INTERVISTA A MANU CHAO
"Il solo leader della manifestazione
si chiamava Trecentomila"

"Il solo leader della manifestazione si chiamava Trecentomila"
Intervista a Manu Chao raccolta da Anita Clara e Juan Carlos Cavazzon

Ci eravamo dati appuntamento, con Manu Chao, alle due del mattino, in uno dei bar dove lo si può vedere abitualmente, per chiacchierare un po', all'indomani del "controvertice". Vi ha partecipato anche lui, con un concerto organizzato dal Barcelona Social Forum. È come se ci accogliesse in casa sua: questo è il suo quartiere, qui tutti lo conoscono. È il Barrio Gotico di Barcellona, ma potrebbe essere San Agustí a Caracas o Cartucho a Bogotá o qualsiasi altro quartiere popolare di una città del Sudamerica. Manu Chao ha un passaporto francese ma lo si conosce come il musicista senza frontiere. E di fatto è sempre in viaggio. Chi lo incontra non può non rimanere colpito dal suo fare diretto e dal suo sorriso sincero.

Alla fine, c'è stata violenza, al termine della manifestazione di sabato 16 marzo. Non credi che il movimento dovrebbe avere un'attitudine più critica su questo?

Il problema è che la violenza ce l'hai di fronte. Se non ci fosse tanta polizia in giro non ci sarebbero tanti problemi. Bisogna tenere in conto che quelli che stanno dall'altra parte, il governo, quelli che io chiamo "i ripugnanti", bè, a loro interessa che ci sia violenza, perché è quella la prima pagina che loro vogliono vedere il giorno dopo sui giornali. Infatti se c'è violenza si scredita il movimento. È quello che è successo a Genova e che cercano di fare dappertutto. Se riescono ad avere una prima pagina che parla di violenza, possono benissimo presentare 300 mila manifestanti come tutti violenti. Ed è la prima pagina che non hanno potuto ottenere a Barcellona.

…C'è stato un tale spiegamento di polizia… Si dice che c'erano anche i missili...

Bè, non era una leggenda, era realtà. E mi sembra assurdo. Ma mi sembra allo stesso tempo interessante: si dice che siano i più potenti del mondo, sia a Genova, sia qui, sia a Fortaleza, in Brasile, alcune settimane fa... e devono rinchiudersi in un castello, circondati dalla polizia. Sembra un segno di forza, ma è un segno di debolezza. Noi, quando ci riuniamo, non abbiamo bisogno di essere circondati da misure di sicurezza, loro sì. C'è qualcosa che non va.


Si dice di te…

Si dice di me!!... [canta] fama/ mala fama/ la que te va persiguiendo/ fama/ mala fama/... Allora: che si dice di me? È che di me si dicono tante cose.

...si dice che sei un simbolo del movimento.

Questo lo dice la stampa, non lo dice la gente. È qualcosa di cui ha bisogno la stampa: hanno bisogno di simboli, sennò non vendono. Per questo io non voglio questo ruolo. Non lo voglio. L'unico simbolo che può esserci, di tutta quella gente, è la gente. Se cominciamo a cercare simboli va a farsi fottere il movimento. Ogni volta che nella storia dell'umanità ci sono stati dei leaders, alla fine si son comportati da figli di puttana. E hanno venduto i movimenti. Il leader di quello che è successo a Barcellona si chiama "Trecentomila". Quello è il leader. Per questo rifiuto l'incarico, totalmente. Io sono uno fra tanti e do quello che posso. Con i miei arnesi, come fanno tutti. Tu fai i video, e allora porti il tuo arnese che è il video; io suono la chitarra e canto, quindi porto la mia chitarra; un altro è panettiere, e ci mette il pane; e un altro è conducente di autobus, quindi lascia salire la gente gratis...

Ti pare che i movimenti antiliberisti riescano ad avere la coesione necessaria?

Io credo che per adesso ci sia abbastanza coesione. Ci sono moltissime discussioni interne, e credo che lì stia la chiave del movimento. Oggigiorno la cosa più urgente non è tanto decidere chi ha ragione e qual è la direzione per cambiare il mondo: avremo tempo per discuterne dopo. Per adesso la cosa più urgente è frenare quei pazzi che tengono il volante e che ci portano tutti alla catastrofe. Quindi quello di cui abbiamo bisogno è unione. È questo che sto tentando di fare: riunire molta gente. Tutti quelli che sono convinti che si deve dire no al futuro di merda che ci impongono, sono i benvenuti. Il pericolo più grande per il movimento è che cominciamo a discutere tra di noi.

Quale sarebbe secondo te il prossimo passo del movimento? Forse formare una coalizione politica e cambiare le cose da dentro? Così magari avremmo per chi votare, visto che tu sei solito dire che la democrazia è malata perché non abbiamo per chi votare...

No, no, no. Io credo che non sia possibile, non possiamo uniformizzare tutti quanti. La forza di questo movimento è lo sproposito di tanta gente diversa. Uniti più o meno, con idee molto diverse, ma la forza della gente è questa. In certo modo, così si può montare una democrazia alternativa, direi, che sia a Genova o qui, la "piattaforma" è fatta di molte associazioni che si sono unite fra loro. Ma chiudere tutti quanti in un partito no.


Come vedi il panorama del mondo dopo l'11 settembre?

Stanno davvero giocando con il fuoco. Sembra che alla fine il crollo delle due torri sia stata per gli Stati uniti un'occasione d'oro. Adesso possono fare quello che vogliono con il mondo, e tutti quelli che non sono d'accordo con loro sono terroristi. Bush va in Corea e fa il suo discorso e dice che ci sono i buoni e i cattivi. Io mi considero una persona buona, ma quando sento Bush alla tele, non mi da scelta, mi obbliga a stare dalla parte dei cattivi, perché come presenta i buoni, bè ... è il peggio che ci possa essere! Allora, per Bush, un Bin Laden o tu o io siamo tutti uguali. E questo è molto pericoloso, perché dire che i cattivi sono tutti terroristi, è un modo per radicalizzare la gente.

Qual è il tuo mondo "possibile"?

La cosa terribile di quello che stiamo vivendo è che se adesso ti parlo di ciò che sogno stiamo già entrando nel terreno dell'utopia. Il mondo che sogno io non è qualcosa che si può fare né in cinque né in dieci anni. Bisogna rivoluzionarlo da cima a fondo. Ho bisogno di sognare per vivere, adoro sognare, ma la realtà di ogni giorno non si nutre di utopia, si nutre della lotta di quel giorno.

Come fai, per restare indipendente e coerente quando l'industria discografica manipola tutto per questioni di marketing? Perfino Zapatero, il leader dell'opposizione socialista in Spagna, ha detto che gli piacciono i dischi di Manu Chao...

Per grazia o per disgrazia, sono un personaggio pubblico. Che parlino di me in un modo o in un altro, io non lo posso controllare. Zapatero dice che gli piacciono i dischi di Manu Chao? Io non posso dirgli, prima che faccia il suo discorso: "Ehi, signor Zapatero, se vuoi promuovere un disco, incidi il tuo, testa di cazzo". È che quando sei un personaggio pubblico, ormai non ti appartieni più.

E con la tua casa discografica?

Se parliamo del mio lavoro, dei miei dischi e della mia casa discografica, che è una multinazionale, stiamo parlando di un'altra cosa. Io non ho problemi esistenziali: nessuno mi può imporre niente. Voglio dire: io ho i diritti artistici al cento per cento, e anche a livello di vendita di ciò che è mio la mia casa di dischi non può fare niente senza la mia autorizzazione: decido tutto io. Per "Próxima Estación: Esperanza" non si è fatta nessuna campagna pubblicitaria né in televisione né in radio in nessun paese del mondo, che io sappia. Chi vuol comprare i miei dischi, che ci vada di propria volontà, non perché lo ha martellato la tele. Poi c'è un altro problema, molta gente mi dice: "Senti, Manu, non ti fa incazzare che mettano il tuo disco a "Los Cuarenta Principales" [catena di radio commerciali, ndr.]?". È che quando esce il mio disco, quando esce la mia musica sul mercato, chi sono io per dire: tu puoi passare il mio disco e tu no? Chi vuole metterlo, lo metta. Che sia in un bar sulla spiaggia, in una radio, o dovunque sia. Sono affari loro. La mia musica è uscita e considero che già non mi appartiene più. È in giro, libera. Se la mettono, che la mettano. Che vuoi che ti dica?

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