IL DOPO CONCERTO CON JOE STRUMMER,
Milano, 4 dicembre 1999 - Atomic Bar
di Stefano Loi

M


Tralasciando i dettagli sul concerto di Joe al Rolling Stone e relative forti emozioni, se non altro anche poiche' vigeva un clima veramente particolare all'interno del locale, con persone di almeno due decadi di differenza tra loro ma amalgamate uniformemente tra la folla, passiamo a quella che si e' rivelata una serata del tutto eccezzionale (e questa volta la doppia zeta rafforzativa e' davvero necessaria!).
Tramite un amico che conosceva l'organizzatore del concerto, vengo a sapere che probabilmente dopo il concerto, Joe si sarebbe diretto all'Atomic Bar dove aveva gia' trascorso una serata qualche tempo prima in occasione del suo avvento a Milano per la presentazione del suo nuovo album.

Ed ecco che ancora estasiato dal live appena consumato, mi dirigo con una manciata di amici all'atomic in attesa di un arrivo sul quale non facevo molto affidamento. Ma ecco che, appena dopo la mezzanotte, dalla porta di entrata del locale, vedo materializzarsi la persona che piu' di tutte, a livello artistico, ha rappresentatato per me un vero e proprio punto di riferimento.
Joe entra incappottato e sciarpato, vista la freddura milanese, con un organizzatore del concerto che lo accompagna e che, dopo un paio d'ore, lo abbandonera' alle brame dei suoi pochi fans che, come me, avevano goduto della soffiata e che al quel punto inziavano a sfoggiare sorrisi a 72 denti ed euforia tipicamente jamaicana pur non avendo ancora consumato alcuna sigaretta farcita di quell'erbetta che ben cresce al caldo della terra natale del reggae.
Le altre persone che popolano il locale, fatto salvo i "soffiatari", si guardano stranite chiedendosi il perche' di tali attenzioni rivolte a Joe e, arrivate le 2, si defilano gettando la spugna di un altro sabato comune.

Ed e' qui che parte la vera nottata chiacchereccia.
Ci si stringe sempre piu' fino a ritrovarci in una decina stretti attorno all'unico tavolo ormai popolato del locale.
Joe beve Porto rosso per scaldarsi e rolla sigarette di Golden Virginia una dopo l'altra prima di passare definitivamente alle pinte di chiara e risponde a tutte le nostre curiosita'.
I discorsi spaziano da un argomento all'altro fino ad arrivare a parlare persino delle differenze tra la cucina italiana e le abitudini alimentari degli inglesi (ma qui forse eravamo gia' arrivati al decimo giro di pinte), dei vari tipi di droghe assunte da Joe (anfetamine in adolescenza e ganja a vita) di quanti denti reali gli fossero rimasti (asserisce di averli tutti finti ormai) di come e se si fosse accorto che la maglietta "brigade rosse" da lui creata riportava una D al posto di una T (poco conta sinceramente), di come avesse fatto a prendersi l'epatite grazie ad uno sputo di un fan direttosi nella sua bocca ad uno dei loro primi concerti e di altri aneddoti riferiti piu' che altro al primo periodo dei Clash, fino ad arrivare a spiegarmi, simulando a voce il suono della chitarra, i giusti accordi di "white man in Hammersmith palais" (a detta di Joe la sua canzone preferita dei Clash ) in modo da poterla poi coverizzare con la mia band. Joe poi si alza e dopo essersi fatto offrire un paio di pinte, si dirige al bancone e offre un giro di pinte x tutta la tavolata, sempre piu' intima minuto dopo minuto, all'interno del locale ormai chiuso da un paio d'ore.
L'umanita' di Joe e l'adrenalina della situazione cancellano il tasso avanzato di alcool nel sangue e lo fanno passare come se fosse un amico di vecchia data che sta raccontando le sue vicissitudini di un periodo trascorso lontano da casa.

Arrivati alle 5 passate del mattino ci alziamo tutti dal tavolo (Joe accenna un leggero barcollamento tipicamente da "serata etilica") e col sopracciglio un po' "ancelottiano" viene invitato da mia cugina a coprirsi con la sua mitica sciarpa proprio come se fosse uno di famiglia che sta per partire e che si deve preservare per la data successiva (il giorno dopo) a Parigi.
Si rimane ancora qualche minuto fuori dal locale al freddo a chiacchierare, ci si scambiano i saluti e dopodiche' Joe viene accompagnato in hotel mentre noi torniamo a casa. Quella notte non ho chiuso occhio, forte dell'adrenalina che le emozioni di una nottata del genere hanno scaturito in me e forte della convinzione di aver creduto in una persona (nei suoi testi, nelle sue canzoni e nei suoi messaggi) che si e' rivelata esattamente, a livello umano, come avrei voluto aspettarmi, non un gesto da fottuta rock star ma semplicemente una persona vera, come, spero, tutte quelle che credevano e credono in lui.

ALWAYS REMEMBER, NEVER SURRENDER
Stefano Loi