di possibilta'.
Che mi innamoro di ragazze bellissime che cantano "The Ramblin Irishman"...
Che non so come andrà a finire, ma che dipende solo da me.Che posso
davvero scrivermelo come voglio il mio futuro. Andate a vedere “The
Future is Unwritten”, quando uscira' nei cinema, perché la
leggenda di Joe Strummer e' una gran bella storia che doveva essere cantata;
una storia dalla quale si può imparare moltissimo. Vorrei chiudere
citando ancore le sue parole : "abbiamo solo questa vita, e se abbiamo
intenzione di farci qualcosa è bene iniziare adesso, perché
non sappiammo quando finirà e potremmo andarcene un giorno e non
aver lasciato niente dietro di noi".
Ciao Joe
Paolo
P.S.:
vorrei ringraziare di cuore Mauro, per aver dimostrato spesso di credere
in me quando ne avevo piu' bisogno. E grazie anche a Fla, lei sa perche'.
http://www.joestrummerthemovie.com/
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