STORIE E CANZONI DI LOTTA

Marino Severini:“La mia canzone”

(dal Mucchio Selvaggio del 20 Maggio 2003)



Coraggio e Speranza. Sono questi i materiali di cui ho bisogno e che di solito uso per scrivere una canzone. Sono i mezzi ma anche il fine, entrambi indispensabili: Coraggio e Speranza. Dove costruire? Dove edificare? Là, non qui, altrove. Sul terreno comune, condiviso, sulla Terra del “Noi”. Nel momento in cui costruisco non so chi abiterà poi quella canzone, lo posso soltanto immaginare. Non so chi si affaccerà da quella finestra per vedere un’alba o un tramonto, chi userà quel bagno, chi si riparerà dal freddo e dalla pioggia sotto quel tetto. È così. Magari un giorno, passando da lì, dove una volta c’era il mio cantiere, mi fermerò sul ciglio della strada e guarderò da lontano con occhio discreto gli abitanti della “mia” canzone e magari mi sentirò felice e orgoglioso. Poi via, di nuovo “sulla strada”. Scusate la metafora, ma la mia famiglia d’origine è una famiglia di muratori. Non solo, ma mio padre per più di cinquant’anni ha costruito decine e decine di case insieme a suo fratello Luigi, così come io ho scritto un centinaio di canzoni sempre con mio fratello Sandro. Tradizioni di famiglia.

Coraggio e Speranza. Sono questi i doni che abbiamo ricevuto, il tesoro nascosto, la ricchezza vera che abbiamo riportato a casa. Sono ormai vent’anni che solchiamo il paese in su e in giù e ovunque, in ogni posto dove ci siamo fermati, qualcuno ha aperto la porta del la sua casa al nostro passaggio, ci ha dato un posto alla sua tavola, molte volte un letto, ci ha presentati con orgoglio ai suoi figli, ci ha fatto sentire “parte”, appartenenti, condividendo con noi ciò che a lui era ed è più caro. Poi ci ha svelato le sue storie passate e presenti, le sue difficoltà, i suoi propositi. Così è stato, così è e così sarà. Essere parte, appartenere: questo è ciò che cercavamo ed è ciò che abbiamo trovato. E questo vale più di qualsiasi altra cosa. Uomini fra gli uomini.Questa è cultura e tutto ciò che da qui nasce e fiorisce non può non essere che la nostra, la mia cultura. Non merce, ma cultura.

E da qui, da questo luogo reale e ideale, cerco con mio fratello e “la più grande banda del mondo” di far nascere e rinascere un’altra canzone. La mia canzone; per avere il mio posto a tavola, dove poter dividere il pane e il vino, per avere parte, poiché la mia è canzone di parte, partigiana, a volte di lotta, sempre politica. Perché tutte le canzoni hanno una valenza politica, anche quelle di Ramazzotti o degli Afterhours, che ne siano o meno consapevoli gli autori. E la mia canzone, poiché nasce da qui, qui tende a tornare, magari nuova, altra, e qui e soltanto qui ha lo scopo e la funzione di essere riconosciuta poiché è riconoscente. È questo il mio modo per sentirmi utile, per dire grazie, anzi grrrrazzzzieee! La mia canzone non può essere cantata ovunque e non può essere cantata per tutti e da tutti, poiché è proprio il suo carattere partigiano che non la fa universale ma la rende eterna. È una canzone che muove da una cultura subalterna e quindi destinata a una continua emancipazione e da questo destino e desiderio di egemonia restituisce forza al Sogno. Ecco ciò che la rende immortale. Diceva Guthrie: “la musica popolare è grande se il movimento operaio è grande”.

Condivido. Ecco allora perché una canzone deve saper attraversare molte stagioni, deve saper resistere a quelle cattive e deve saper godere di quelle buone. Sarà il tempo a decidere di lei, a farla diventare non una ma la canzone. Ma a farla saranno gli uomini, senza tempo. E se volessimo sporgerci un attimo dal burrone del tempo ci accorgeremmo che sono le canzoni a fare gli autori e non viceversa. Poiché so lo alcune canzoni ci fanno crescere, maturare, riescono a rivelare quella parte di noi che ci appartiene e solo con quella potremo “avanzare”, muovere oltre e trovare posto qui nel Paradiso chiamato Terra. Coraggio e Speranza e... Fede; cos’altro ancora? Profezia, Visione e Profezia. La mia canzone è scritta non in tempi buoni, i miei non sono giorni in cui “il movimento operaio è grande”, a me sono toccati questi tempi. A me non tocca scrivere e cantare le stesse canzoni già scritte da Woody Guthrie o da Pete Seeger, da Bob Marley o da Joe Strummer, da Billy Bragg o da Giovanna Daffini... a me è toccato scrivere in tempi di sconfitta, ma non per questo ho rinunciato all’Avanzata. Non ho accettato la resa né la ritirata, e la mia non è canzone di trincea né di veglia né di cambio della guardia. Questa avanzata lenta in territori paludosi ha fatto una canzone buona da cantare, in pochi, a volte sottovoce, e questo carattere resistente le ha dato identità di canzone di lotta. Pronta e sveglia, agile e leggera, adatta alla guerriglia, alla casa per casa. Non utile alla linea ma alla strategia che si reinventa giorno dopo giorno, momento dopo momento, canzone per la Barricata.“Bandito senza tempo”, questa è la mia canzone. L’ho scoperto molti anni dopo averla scritta e incisa. Una canzone che ormai dopo più di dieci anni rappresenta per i Gang la traccia più forte, il solco più profondo nel terreno più fertile. Ebbene, ho riflettuto molto su questa canzone e sul perché questa e non altre fosse la canzone più corale, più “di lotta”, più “Gang”.

Di “Bandito senza tempo”, scritta in poco più di dieci minuti, ho ascoltato nel corso degli anni centinaia e centinaia di interpretazioni e mai una è stata uguale all’altra. L’immaginario da cui parte, che ne è fonte ispiratrice e che contribuisce a creare individualmente, è diverso eppure fa sentire insieme, uniti, identici, autentici,“Noi”.Anch’io, dopo averne sentite tante di interpretazioni, dopo averla cantata centinaia di volte, ne ho perso il significato, la mia pretesa, il mio senso. La canzone si è liberata anche del suo autore, è di tutti e di nessuno. È questa la mia canzone, quella che sa dare Profezia nel tono, nello sporgersi dal burrone del tempo, nella sua richiesta continua di un senso nuovo. Sa annunciare l’orizzonte e più in là e nello stesso tempo racconta la strada già fatta. Visione e Profezia. Forse sono questi gli elementi che caratterizzano di più il mio, il nostro modo di scrivere canzoni di lotta e che le fa autentiche, adatte all’avanzata lenta, al passo nel fango e al sudore dell’anima. La canzone che aspetto deve saper scartare di lato, deve avere la linea della cometa, il passo del cavallo nel gioco degli scacchi.

Questo fa di lei arte: la rivelazione; deve saper rivelare al suo autore prima di tutti “cose” che lui stesso ancora non sa. Un disco di canzoni del genere? Certo, “John Wesley Harding” di Bob Dylan, il “fuorilegge come Messia”: riascoltatelo se vi capita, ci capiremo meglio. Lì più che altrove viene secondo me sfiorata una verità che sottintende tutte le altre, che “ogni concetto è concepito nella sua ironia”, che la consapevolezza è illuminazione. In esso c’è il rifiuto di ogni classificazione. Ecco quindi la canzone “di lotta” che diventa solo canzone, così come Sant’Agostino nelle “Confessioni”: “Cos’è che brilla di gioia attraverso di me e colpisce il mio cuore senza ferirlo? Sono insieme una fiamma e un brivido. Una fiamma verso quanto è più dissimile, un brivido verso ciò che mi somiglia”. Coraggio e Speranza, Fede, Visione e Profezia. E poi? L’opera, se si è operai... L’idea generale dell’opera sono le linee, quindi la sua espressione. Il primo colpo d’occhio, o meglio d’orecchio, la canzone nel suo insieme, la sua anima. Poi gli ornamenti, lo stile per i suoi pensieri, le sue intenzioni, il “messaggio”. Il Tema è ciò che commuove, con la sua modulazione timbrica tragico sentimentale e le figure enigmatiche che dicono tutto e niente la cui incomprensione chiede una domanda di senso: la voce e il Testo. E poi la prospettiva: tutto al suo posto, al posto giusto, poiché è tanto grande l’importanza del posto che ne cambia completamente l’espressione. A tutto una mano di Tempo, il grande distruttore e il grande maestro. Dopo questa ricetta, servitevi pure, da soli o in compagnia.

Marino Severini