"Quei fuorilegge della Banda Bassotti"
di Emiliano Viccaro
(per il settimanale CARTA)

Il primo appuntamento, nella sede della Gridalo Forte Records a San Lorenzo, era saltato perché Sigaro, al secolo Angelo Conti, chitarra, voce e icona «working class» della Banda Bassotti, aveva staccato tardi dal cantiere di Montespaccato; era troppo stanco e si era dimenticato dell'intervista.
Un episodio che descrive meglio di cento interviste «musicali» il mondo della Banda Bassotti, strano miscuglio di operai edili, musicisti, militanti internazionalisti, amici di pinta e di strada, una vera e propria famiglia allargata [una crew¹ si direbbe ora], il cui nome, da più di dieci anni, ha
ormai superato anche i confini nazionali.



Tutta questa storia inizia nei primi anni ottanta quando, in un cantiere edile di Roma nord, si incontrano David Cacchione [produttore e compositore], Angelo e Giampaolo Picchiami [cantante], detto Picchio: tutti e tre fanno parte della cooperativa «25 Aprile» e tirano a campare montando ponteggi, tra calce e mattoni.
Giunti, tubi, palanche e ska, strepitoso inno in levare della band, rappresenterà il manifesto più genuino [e poetico] della dura vita di cantiere. Attorno a loro, un numero imprecisato di amici che nel tempo si alterneranno, tra chitarre, batterie e microfoni, senza soluzione di continuità. Come cantavano i Clash - gruppo «cult» ispiratore della Banda - in Garageland: «Ventidue cantanti e un solo microfono, cinque chitarristi e una sola chitarra».

È anche la musica, quel che tiene insieme il gruppo, ma sarà principalmente la militanza a segnare le vicende iniziali della Banda Bassotti: «In particolare - racconta Sigaro - fu determinante l'esperienza delle brigate di lavoro in Nicaragua, a metà degli anni ottanta, per sostenere la giovane
rivoluzione sandinista». Forse il tentativo rivoluzionario più originale e meno legato all'immaginario classico latinoamericano: «In quei mesi - continua Sigaro - partecipammo alla costruzione di alloggi per studenti e di una scuola per bambini. Solo più tardi iniziammo a suonare veramente, anche
se all'inizio, oltre alla nostra buona volontà e all'incoscenza, non c'era granché. Avevamo, si può dire, un'impostazione jazznel senso dell'apertura mentale cioè della confusione».



Di ritorno dal Nicaragua, prende forma la «line up» stabile [con Fabio «scopa» alla chitarra solista, Pierino alla batteria e Fabrizia al basso], che da lì a poco darà vita alla prima produzione «ufficiale»: una musicassetta del concerto all'Istituto Fermi di Monte Mario, nel 1989; una vera e propria chicca per collezionisti - anche per la grafica di Cristiano Rea, che da allora cura l'immagine della Banda - non tanto per la qualità della registrazione [un impasto di rumori, suoni, grida e quant'altro di
vivente] ma per la carica genuinamente punk. «All'inizio - dice David - il gruppo si esibiva negli spazi occupati, Forte Prenestino e Break out soprattutto, nelle scuole e durante le manifestazioni. Nel giro di qualche anno, a Roma, si assisterà al fenomeno delle occupazioni dei centri sociali e anche lì fummo in prima fila, con la nostra musica di strada, a sostenere le esperienze d'autogestione». Nei primi anni novanta, la città è teatro di un ondata di atti razzisti e di aggressioni a militanti politici: un clima pesante, evidente, soprattutto, nelle aggregazioni fasciste che si formano nelle tifoserie del calcio. Per queste ragioni, nel 1991 nasce il progetto «Gridalo forte contro il razzismo e il fascismo», che si declinerà in un centro di documentazione, in iniziative politiche e in un disco, «Balla e
difendi», con la partecipazione dei più importanti gruppi romani: oltre alla Banda, Red House, Filo da Torcere e AK 47, in un mix dirompente di ska, punk e rap. «Quel disco - spiega David - rappresenterà una svolta da molti punti di vista; prima di tutto, dimostrava la possibilità di mantenere la scelta
dell'autoproduzione, e quindi dell'indipendenza, senza rinunciare alla qualità artistica dell1opera. Autogestione non doveva più significare, per noi, sciatteria e poca cura del prodotto. In secondo luogo, quell'album rilanciava definitivamente nell'immaginario musicale giovanile, grazie anche
ai lavori dei Gang e di Onda Rossa Posse, l'uso della lingua italiana, come forma d'espressione privilegiata».

In pochi anni, la Banda Bassotti diviene la colonna sonora di cortei musicali [come quello, storico, del 1994 contro il governo Berlusconi] e di intensissime esibizioni live, cui partecipano migliaia di ragazzi. Anche fuori d'Italia. In particolar modo, nei paesi baschi, grazie alla collaborazione con il gruppo «crossover» [un genere musicale a metà tra il rock e il rap] dei Negu Gorriak, ma anche nel resto d'Europa, con significative incursioni in America latina: su tutte, quella in Salvador, nel 1994, ad accompagnare la prima campagna elettorale del Fronte Farabundo Martí, dopo undici anni di guerra civile. Ma la semplice attitudine militante o ideologica non spiega il successo di un gruppo musicale che del gruppo musicale ha davvero poco. Un disco ispanohablante «Siamo noi, i personaggi delle nostre canzoni! - ammette ridendo Sigaro- e forse è questa semplice verità che ci fa apprezzare: in
dieci anni di 'carriera' non abbiamo mai smesso di lavorare con 'la cofana e la cucchiara', a parte i periodi di produzione e di promozione dei nostri dischi». «Ma non è soltanto una questione di necessità economica - racconta Picchio - Senza dubbio, negli anni in cui il gruppo si era sciolto, siamo tornati a lavorare a tempo pieno in cantiere. Si tratta anche di una scelta 'etica', a fianco di una straordinaria umanità». «C'è una totale assonanza tra noi e il nostro pubblico - dice David - Sembrerà retorico, ma durante i nostri concerti quel metro e mezzo che divide il pubblico dal gruppo,
sparisce dentro un legame emotivo, 'di pancia', che mescola ruoli e gerarchie.» Un feeling intenso, cresciuto anche negli anni dello scioglimento del gruppo [dal 1995, anno di pubblicazione di «Avanzo de cantiere», fino al 2001] che ha contribuito in misura decisiva alla ricomposizione della band. Occasione, la promessa fatta ai Negu Gorriak di un concerto per festeggiare la vittoria legale del gruppo basco contro il generale della Guardia civil Galindo. La sera del 17 marzo 2001, al Villaggio Globale, diecimila persone dichiaravano la rinascita ufficiale della Banda Bassotti. «L'altra faccia dell'impero» esce l'anno dopo e segna la conferma artistica e di pubblico del gruppo, suggellato da un incredibileconcerto in Giappone insieme ai celebri Red Hot Chili Peppers.


L'ultimo cd, «Así es mi vida», in uscita in queste settimane [produzione Gridalo Forte, distribuzione Extralabel per la Emi], si ispira all'esperienza degli Zebda Motivé[e]s, collettivo francese con un progetto culturale-musicale molto simile. «Abbiamo fatto un disco di cover di lotta -spiega David - perché il gruppo è cresciuto con questi brani. Ci sembrava giusto valorizzare il filo di memoria che ha segnato il nostro immaginario politico e sociale. La scelta delle sonorità è legata al fatto che da due
anni lavoriamo stabilmente con una sezione fiati, che ci ha permesso di sviluppare l'anima latina. 'Rancheras' messicane, canti del sud America, canzoni della Guerra civile spagnola, ci sono sempre piaciuti. Per questo il disco è decisamente ispanohablante». L'ultima domanda è tratta direttamente
dal manuale del «vero» giornalismo musicale, e riguarda una collaborazione desiderata e mai concretizzata.
Tutti e tre smorzano il sorriso. Solo Davide risponde: «Quest'estate avevamo incontrato Joe Strummer [il leader dei Clash, scomparso a dicembre, ndr.] e gli avevamo accennato del nostro sogno di una collaborazione con lui. Non si negò, ma ci rimandò ad un altro appuntamento. Che, come tutti sanno, non c'è più stato».
Qualche attimo di silenzio ed ecco che torna la vita di tutti i giorni: «Ci sono cinquanta fascisti all'università, davanti a Giurisprudenza - avverte Luca, factotum dell'etichetta - C'è un appuntamento a via De Lollis. Si va?».
Non è solo rock'n'roll.