CASA DEL VENTO

Live in Firenze - 28/07/03 - Festa dell’Unità, Fortezza da Basso

 



Piccola premessa: alla Festa dell’Unità di Firenze, che si tiene come sempre all’interno della Fortezza da Basso, non ero venuto a vedere il gruppo aretino della Casa del Vento, bensì quegli splendidi fratelli marchigiani che girano per lo stivale facendosi chiamare “The Gang”. Ma arrivato sul posto ho scoperto che il live dei Severini era stato rinviato all’ultimo momento al giorno successivo. Superato lo sconforto iniziale (ho fatto più di 70 km per venire a Firenze), sono stato molto contento di apprendere che avrei potuto consolarmi ascoltando un gruppo di tutto rispetto. Tra l’altro il concerto, come del resto tutti quelli previsti in cartellone dal 16 luglio al 9 Agosto, è rigorosamente gratuito.

La Casa del Vento si presenta sul palco orfana del violinista Patrick Wright, ma il lavoro fatto alla fisarmonica (e talvolta la tromba) da Sauro Lanzi compenserà l’assenza dell’irlandese con ottime tessiture ad impreziosire le melodie.

Aprono con “Novecento”, ispirato dall’omonimo film di Bertolucci, per ricordare cos’ è stato veramente il secolo scorso: ingiustizie, guerre, sfruttamento e ovviamente lotte contro tutto questo.

La Casa del Vento ha scelto nel suo percorso artistico di abbracciare senza mezzi termini le idee di quel movimento che è venuto alla ribalta in tutta la sua forza rinnovatrice nei bellissimi e terribili giorni del G8 di Genova, giusto due anni fa. Tanto che c’è chi gli ha stampato addosso l’etichetta di “gruppo ufficiale dei Social Forum Italiani”, ma credo che loro preferiscano considerarsi semplicemente parte del movimento, come persone prima ancora che come musicisti. Non è stato sicuramente facile mettere in musica le richieste, i sogni, le speranze di questi giorni; talvolta, bisogna riconoscerlo, l’urgenza di dire troppe cose in una volta e il ricorrere frequentemente allo slogan da manifestazione appesantisce un po’ le melodie dei brani, rendendole forse a qualcuno non del tutto digeribili, ma tant’è. Questa non è musica per tutti, è musica di parte, partigiana; e poi il feeling che si crea dal vivo con il pubblico è talmente totale e coinvolgente che simili considerazioni non hanno davvero molto senso.

La formula musicale proposta è nota, ed è poi quella che ha fatto la fortuna dei Modena City Ramblers, gruppo al quale la Casa del Vento deve senza dubbio molto:folk-rock irlandese; ritmi tzigani; pulsioni mediterranee; un po’ di reggae; e infine una bella dose di attitudine punk che serve a dare forza e vigore ai brani.

A Firenze - tra l’altro nella stessa sede che ha visto nel novembre scorso celebrarsi il primo Forum Sociale Europeo - la Casa del Vento ha quindi invitato il pubblico a seguirli con la mente (ma anche col corpo, a giudicare dal movimento sotto il palco) in un viaggio fatto di rabbia e voglia di lottare ma anche bisogno di tenerezza e semplicità, il tutto attraverso le infinite storie cantate con la giusta intensità da Luca Lanzi, voce e chitarra acustica della band, nonché autore di tutti i testi.

Dalle montagne italiane della Resistenza (“Notte di San Severo”) a quelle del sud-est messicano (“Zapata non è morto”), dall’antimilitarismo di inizio secolo (“Carne da cannone”) al pacifismo odierno (“Non in mio nome”), per arrivare alle recenti proteste contro la barbarie neoliberista (“A Las Barricadas!” e “Genova Chiama”).

Due i momenti in cui il concerto ha raggiunto il massimo grado di commozione e coinvolgimento. Primo:l’esecuzione di “Notte di San Severo” introdotta dalla voce del bassista Massimiliano Gregorio: “il 16 luglio 1944 a San Severo,dalle parti di Arezzo, in un’estate molto più calda di questa, i nazisti fucilarono per rappresaglia 17 uomini, tra questi c’era anche Sivestro, nonno di Luca e Sauro Lanzi…”.

Secondo:durante la “La canzone di Carlo” si è formato spontaneamente un cerchio di persone, che abbracciandosi hanno creato un grande spazio vuoto di fronte al palco, che si è nuovamente riempito alla fine del brano mentre Luca cantava “il fiore della ribellione/ ha un seme che è volato via/ e in qualche altra splendida terra/ un giorno rifiorirà”. Applausi.

Non sono mancate poi le dediche ai poveri del mondo, schiacciati dal rullo della globalizzazione economica, in “Circus la pauvreté” e “Partendo da Est” e ai popoli che difendono caparbiamente la propria identità, come quello palestinese (“Terra nella terra”) o quello rom (“Zigani Orkestar”). Con la dolce ballata “Pane e Rose” hanno dato voce ai padri e alla loro speranza di riuscire a trasmettere ai figli un po’ delle loro idee, mentre con “Hermanos,Hermanos” hanno reso omaggio alle odierne lotte dei lavoratori: “il padrone è vivo/ e ascolta alle porte/ e attento a non protestare/ ci mandano a casa/ senza alcun motivo/ e questa è la libertà?”.

Dal vivo la Casa del Vento fa commuovere e saltare, riflettere e ballare, tra sorrisi e pugni alzati. Per chi, nonostante tutto, si rifiuta di accettare questo “sviluppo senza progresso” e continua a credere nella possibilità di portare avanti un discorso alternativo, gruppi come la Casa del Vento possono fornire un importante nutrimento spirituale.

Il concerto si chiude con una cover della storica “Hasta Siempre” (presente nel recente cd-ep pubblicato dalla band dal titolo “Non in mio nome”) e l’immancabile “Bella Ciao”. Del resto la posta in gioco è sempre la stessa: resistere; ieri contro la repressione del vecchio potere fascista; oggi contro la società consumistica e (falsamente) permissiva, che nasconde in realtà il più violento totalitarismo che l’uomo abbia mai conosciuto, perché cambia la natura profonda delle persone.

Paolo Falossi