DON LETTS "The Rebel Dread", intervistato allo Spazio Shake di Milano il 12 Dicembre 2008

Intervista a cura di Mauro Zaccuri per il mensile "Jam"


Incontriamo Don Letts nella sede di Shake Edizioni a Milano (molto ben realizzata la nuova libreria Interno 4, con numerose pubblicazioni dedicate alla controcultura), circa un’ora prima dell’incontro organizzato da Fridge Records con amici e giornalisti. Siamo fortunati, perché Letts ci dedica un lasso di tempo inaspettato ed esclusivo per rispondere alle nostre domande.

Jam :
Nel 1976, come DJ al Roxy Club di Londra, sei stato il principale artefice della diffusione della musica reggae fra i giovani punk. Quali erano secondo te i punti di contatto fra queste due sottoculture, apparentemente così distanti fra loro ??
Don Letts : Ai tempi del Roxy non ci fu alcuna programmazione nell’unire la musica punk a quella reggae. Fu una sorta di incidente di percorso. Le punk band in Inghilterra non avevano molti posti in cui suonare, venivano al Roxy ed io fui fortunato perché a diversi punk piaceva la musica reggae che io mettevo. In Inghilterra c’è una lunga storia di ragazzi bianchi della working class che amano la black music. Negli anni ’60 ai mods piaceva il bluebeat, ed anche prima del “punky reggae party” c’era il movimento skinhead. Ma voglio essere molto chiaro su questo punto: all’inizio il movimento skinhead era l’affermazione di uno stile, non l’affermazione di un sentire fascista. Questa gente era già sintonizzata con la black music, la vera differenza era che ai loro tempi non ci poteva essere una interazione con la gente di colore come avvenne negli anni ’70, semplicemente perché non c’era una consolidata comunità nera ai loro tempi, né persone come me nate in Inghilterra da genitori emigrati dalla Giamaica. L’effetto per noi fu molto più diretto, io sono cresciuto con gente come Joe Strummer, John Lydon, Paul Simonon, c’era una connessione che veniva direttamente dalla strada. E la connessione continuava anche nei temi politici trattati dal punk e dal reggae. I Sex Pistols gridavano “Anarchy In The UK” ed i neri cantavano “Chant Down Babylon”, il significato è molto simile. Entrambe sono musiche ribelli, fatte da sottoculture ribelli, entrambe sono orientate verso l’eliminazione di orpelli e di sofisticazioni tecniche. Il tratto che però più mi piaceva del punk rock fu la capacità di trasformare un problema in una cosa positiva. Qualche produttore reggae come Lee Perry provò a produrre dei brani punk come nel caso di “Complete Control” dei Clash. Sinceramente la sua mano nel pezzo non si sente, però ci aveva provato. Penso che invece con Mikey Dread (Sandinista 1980) i Clash ebbero una svolta positiva nella propria relazione con la musica reggae/dub ed anche con l’uso di marijuana durante le registrazioni dell’album. Joe Strummer disse che in quel periodo fumava così tanta erba che avrebbe potuto trasformarsi in un albero !!

Jam :
Quello che ha contraddistinto i giovani musicisti giamaicani nella Londra del ’77 sembra essere la volontà di non emulare nei comportamenti i loro padri, ma di cercare una propria via comunicativa attraverso la musica reggae, quasi a marcare la propria orgogliosa differenza con lo stereotipo dell’ immigrato giamaicano. Emancipazione e non emulazione. Sei d’accordo ??
Don Letts : E’ così. Quando i miei genitori arrivarono in Inghilterra dalla Giamaica erano molto ottimisti. Si sentivano indipendenti, andavano verso la madre patria, erano membri di un impero come il Commowealth. La verità è che venivano assunti per i lavori peggiori e con le paghe peggiori, erano trattati come delle merde. Quando noi giovani siamo cresciuti abbiamo realizzato che i nostri genitori non avevano raggiunto niente, non erano niente, anche se emulavano i comportamenti dei bianchi e volevano essere dei perfetti inglesi. Così ci siamo ribellati, e la musica seguì questa voglia di cambiamento, di rottura, diventando più politica, più militante. Voglio dire che prima la musica ska veniva spesso usata nei party o nelle feste di famiglia, esprimeva gioia e spensieratezza per la raggiunta indipendenza giamaicana. Ma quando la disillusione e la cruda realtà apparirono in modo chiaro, anche la musica cambiò. Questo accadde nei primi anni ’70, particolarmente con il dj Tappa Zukie e con Big Youth e le sue liriche socialmente impegnate.

Jam :
Buona parte della musica reggae, la cultura dei sound system, aveva e ha fra le caratteristiche principali quella di fare informazione. Parlare di cose concrete, che ti circondano, dei soprusi e delle ingiustizie. Credi che nel primo periodo punk siano stati i Clash a recepire con maggior coscienza questa caratteristica così peculiare ??
Don Letts : Assolutamente si. Non solo i Clash, ma anche le Slits, e successivamente anche i Public Image di John Lydon. Tutti loro capirono che il reggae parlava di cose concrete, comuni a molta gente, ed ognuno poteva relazionarsi con esso. Il disagio era comune, il portafoglio vuoto era cosa comune, e quindi non era difficile relazionarsi su cose di questo tipo. Anche queste band però provarono a portare qualcosa di nuovo nel loro modo di suonare il reggae. Pensa alla versione dei Clash di Police and Thieves ed al lavoro di Mick Jones con la chitarra, era innovativo rispetto alla versione base. Lee Perry odiava la loro versione, ma i Clash non copiavano, cercavano di interpretare a loro modo.

Jam :
Sappiamo del coinvolgimento dei punk nella musica e nella cultura reggae. Ma i musicisti reggae nel loro complesso (a parte Marley, Lee Perry e qualche altro esempio) avevano veramente un qualche interesse nella musica e nei contenuti del punk rock ??
Don Letts : Domanda interessante. Quello che il reggae ha preso dal punk fu l’esposizione sui media. Fu una cosa positiva, perché in quel periodo il sistema non passava mai la musica reggae sulle radio, mai. Invece quando il punk ha preso piede sono nate etichette come la Island ed in parte anche la Virgin, che diedero spazio al reggae. Il punk ha preso dal reggae la linea di basso, lo spirito anti-establishment, i testi impegnati e la marijuana . Il reggae ha preso dal punk l’opportunità di finire sui media, fu una dinamica importante. Ti racconto una cosa divertente. Quando Bob Marley si stabilì a Londra per circa sei mesi nel ‘77 (l’ho conosciuto bene, gli vendevo marijuana…), un giorno a casa sua mi disse guardandomi : “Don Letts, assomigli ad uno di quei sudici punk !!”. Era stato condizionato dai tabloid inglesi che descrivevano il punk come una cosa assolutamente negativa. Gli dissi : “Bob guarda che stai sbagliando. Prima cosa diversi punk sono miei amici, e secondo faresti bene ad ascoltare quello che dicono”. Lui continuò a prendermi in giro anche per come ero vestito. Ma tre mesi più tardi, dopo essersi informato parlando con alcuni giornalisti e dopo aver ascoltato il punk, Bob cambiò idea e scrisse “Punky Reggae Party”. Mi illudo di aver avuto un qualche merito in questo cambiamento di opinione, anche se assicuro che non è stato facile per un giovane come me dire a Bob Marley che aveva torto.

Jam :
Nel tuo libro “Culture Clash. Dread Meets Punk Rockers” (uscito in lingua inglese nel 2007 n.d.r.) hai detto che lo “spirito punk” non si può fermare. C’è sempre qualcosa nel mondo che si muove in avanti, basta guardare con attenzione verso nuovi posti e nuove situazioni. Sono considerazioni “positive”, che fanno capire che sei ancora “ottimista” nonostante tutto. Dove ci consigli di guardare oggi per scorgere quella storica “punk attitude” così rivoluzionaria ??
Don Letts : Non in occidente. Se guardi oggi alla cultura occidentale sembra che il punk non sia mai esistito. Nella musica delle classifiche non c’è alcuna traccia di quell’attitudine. Quando sono cresciuto io la musica mi ha influenzato culturalmente, nel modo di pensare, e mi ha aiutato ad essere chi sono adesso. Oggi purtroppo la musica è un prodotto come altri. La compri come comprare un altro paio di scarpe. Ma questo avviene in occidente. Io viaggiando molto posso dirti che in altre parti del mondo (dove non arriva Mtv …) noti che ci sono giovani che capiscono quest’attitudine e questo spirito. Capiscono che la musica può aiutare molto a comunicare idee, creare dibattito ed a mettere in contatto le persone. Joe Strummer diceva di guardare sempre verso nuovi posti, sintonizzarti verso nuove situazioni. Quello che voglio dire nel mio libro è che non si può fermare lo spirito del punk. Ancora oggi io sento di avere uno spirito punk, è lo spirito punk quello di cui stiamo parlando. Non di chitarre o di stupidi modi d’essere, ma di qualcosa che è nell’aria da qualche parte, e se è nell’aria non potrà andarsene. Ci sono altrove giovani con nuovi messaggi e nuove istanze che riescono a dialogare anche solo usando internet, ma ci provano. In occidente tutti vogliono avere successo ed avere ai loro piedi tappeti rossi. Come si può essere radicali con questi presupposti ?? Sei fottuto, è una strada senza uscita.

Jam :
Veniamo a te : DJ con il tuo Dub Cartel, filmaker, scrittore, musicista. Cosa ti piace maggiormente fare oggi ?? Cosa stimola il tuo interesse, la tua curiosità in una società profondamente cambiata rispetto al ’77 ??
Don Letts : Ribadisco. Io rimango ottimista nonostante i segnali non positivi che arrivano dalla società occidentale. La musica ha avuto una parte importante nella mia vita, ma ci sono paesi nei quali la musica fa parte della cultura ed è parte integrante del paese stesso. Pensate all’Africa, al Sud America, alla Giamaica. Quello che ho sempre voluto fare è incrociare e provare a capire le diverse culture, avere scambi che mi aiutassero ad avere nuove idee. Io ho un approccio interculturale. Il mio libro si chiama “Culture Clash” , il mio programma radio alla BBC si chiama “Culture Clash”. Anche Joe Strummer aveva un approccio simile, lui abbracciava tutte le cose che potevano interessarlo provenienti da culture diverse. Non voglio paragonarmi a Joe, ma da questo punto di vista avevamo senz’altro lo stesso spirito. Prendere le cose più interessanti che il mondo offre e provare a fare qualcosa con esse, provare a muoversi in avanti. Oggi nel ventesimo secolo abbiamo un grande problema in occidente : ognuno conosce quali sono i problemi nel mondo ma non molta gente si chiede cosa è possibile fare per risolverli. Ci sono giovani nelle strade che protestano contro il G8 e la politica dei governi, però c’è la maggioranza che li guarda dalla televisione e pensa che stanno sbagliando. Questo non va bene. I momenti di maggiore crisi sociale sono i momenti in cui ci possono essere grandi cambiamenti, dal disagio spesso si creano nuove opportunità. I giovani occidentali dovrebbero provarci, ma oggi i giovani (specialmente in Inghilterra e negli Stati Uniti) hanno una visione molto conservatrice delle cose. Si emozionano solo se gli si rompe la playstation. Nei giorni del punk usavamo dire : “non ti fidare delle persone sopra i trent’anni”. Ma se mi guardo in giro oggi potrei dire : “non ti fidare delle persone sotto i trent’anni !!”. Per fortuna non tutti sono così, ci sono anche tanti ragazzi nel mondo, nei posti più lontani dai media, che si impegnano, che usano la testa e la creatività.


Jam :
Una curiosità fra le tante. Tu hai girato il video di “London Calling” dei Clash nel 1979. Uno dei video rock più “cool” di ogni tempo. Fu tutto ben costruito a tavolino, oppure, trattandosi dei Clash, possiamo pensare a qualche forma di improvvisazione ??
Don Letts : Per la verità fu tutto accidentale. Era il mio primo video, non sapevo bene cosa fare in realtà. Dovevamo girare il video vicino al fiume, ma non sapevo che il Tamigi era soggetto all’alta e bassa marea. Siamo andati per le lunghe, siamo saliti su una barca ma la mia cinepresa si muoveva continuamente. Poi ha iniziato a piovere, diventava buio, sembrava una situazione apocalittica, ma siamo andati avanti a riprendere lo stesso. E ne venne fuori un grande video. Questo è punk rock !! Probabilmente se avessimo fatto il video con tutta la pianificazione perfetta ne sarebbe uscita una schifezza. I problemi si sono trasformati in creatività.

Jam :
Eri nella prima formazione dei Big Audio Dynamite di Mick Jones, il talentuoso chitarrista dei Clash. Hai mantenuto in questi anni un buon rapporto con lui ?? Ti abbiamo visto a Londra nel 2007 riprendere con la telecamera i concerti del suo nuovo gruppo, i Carbon Silicon.
Don Letts : Sono orgoglioso di aver fatto parte ai Big Audio Dynamite. Con Mick abbiamo fatto una larga parte della nostra vita insieme, ci sentiamo e ci vediamo spesso. Vedo Mick come vedo Paul Simonon. Paul ha detto che dopo Westway To The World non avrebbe più partecipato a film o documentari legati ai Clash. Rispetto molto questo atteggiamento. In effetti anche in “The Future is Unwritten” di Julien Temple l’unico Clash mancante è lui.

Jam :
Chiudiamo con una cosa che ci sta particolarmente a cuore : alcuni definiscono Joe Strummer (leader dei Clash scomparso nel 2002) un “profeta del rock’n’roll”. Avendolo conosciuto molto bene concordi con questa definizione ?? Joe aveva per davvero una visione profetica del mondo e delle cose della vita ??
Don Letts : Non mi piacciono le definizioni. Non mi piacciono i miti. Io amo Joe Strummer, ma credo che la cosa migliore per tenere lo spirito di Joe vivo, sia quello di andare avanti positivamente nella propria vita e di fare delle cose in prima persona. Per il resto era un essere umano come noi, con problemi e difetti, ma proprio per questo reale e vero. Ed alla fine ancor più da amare.


Ringrazio Giuliano Del Sorbo per la preziosa collaborazione e Fulvio “Devil” Pinto per le fotografie gentilmente concesse. (Mauro Zaccuri)