TRIBUTO
A JOE STRUMMER
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Sono
stato tra i primi ad arrivare in un Sonar tappezzato di ritagli stampa
di nazioni e lingue diverse, i "coccodrilli" che il mondo
ha dedicato a Joe. Un'uscita di scene a luci quasi spente la sua, giacché
con i Mescaleros in fondo non è che avesse scatenato chissà
quali entusiasmi e da anni la stella baluginava semidimenticata. Una
scritta campeggia in alto, verniciata a mano su un lenzuolo barricadero:
ci invita a buttarla bene, a berci quello che Strummer non può
più e noi invece sì, oh se possiamo. In mezz'ora stiamo
stretti, il freddo è rimasto fuori e non lo fanno entrare, in
più c'è da fare i conti con un'eccitazione strisciante,
palpabile, da cui i Ratoblanco appena impadronitisi della scena - sembrano
con ogni evidenza attraversati: al terzo pezzo, una Brand New Cadillac
da paura, è chiaro che a fiammeggiare sono le lingue del sacro
fuoco, e quanto a noi ci guardiamo bene dallo Intendiamoci:
ero pronto a mandar giù non poche ma tante sbavature, non poche
ma tanta approssimazione, corollario inevitabile quando il tempo e i
mezzi a disposizione sono quelli che sono, e invece è un gran
bello show, non una parata di cover ma QUEL piglio e QUELLO spirito
ben piantati sul palco, una stringente dichiarazione d'amore e commozione.
Commozione però molto intelligentemente dissimulata, anzi ben
sepolta in un involucro di adrenalina e sussulti, anche quando il vocalist
Marco Mezzetti - che più di ogni altro ha voluto questa serata
ci regala una Spanish Bomb nuda, solo chitarra e percussioni, molecole
di rabbia-speranza in caduta libera, o come quando il mio amico David
- al suo debutto assoluto - prende a pugni l'emozione e sale sul palco
per togliersi dal petto Clash City Rockers, o come quando Police On
My Back dispiega la chitarra-sirena e fa esplodere i pensieri, tanto
che sembra venire giù il cielo. Che invece rimane al suo posto.
Con un diavolo in più, però. Stefano
Solventi |
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