"THE CLASH - LIVE IN BOLOGNA - Piazza Maggiore
- 1.6.1980"
Testo di Ernesto De Pascale (Tratto dal sito www.ilpopolodelblues.com)
Fa
caldo oggi per essere solo il primo di giugno, qui a Bologna e, radunati
in migliaia in piazza Maggiore, a due passi dalle torri degli asinelli,
siamo in piedi già da tanto. Poco importa però! L'evento
è di quelli destinati a passare alla storia , almeno per quelli
che, come noi, di eventi ne vivono pochi, visto, per di più,
che i confini musicali italiani si sono riaperti solo meno di nove mesi
fa con i concerti di Patti Smith, a Firenze e proprio qui a Bologna.
Questa è la città che da un paio di anni almeno, con le
sue cantine di San Vitale ha rimesso sulla carta la parola rock e non
solo quella. Il fermento locale ha naturalmente portato i più
volonterosi a diventare promoter di concerti anche internazionali. La
voce di questi ragazzi è Radio Alice.
Oggi siamo arrivati un po' da tutte le parti d'Italia; molte faccie
già le conosco : quello è Rupert viene da Genova, laggiù
riconosco i Windopen con i riccioli di Roberto Terzani ed il sorriso
di Toccia, li ho visti dal vivo al Bussola Domani alle Nocette meno
di un mese fa, poi Enrico Ruggeri con i suoi capelli color peroxide
e gli occhiali con la montatura bianca, un tipo coi capelli rossi che
si fa chiamare Red Ronnie, un po' più grande di noi che gira
con tre macchine fotografiche, molti fiorentini, Daniele Locchi e Claudio
Gherardini li riconosco subito, ma con loro ve ne sono altri.
Sul
palco i Cafè Caracas hanno già terminato da un po'; il
loro set è stato disastrato dalla pessima qualità sonora,
poi mi diranno che i tecnici avevano chiesto loro mille dollari per
accendere i monitor. I Cafè Caracas sono della mia città,
Firenze, perciò sono bravissimi (alla chitarra Ghigo Renzulli
futuro Litfiba ? n.d.r.) ed hanno un singolo che è in programmazione
su Radio Montecarlo; Awanagana lo suona tutti i giorni, una versione
punk di "Tintarella di Luna", ma oggi hanno girato a vuoto.
Un po' perché era presto, un po' perché tutti smaniano
per Joe Strummer ed i suoi Clash. Il gruppo è già un mito
da un po' e qui da noi la possibilità di vedere veri punk non
ce ne sono poi tante, se esclusi gli UK Subs e chi per loro. A Sud di
Milano non scendono certo. Non ci sono soldi, non ci sono certezze che
i locali possano accogliere questi riottosi giovani inglesi. Ecco perché
quello di oggi è e resterà un evento e l'aria calda si
fa serrata, stizzosa, irrespirabile.
Il gruppo spalla, Whirlwind, è già tornato nell'anonimato
che un'aria di diffidenza inizia a farsi strada dalle prime file al
fondo della vasta piazza; Topper Headon, il controverso batterista del
gruppo pare si sia perso per strada, questo e quello che si sente dire
in giro. I 4 della formazione pare girino in mezzi separati (forse si
odiano? A qualcuno viene in mente questo
) e il nostro, di provenienza
dalla costa azzurra come il resto del gruppo, pare, non riesca a trovare
Bologna. Impossibile, penso io, le cartine stradali le fanno apposta
!
Se ciò non bastasse pare anche, pare, che Joe Strummer voglia
suonare indossando una maglia con lo stemma delle Brigate Rosse e sempre
pare, che il sindaco stia sudando le fatidiche sette camicie per dissuaderlo.
Pare, ancora pare, che ci vorranno seimila dollari per dissuaderlo.
Vera o falsa che sia la notizia essa fa tanto rok'n'roll e tutti la
fagocitano.
Finalmente
qualcuno decide a dare il via al concerto; la gente rumoreggia, si fa
tardi, siamo più o meno tutti stanchi ma sarà questione
di un attimo per riprendersi. Il tempo di vederli sul palco che la gente
è tutta in piedi e sotto il palco. Mick Jones ha una tuta bianca
da meccanico, Simonon un giubbotto di jeans senza maniche, Strummer
una maglietta, ma non quella delle Brigate Rosse!, e, ahimè,
al posto di Topper Headon, siede il batterista del gruppo spalla. I
punk italiani erano anni che aspettavano questo momento. Si comincia
male; per tutti è una mezza delusione, la gente si guarda stranita
nonostante alcuni brani da "London Calling" siano l'urlo delle
masse e Strummer impersonifichi il vero "Working Class Hero"
di lennoniana memoria. Si capisce che c'è voglia di far restare
il concerto a futura memoria ma l'oggettività dei fatti è
quella descritta. Il gruppo non gira, grazie, dirà qualcuno,
il batterista non sa i pezzi !! e Jones è completamente ubriaco.
Al settimo brano della scaletta spunta Topper ed è un boato.
Strummer senza mezzi termini decide il da farsi. Si riparte da capo!
Ecco i veri Clash, la piazza che fino a quel momento ondeggiava indecisa
ma con lo spirito positivo descritto, esplode. E il gruppo con loro;
suonano con rabbia e , penso, per motivi molto lontani da quelli che
noi possiamo supporre : le loro risse, le lotte intestine, la voglia
di leadership di Mick Jones e Joe Strummer più volte è
stata motivo di aperti dissapori, i problemi con l'eroina di Headon,
la scontentezza di Sino mon nei confronti degli altri ed il suo amore
per il reggae e il dub, un manageriato fallace ed un pessimo rapporto
con i discografici rendono i Clash un gruppo unico, una formazione che
mostra apertamente la matrice rock&roll "classica" (matrice
che verrà ancor più allo scoperto negli anni a venire)
e che le proprie performance cariche di passione è in grado di
far dimenticare certe pochezze tecniche.
Terminerà così , come la serata che le migliaia di ragazzi
accorsi da tutte le città d'Italia si attendevano e segnerà
una pietra miliare per il nascente nuovo rock italiano. I Clash quella
sera avrebbero dato la spinta a tanti giovani di provarci, aldilà
dei mezzi e dei risultati, convincendo molti dei gruppi delle cantine
di San Vitale di venire definitivamente allo scoperto, dimostrando come
l'attitudine sia più importante di ogni altra cosa. Il gruppo
lascerà il palco sbraitando ed offendendosi fra loro, Mick Jones
semi svenuto, mentre verranno fermati alcuni tentativi di invasione
con Sinomon a difendere la postazione col basso a mò d'ascia.
Le faccie attonite dei presenti sono indimenticabili. Per i Clash sarà
solo un giorno nella loro vita burrascosa, per noi molto di più.
Nessuno poteva immaginare che da lì a poco il gruppo ci avrebbe
stupito ancora di più.
"THE CLASH - LIVE IN FIRENZE - Stadio
Comunale - 23.5.1981"
Testo di Ernesto De Pascale (Tratto dal sito www.ilpopolodelblues.com)
Dal
concerto in Piazza Maggiore dei Clash lo scorso anno a Bologna ad oggi
molte cose sono cambiate nella mia vita. Per farla breve allo stadio
di Firenze, il 23 maggio 1981, ad accompagnare i Clash in quei centodieci
metri che separano l'uscita degli spogliatoi, lato Fiesole, al palco,
voltato verso la curva ferrovia, insieme a Cosmo Vinyl ci sono io e
pochi altri.
La giornata era cominciata presto con l'arrivo degli amici romani e
l'incontro con i nuovi colleghi de "Il Mucchio Selvaggio",
la rivista per cui da un po' scrivo : Max Stefani, Maurizio Bianchini,
Federico Guglielmi e poi Giorgio Battaglia e Stefano Battioni. Allo
stadio ferve l'attività pre spettacolo. Carlo Massarini si presenta
al cancello grande della tribuna coperta numerata con la sua duetto
beige e chiede candidamente di parcheggiare dentro, sotto le tribune
(permesso che gli verrà accordato), i promoter convogliano il
pubblico sugli spalti della curva che alle 20 è un solo respiro.
La gente è pigiata, stipata, la lingua che più frequentemente
senti parlare oltre il fiorentino è il romano mentre io scompaio
giù. Nei camerini Simon sta suonando il basso dentro un juke
box che manda a tutto volume vecchi 45 giri di blue beat, rock steady
e primo dub, praticamente il suo strumento è amplificato dall'ampli
dell'oggetto vintage, bellissimo, potentissimo. Un odore pungente di
erba pervade il luogo e conto qualcosa come 200 lattine di birra aperte.
Il seguito del gruppo è vasto, colorato, informe e si muove con
il fare di chi sta partecipando a una festa. La voce roca e potente
di Strummer risuona dovunque nei corridoi, capisco che certi business
sono in mano ai neri che girano con la band mentre altri ruoli nell'entourage
sono diversificati per scale sociali che al momento mi sfuggono. E'
insomma un disordinato coordinato che, rifletto, deve comunque riuscire
a sostenere una baracca del genere, dove le spese errate si sprecano
a vista d'occhio.
Il lato estremo del palcoscenico che guarda la curva è delimitato
da un ondulato che funge anche da scenografia. Alle note di mezzogiorno
e mezzo di fuoco le luci si spengono e sullo Stadio di Firenze cade
un'atmosfera tombale, la curva, lato maratona è la prima ad applaudire
quando vede apparire dall'ombra lunga e nera della struttura il gruppo
di uomini che si avvicina a quella e io sento distintamente questo ondeggiare
umano oltre i praticabili e i tubi innocenti che ci ostruiscono la visione
completa. Saliamo tutti su uno ad uno e ci andiamo a posizionare, noi
ai fianchi dell'area di azione, loro presso le loro posizioni assegnate.
Quel che vedo da qua su mi fa venire la pelle d'oca. Sono così
orgoglioso adesso di essere a Firenze, e mi pare di conoscerle tutte,
una ad una, le migliaia di persone confluite qui oggi. Sulle ultime
note del brano registrato sta a Strummer salutare con un semplice "hello"
seguito da un più volgare e strascicato "Heee!" che
sfocia nelle note durissime di "London Calling".
C'è una compattezza, una potenza, una robustezza che solo un
anno fa non c'era, il gruppo ha assunto uno status internazionale e
la autorevolezza che si compete a una band di rockstars internazionali.
Quello che ho visto nel camerino, mi viene da pensare, deve essere solo
la punta di un iceberg ben profondo. "London Calling" è
suonata a palla dalle radio rock fiorentine e non, al Casablanca riempie
la pista, la abbiamo suonata anche noi a "Combinazione Suono"
su Radio Uno, senza problemi alcuni. La gente si sta sciogliendo, il
brano ha un significato speciale per ognuno di noi ancora adesso, qualcuno
è euforico, altri si abbracciano, qualcuno si commuove e leva
in alto il pugno chiuso. E' un concerto durissimo quello dei Clash,
che lascia spiazzati anche quelli che li avevano visti dal vivo solo
un anno fa a Bologna. Massarini fotografa da un po' dovunque con il
suo solito fare da padrone del mondo, sale e scende dalla struttura
come se il gruppo fosse lì per lui e fuma spinelli preconfezionati
che offre a tutti da un pacchetto di sigarette americane mentre io,
dalla sinistra del palco, sono a due passi da Simonon che pare ignorare
chiunque, preferisco tenere la postazione per paura di perderla e continuo
a scattare con la mia Olympus.
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"Guns of Brixton", "Charlie Don't Surf", "Magnificent
Seven", "One More Time", "Brand New Cadillac",
"Jimmy Jazz" e "I Fought The Law", immancabile bis,
sono alcuni dei brani suonati dal gruppo, e finiranno nell'oggi rarissimo
bootleg in vinile "The Clash - Impossible Mission - Live in Italy".
Dal mixer Cosmo Vinyl non si limita neanche un attimo con l'utilizzo
dell'echo e il concerto è caratterizzato da un uso spudorato
e giamaicano dell'unità di riverbero. L'effetto crea una specie
di scatola entro cui il pubblico vivrà l'intero spettacolo che
la deriva punk rende ancora più tagliente.
Alla fine dello show, il gruppo saluta laconicamente e se ne va mentre
a noi viene vietato di seguirli. Li raggiungeremo solo dopo un po' nei
camerini dove c'è posto veramente per tutti. Simonon è
disteso su un lettino per i massaggi, inerme, mentre Strummer (il bassista
ci raggiungerà poco dopo) ed io iniziamo una lunga discussione
registrata amichevole, resa ancora più friendly da uno spinello
d'erba "vera" che Cosmo Vinyl si era premunito manufarre prima
ancora dell'inizio dello show. Girano delle bottiglie di vino, ma per
i Clash berne è un fatto di quantità più che di
qualità e poi mi sembrano tutti troppi ubriachi per capire. Jones
è circondato da alcune ragazze e non familierà con molti.
Si va avanti così per un bel po', in una atmosfera da party after
concert. Poi iniziamo a salutarci mentre della loro presenza resta solo
il sudicio. Lo spettacolo lascerà un segno ancor profondo di
quello del 1980 sul nascente rock fiorentino e verrà citato come
esempio di forza e temperanza per quel punk che ormai è new wave.
Non incontrerò mai più di persona Joe Strummer ma mi piace
vederlo ancora seduto davanti a me che mi offre lo "spliff",
impegnatissimo a parlarmi di nuove band, del suo gruppo degli esordi
101'ers, di vecchie glorie, di Gene Vincent, del rock nei pub di Londra
prima dell'avvento del punk.
Del miracolo del Rock'n'Roll, insomma.
Ernesto
De Pascale, Firenze 25/12/2002