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Mitteleuropa allo sbando, primi anni Ottanta. Noia, muri, anfetamine,
piadine e capelli viola, Pci e calze a rete. Da Reggio Emilia a Berlino,
via Mosca. Sognando l'Oriente e il sol dell'avvenir. Inseguendo parole
come strisce d'acciaio, vagheggiando un Majakovskij punk, un Islam rosso
fuoco, tifando rivolta tra forme di parmigiano e Serenase. Via, allora,
alla ricerca di un altro mondo possibile, una religione buona anche
per gli atei, una ragione di vita. In principio fu Cccp, fedeli alla
linea. Ground Zero di un secolo di melodie italiche, di Sanremi e Cantagiri.
Orietta Berti come Demetrio Stratos. Tutto azzerato. Si ricomincia,
compagni. Si ricomincia da quattro accordi, dal caos, dalle balere surreali.
Si ricomincia e si finisce. Depressione caspica. Nessun luogo dove andare.
No future. Mi taglio la cresta, mi taglio le vene. Nessun luogo dove
andare tanto che si ritorna a casa. Mi salvano i muli dell'Appennino
Emiliano. Ho il fegato gonfio. Prego e leggo. Ho perfino la faccia da
asceta .Così prego e leggo. Santa Vergine del Politburo, del
Patto di Varsavia, delle Botteghe Oscure, non mi pento, non mi Pentothal,
ma una carezza la merito. Carezza di terra, la mia terra. Sono il nuovo
primitivo, ora. E non ho voglia di cantare.
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Dietro l'angolo c'è il Consorzio Suonatori Indipendenti, Csi,
ché le sigle in questa storia hanno il loro peso. Il peso di
suoni, di faccende private e di ragioni personali. Da Oriente a Occidente.
Occidente, adesso. Livido, malato. Come il mio sangue. Bonjur Ko de
Mondo, che è stato un tempo il mondo giovane e forte. Mi chiamo
Ferretti Lindo Giovanni, segno della Vergine. Mi ha fatto nascere un'ostetrica
che aveva le mani sporche di patate. Per questo mi salvo. E canto. Il
profeta del punk diventa profeta del sé, dello sfacelo occidentale.
Accanto Zamboni, sempre. Sembrava sempiterno Zamboni Massimo, esperto
di chitarre grattugiate, l'intellettuale, il mite con la guerra nelle
dita. Vrum, vrum. Accendi l'amplificatore che si accende la notte in
Finistere. Gli altri dilettanti in selvaggia parata sono Magnelli e
Maroccolo dei Litfiba, così epici, così carnali, troppo.
Io sono pelle e ossa. Ho sempre freddo. Prego. Prego ai vespri, suono
la campana della chiesa del mio paese, salmodio. Sono il muezzin. Sono
Sua Santità che incontra il Buddha nella Sinagoga di Roma, i
fratelli ortodossi e gli islamici. Cinquantadue milioni di rosari da
sgranare, nessun conforto. Ma stavolta il futuro vorrei prenderlo per
la coda perché ha occhi chiari, quelli di Ginevra che è
la sola che canta con me, contraltare morbido, di velluto. Il femmineo,
cavità di donna che sopporta il peso del Ko de Mondo.
Come gli ex Litfiba che a differenza di me conoscono la lievità
dei suoni e sanno plasmarli come creta. Come Giorgino Canali, che è
l'unico che mi manda a fare in culo perché è punk anche
se non si tinge i capelli. E insomma mi salvo. Chi c'è, c'è,
d'altra parte. Devo averlo introiettato talmente bene che qualcuno mi
scambia per un miracolato. Sono il superstite dell'Occidente-Oriente
che cammina per divina scommessa, sale sul palco. Sono Padre Pio e la
folla viene a celebrare le stimmate, le mie. Pretende il miracolo, firmo
autografi. Mi adorano. Posso dire tutto e il suo contrario. Ora posso
osservare le macerie. Con calma. Chiedete pargoli, vi sarà dato.
Quando mi va, se mi va. Ora mi va di cantare.
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Ecco la Jugoslavia. Ex. I suffissi andrebbero studiati dagli storici.
Brucia la biblioteca di Sarajevo. In Italia è il 1996, dall'altra
parte del mare non so. Deve essere Medioevo. Non so farmi i cazzi miei,
ho letto troppo, ho pensato troppo. Penso, ho le ulcere a furia di pensare.
Che cos'è la Jugoslavia? Dov'è? Occidente, Oriente. Brucia.
Brucia anche l'estetica della morte . Perché devo fare i conti
con tanto dolore? Perché me lo sento addosso? No future, di nuovo.
Vorrei trovare una Linea Gotica e la invento di sana pianta. Uno spazio
popolato da. Fenoglio e i partigiani, da memorie e orrori. I consorziati
che mi stanno accanto deglutiscono l'insopportabile, perfino Ginevra
che è la sola che canta con me, abbassa la voce e la trasforma
in un sussurro. Che non è bene. Ma la libertà di essere
il miracolato impone delle scelte Come la disperazione che implica dei
doveri, mentre l'infelicità può essere preziosa. Non canto
più, ma è uguale. Predico, parlo d'amore solo al mio cavallo,
Tancredi. Ogni tanto sogno. Vado in Mongolia.
Un, due e tre, chi non scappa resta a me. Benvenuti, signore e signori.
Le chitarre ricominciano a sfrigolare, Ginevra, la tacitata, strilla.
E io pure. Che la terra è pesante non si può sopportare.
Urlo, urlo. M'importa 'na sega. Urlo. URLOOOOOO. Ho le ossa rotte ma
ricomincio dall'inizio. Ci provo, almeno. Vrum, vrum. Voglio sentirmi
vivo come se fosse il principio. One, two e Tre. Tabula Rasa Elettrificata.
Ho lasciato che il mio gruppo camminasse attorno al baratro, mi sono
imposto percorsi gotici, ho ritrovato la via della seta che carezza
i pensieri. Vorrei pacificami il cuore. Dio, vorrei fingermi giovane,
inesperto, strillatore, provocatore. E non mi riesce. Li porto tutti
a Mostar, nella Bosnia sventrata. E' un pezzo del mio cammino iniziatico.
E' il mio percorso, il mio destino. Il destino dei Csi suonare in due
città, a Ovest e a Est, camminare lungo la Neretva che odora
di sangue. Il mio destino, santa Vergine di Medjugorie, divino Dalai
Lama. Cerco, cerco un segno, io che sono il miracolato, io che ho le
stimmate. Dio dell'elettricità e della guerra, Madre dei quattro
quarti, Stella Mattutina, Signora delle mezzelune e delle rovine. Ora
pro nobis. Prega per me, predestinato a distruggere quanto creo. Perfino
la mia poesia. Luce dell'alba, Virgo purpurea, piove a Mostar. Piove
e io urlo. Noi urliamo, essi urlano. Uno, due e tre. Fine. La morte
è insopportabile per chi non riesce a vivere. Perdo Zamboni e
Zamboni perde me. Il Consorzio si scioglie che dopo tanto, dopo tutto
questo, era inevitabile. Il più grande gruppo folk d'Italia.
Questo eravamo. Folk elettrificante, folk elettrogeno, folk fulmineo,
folk di tempesta, di testa, di pleure tirate all'inverosimile.
Celebro il lutto di Tancredi con Codex. Trasformo il buio in sprazzi
digitali, in codici moderni. Incontro l'Africa. Torno a cantare ma solo
per gli Zulu. Sono il miracolato a caccia di un altro segno, di una
ragione, del senso, perfino di una formalità utile per respirare.
L'avevo scritto tanto tempo fa, chissà dove: "non tutti
possono, tendendo le braccia, afferrare la sorte, schiaffeggiarle la
faccia". Neanch'io potrei, ma mi tocca. Ho male alle braccia, ho
una febbricola da esploratore punto dalla zanzara malarica. Invece è
un tumore. E mi salvo di nuovo. Miracoli, miracoli, miracoli. Datemi
un assolo di tromba, ora. Che la febbre è passata e voglio provare
a danzare. La tromba di Davis, di Coltrane. Oriente e Occidente e in
mezzo il Continente Nero. Visioni. Quando i consorziati mi chiedono
di tornare, sono pronto. Scriviamo musica e parole in 10 giorni. L'11
settembre sono in una saletta bianca e rumorosa, aspetto un aereo per
il Sudafrica. Ground Zero, un nuovo Ground Zero, quello vero I suppose.
L'Occidente crolla in diretta tv in una nuvola di calore, detriti, acciaio,
vetro, sangue, cellulari spenti, buio, niente. L'Oriente è pronto
a contare i suoi morti. Sono vivo, malgrado me. E il gruppo è
vivo, ha trovato un produttore che si chiama Hector Zazou, il primo
che ci permettiamo dopo tanti anni. Un francese tutto faccia e occhiali,
mani di fata, orecchie da signore. E' fatta, torno a cantare,. Respiro.
Respiro forte. Vivo. Dopo tante sottrazioni, vivo. Aggiungo aria ai
polmoni. Aggiungo suoni. Aggiungo musica.
Stavolta canto per davvero, con Ginevra. Intersecarsi di voci. Siamo
un post-gruppo di post rock. Siamo post l'11 settembre. Post rivoluzioni,
post folk, post Vergini. Le basi di Maroccolo, Magnelli e Giorgino vengono
scremate. Zazou si prende l'essenza, a noi lascia armonie che odorano
d'umido, di bruma, di Appennino visto da un Ko de Mondo nuovo. Mondo
derelitto, certo, ma eccoci. Eccoci a raccontare la storia di Montesole
dove il 29 giugno ho letto gli scritti di Don Dossetti davanti ai fedeli
raccolti per assistere al miracolo, ecco Settanta, una filastrocca che
contiene un decennio come fosse un gioco. Le mie filastrocche acide
sparate in faccia all'universo. Come Ah! Le Monde, dove ridicolizzo
e picchio. Ma poi è lieve svenire nella lievità di Sorgente
D'Asia, nella superba bellezza di Come bambino, nella chiave di volta
di Tramonto D'Africa. Nero, nera, nero, nera. Riparto, ripartiamo da
qui. Dal post continente, dai ritmi in sincrono, dal puro gusto di suonare.
E' la catarsi. Sono araba fenice. Felice, forse. Felici tutt'al più
che altrove c'è doi peggio. L'Occidente si frantuma e Ginevra
aspetta un figlio. Non canto l'amore, che si canta da sé. Ma
stavolta va bene anche così. Con le parole di 11 settembre 2001,
che se Pasolini solo potesse leggerla ora, dopo tante tonnellate di
banalità, forse sorriderebbe ripensando a Valle Giulia. Vivo,
nero, bianco, Lindo, post guru, low-fi da zero assoluto, canzoni del
mare freddo, dell'anima. I mie incubi che si disgelano nelle melodie
del contemporaneo, nei ritmi d'acqua, nelle chitarre che somigliano
a sirene, nelle percussioni ricche e scure, nel canto della terra che
rotea. Rotea. E. canto. Vivo. Viviamo. E fulminiamo.
Per grazia ricevuta.