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       Mamma 
        mia : l'album solista di Joe Strummer! Già prima di appoggiarlo sul piatto, 
        questo vinile è a buon diritto in grado di evocare emozioni.  
        Dietro una anonima copertina sfocata che potrebbe essere tratta da un 
        romanzo di Stephen King (un chitarrista in stivaletti da cow boy che si 
        gode una sigaretta in piedi sul trampolino della piscina, mentre alle 
        sue spalle il giorno finisce), si affollano i ricordi di una squassante 
        ondata di rock& roll, il punk a Londra, i Sex Pistols bruciati come una 
        bomba all'idrogeno in un mazzo di 45 giri. Gli anni sono passati, le prospettive 
        modificate, e oggi sappiamo che il punk non è stato la Swinging London 
        e che i Clash non erano ne i Beatles nè i Rolling Stones.  
         
        Ciò nonostante l'uscita di un album che si firma Joe Strummer (sottotitolo 
        : "tempo da terremoto") fa il suo effetto, perlomeno questa volta. Come 
        prevedibile (o temibile) però non ci sono grosse sorprese nell'album, 
        né in bene né in male. Nessuno si aspettava in realtà che un album di 
        Strummer nel 1989 potesse avere lo stesso impatto di uno dei Clash di 
        dieci anni fa, però è un peccato ugualmente doverlo ammettere. Il suono 
        non si discosta troppo da quello dei Clash, anche se nessuno della vecchia 
        band è ospite delle registrazioni.  
         
        "Earthquake Weather" sembra "Sandinista!" senza The Magnificent Seven 
        : l'autore degli hit è lontano, ma i lati B ci sono ancora tutti. Nel 
        corso di 14 brani Strummer ci sommerge di parole, un vero fiume di parole, 
        anche se non si capisce quasi niente : folk metropolitano, ecco cosa è 
        questo album, e l'ex Clash è un folk singer elettrico. Dovrebbero trasmettere 
        le sue ballate sui mezzi pubblici a Milano.  
        La cosa più noiosa è, sembra impossibile, proprio la sua bella voce: monocorde, 
        fissa, a rincorrere sempre lo stesso giro. Al contrario gli strumentisti 
        fanno ottime cose. Lonnie Marshall è un bassista puntuale, e tira persino 
        a rincorrere Paul Simonon, ed anche le percussioni fanno il loro dovere. 
        La vera sorpresa è il chitarrista Zander Schloss, che sia all'elettrica 
        che alla latineggiante acustica crea degli intrecci suggestivi, come l'ingresso 
        di Slant Six, che sembre tratta da un album dei Velvet Underground (fino 
        a che non arriva Strummer a rompere l'incanto). 
         
        I momenti veramente belli sono rappresentati dalle tre ballate acustiche 
        ("Island Hopping" - "Sleepwalk" - "Leopardskin Limousines"), che danno 
        l'idea di come sarebbe stato l'album se il nostro avesse rinunciato ad 
        un poco della sua militanza ad oltranza. Da segnalare poche altre cose, 
        fra cui il reggae di "Ride Your Donkey", l'incedere alla Morricone di 
        "Passport to Detroit", il giro valzer del ritornello di "Highway One Zero 
        Street".Per 
        chi ha nostalgia dei Clash. 
       
        PS : Nota RadioClash. Oltre ai brani citati aggiungeremmo fra i pezzi 
        migliori : "Gangsterville" un tonico reggae "old clash style", ed il robusto 
        rock di "Shouting Street".  
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