"OUT ON THE STREET" di Mauro Zaccuri
Quando la musica sapeva parlare
IL TRENTENNALE DEI CLASH (1976 - 2006)

 
6 . REBEL WALTZ : IL SOGNO RIVOLUZIONARIO DI SANDINISTA!
Lo sforzo più grande prima dell'epilogo.

Nota : Sull'articolo non esiste alcun copyright. La sua riproduzione è dunque libera e consentita , purché non sia a fini commerciali o di lucro. Vi chiediamo solo, se del caso, di citare il sito e l'autore del pezzo.


“Volevamo estenderci in ogni direzione, musicalmente. Anche i testi spaziavano in modo fantastico su diversi argomenti, erano diversi in molte cose. Volevano far riflettere la gente o dare alla gente informazioni, affinché potessero prendere coscienza delle cose. Anche il titolo, Sandinista!, fu visto al tempo come qualcosa di istruttivo. La gente si chiedeva : Cos’è questa cosa?, è la prima volta che la sento nominare. La gente in tutti i posti, lo ripeteva, Sud America….. Notava che qualcosa era accaduto” Mick Jones, nel 1999 in Westway To The World

“Stavo cantando questa canzone, “Washington Bullets”, e c’era un verso che riguardava il Nicaragua. Venni fuori con questo verso e lo urlai. Mick disse : questo è il titolo dell’album, ed io ci cominciai a pensarci su. Avevo saputo qualcosa sui Sandinisti solo attraverso un mio amico a San Francisco che mi aveva inviato diverso materiale sul movimento. Non avevo letto uno straccio di notizia sui quotidiani riguardo l’argomento, quindi ci immaginammo che avremmo potuto usare meglio quello spazio”.
Joe Strummer, NME 1981

“Abbiamo davvero desiderato avere un titolo che potesse essere utile per ogni persona. Fu qualcosa che volle attirare l’attenzione della gente verso dei fatti che stavano accadendo in quel periodo”.
Mick Jones, alla fanzine Rip It Up

L’obbiettivo di far “aprire gli occhi” alla gente che li seguiva, è sempre stato costantemente perseguito dai Clash. Ed alla base di questo processo un ruolo di primo lo giocava (e lo gioca, alla grande) l’informazione. La scelta del titolo “Sandinista!” (album triplo, dicembre 1980), fu infatti in primo luogo un tentativo di mettere al centro dell’attenzione di milioni di giovani in tutto il mondo, il successo della rivoluzione Sandinista in Nicaragua nel 1979. L’informazione attraverso il rock’n’roll : i Clash volevano far sapere a più persone possibile che poco tempo prima una rivoluzione popolare e socialista aveva trionfato, dopo anni di lotte, in un piccolo paese del Centro America. Il significato simbolico era ovviamente di grande importanza, ed andava ad alimentare quel sogno rivoluzionario, socialista, idealista e romantico tanto caro soprattutto a Joe Strummer. La vicenda del piccolo popolo nicaraguense che combatteva e si liberava del dittatore Anastasio Somoza fiancheggiato dagli americani, che si riappropriava del proprio destino nel periodo in cui Margareth Thatcher era al potere e Reagan stava entrando alla Casa Bianca, doveva forzatamente avere una adeguata visibilità ed anche una degna colonna sonora. I Clash fornirono entrambi gli elementi alla causa Sandinista.

Come già indicato nell’articolo precedente, i Clash cominciarono a leggere documenti, forniti da Mo Armstrong, sulla lotta del FSLN (Frente Sandinista de Liberacion National) già qualche anno prima a San Francisco. A Strummer in particolare Armstrong diede il libro “The People’s War” ed altra letteratura relativa alla vittoria sandinista, ed il rocker britannico sviluppò velocemente un notevole interesse per le sorti di quel popolo e di quella terra, stimolato dal suo innato senso di solidarietà verso le cause degli oppressi ed anche dalla conoscenza di un altro dramma latino americano : quello del golpe fascista di Pinochet in Cile. Furono gli esuli cileni conosciuti a Londra nei primi anni ’70, nel “periodo squatters” e dei 101’ers, a portagli le testimonianze dirette di quella dittatura, e certamente gli avranno raccontato della storia di Victor Jara, autore di meravigliose ballate , al quale i militari di Pinochet tagliarono le mani, simbolo del suo essere musicista, prima di finirlo nello stadio di Santiago.
Strummer rimase coinvolto nelle vicende drammatiche, eroiche e passionali di un continente, quello sudamericano, che difficilmente lascia indifferenti. A conferma di questo coinvolgimento ideale del rocker britannico, arriverà, nel 1988, la composizione della colonna sonora del film di Alex Cox “Walker” (che consiglierei di rivalutare, vengono fuori inaspettate capacità compositive di Strummer), dedicato alla figura di William Walker, un sedicente condottiero deciso a conquistare il territorio latino-americano, per conseguire il potere e rovesciare i conservatori di Granata, proprio in Nicaragua.

Peraltro la vittoria del FSLN contro la “dinastia dei Somoza” tanto cara agli americani, è di quelle davvero appassionanti nella loro drammaticità, dove l’elemento del coinvolgimento popolare è realmente protagonista. Fondato addirittura nel 1961 l’FSLN, nato nel nome del rivoluzionario Augusto Cesar Sandino ucciso dalla famigerata Guardia Nacional nel 1932, ci mise quasi vent’anni a scalzare i somozisti, pagando un prezzo di 60.000 vittime fra guerriglieri e civili, compiendo azioni spericolate quanto efficaci, sostenendo scontri durissimi con la Guardia Nacional, lottando contro le ingerenze di ogni tipo provenienti da Washington (amministrazione Carter), ma riuscendo alla fine a trascinare gradatamente nella lotta la popolazione appartenente a diversi ceti sociali, compresi, nella parte terminale del processo rivoluzionario, la borghesia ed anche il clero (ma qui il “flirt” fu davvero breve).

Finalmente, il 17 luglio 1979 (diventerà il “dià de la alegrìa”), l’ultimo Somoza fugge (con le casse dello stato, as usual) dal Nicaragua, ed il 19 luglio i Sandinisti entrano trionfalmente a Managua, indicendo per il giorno successivo un’enorme manifestazione popolare dedicata alla memoria di Carlos Fonseca, fondatore del FSLN. La rivoluzione sandinista fu “l’utopia distribuita”, una rivoluzione che venne successivamente difesa strenuamente, contro gli attacchi dei Contra finanziati da Reagan, da migliaia di volontari provenienti dal Nord America, dall’Europa, dagli altri paesi dell’America Latina. Una solidarietà importante che può essere paragonata idealmente a quella scattata a favore della Repubblica durante la guerra civile spagnola del 1938. Dichiarava Tomas Borge, uno dei leader storici sandinisti, nel 1979: “Abbiamo vinto la guerra contro il somozismo. Adesso dobbiamo affrontare la guerra contro l’ignoranza ed il ritardo economico, la guerra per ricostruire il nostro paese. Il popolo ci ha seguito nella nostra lotta contro la Guardia Nacional. Noi gli chiediamo di rimanere con noi, nella nostra lotta per la ricostruzione. La ricostruzione non sarà fatta in un giorno, e richiederà tempo e lavoro, ma la rivoluzione non sarà mai tradita”. Non finirà bene, i sandinisti non riusciranno a sopportare l’attività controrivoluzionaria dell’amministrazione Reagan oltre a qualche errore proprio nella gestione del potere. Naturalmente tutto ciò che accadde in Nicaragua durante gli anni ’70 venne praticamente ignorato dalla stampa filogovernativa americana. Dal 1960 al 1978 (cioè poco prima della caduta di Somoza) vennero dedicati alla esplosiva situazione nicaraguese solo tre editoriali. Il Nicaragua non interessava a nessuno, almeno finchè la dittatura non venne davvero messa in concreto pericolo.

I Clash ebbero la capacità, la felice intuizione, di “puntare i riflettori” sul successo Sandinista, creando una particolare connessione fra gli ascoltatori distribuiti su scala mondiale ed il mondo degli oppressi, dei diritti calpestati, della violenza come regola di vita , della povertà senza fine. Fu probabilmente il primo esempio di globalizzazione attraverso la musica di un messaggio rivoluzionario così esplicito, che davvero riuscì a toccare l’anima di moltissimi ragazzi. In “Sandinista!” la denuncia della politica imperiale americana, alla loro volontà di imporre il proprio marchio agli altri paesi con la forza, fu chiarissima (vedi “Washington Bullets” in cui si ricordavano però anche le aggressioni imperialiste cinesi e russe). Ma lo sforzo politico presente nei testi del triplo dei Clash coinvolse anche la vecchia Inghilterra (“Something About England”, “Corner Soul” che in qualche modo anticiperà la rivolte nelle città inglesi nell’estate ’81) , divenne anti-sistema (militare,sociale,economico) con “The Call Up”, “Kingston Advice”,“The Equaliser”,”One More Time”,”Up in Heaven”.

“Sandinista!” fu un album politico, internazionalista, fuori dagli schemi (molti recensori inglesi ci capirono poco restando completamente spiazzati, e devo dire che anche per il sottoscritto fu uno choc sapere che “The Magnificent Seven” passava nelle peggiori discoteche di Milano ), con eccellenti testi (a parere di chi scrive il talento di Strummer da questo punto di vista è paragonabile ai più grandi della “scrittura rock”) e grande musica, principalmente black music, in tutte le sue diramazioni, classiche ed innovative : si passava dal funk, al reggae, al dub, al rap assimilato velocemente da Mick Jones nelle strade di New York (i Clash furono una delle primissime rock band a mettere in pratica la lezione di Grandmaster Flash, poi invitato ad aprire il primo dei loro ormai mitici concerti al Bond’s in Times Square). Come spesso accadeva musica e testi fluivano spontaneamente sulla base delle esperienze di vita dei membri nella band. Ad esempio “Corner Soul” e “Let’s Go Crazy” vennero composte dopo che Strummer e Simonon parteciparono di nuovo, nel 1980, al carnevale giamaicano di Notting-Hill. Fu un carnevale con momenti di tensione non paragonabili agli scontri del carnevale del 1976, ma fu sufficiente il “clima”, il fatto di ascoltare il sound militante proveniente dai sound systems per fornire le ispirazioni giuste ai due Clash. La spontaneità, la genuinità, l’eclettismo (si noti anche l’influenza del cinema attraverso il film di Coppola “Apocalypse Now” che stregò letteralmente Strummer), l’intelligenza e lo spessore presenti nei 36 brani di questo storico triplo, contrassegnarono il periodo di massima creatività artistica dei Clash, che registrarono il tutto partendo dai Pluto Studio di Manchester (febbraio ’80 con “Sheperds Delight”), passando agli Electric Lady di New York (“Fu il miglior periodo di sempre. Essere a New York, negli studi di registrazione di Jimi Hendrix, era tutto un flusso continuo” disse Strummer) dai Channel One Studios di Kingston per la registrazione di “Junco Partner”, e terminando ai Wessex Studio di Londra.

Se i Clash furono, e lo furono, un gruppo capace di cambiare la faccia del rock’n’roll, “Sandinista!” può essere definito l’album che ha determinato una cultura politica nella musica rock, influenzando successivamente gente come i Public Enemy ed i Rage Against The Machine, i quali si avvicinarono a loro volta ad un'altra importantissima lotta popolare sudamericana, quella zapatista condotta dal comandante Marcos in Messico. Un disco ancora oggi attuale, che a ben vedere potrebbe anche funzionare bene come colonna sonora del movimento no-global. Le tematiche sociali e politiche presenti nel triplo ispirarono in alcuni casi scelte personali radicali; sentite a tal proposito Michael McCaughren dell’Irish Times : “La prima volta che seppi della rivoluzione sandinista in Nicaragua fu guardando la copertina di “Sandinista!”, comprato con la paghetta di Natale. Cinque anni dopo mi ritrovai sdraiato con la febbre su un letto di un polveroso villaggio rurale del Nicaragua, un viaggio “punk-rock politico” ispirato dal magnifico triplo album dei Clash”. Un triplo ancora una volta imposto al prezzo di poco più di un album singolo (5,99 sterline inglesi), con la Cbs che a fatica disse sì in cambio della rinuncia della band alle royalties sulle prime 200.000 copie vendute. I Clash accettarono perché volevano che il disco uscisse con quel formato ed a quel prezzo. Senz’altro un’iniziativa politica anche questa, che meritava rispetto, viste anche le croniche insoddisfacenti condizioni finanziarie della band anche nei confronti della Cbs : “Fare questo con la Thatcher al potere in Inghilterra, durante la recessione economica, fu un gesto importante”, dichiarò Strummer. Pensate che, solo per fare un esempio, nello stesso periodo l’album doppio “The River” di Bruce Springsteen uscì ad un prezzo di poco superiore al triplo dei Clash. That’s politics !

La popolarità dei Clash raggiunse in quel periodo livelli davvero notevoli (un particolare : al concerto del 15 maggio a Goteborg, in Svezia, partecipò anche Sven Goran Eriksson, attuale imperturbabile ct della nazionale inglese di calcio), i loro folgoranti concerti portavano sempre più gente a vederli, ma l’attitudine della band rimase praticamente la stessa dei primi tempi, compreso ovviamente il rispetto dovuto al loro appassionato pubblico. Durante i concerti al Bond’s di New York (maggio-giugno 1981) la band venne avvicinata da una rappresentativa della Federazione Democratico Rivoluzionaria del Salvador (FLMN) , altro paese centroamericano brutalizzato dalla dittatura, che nel 1980 aveva assassinato il vescovo Oscar Romero. I rappresentanti chiesero espressamente di essere aiutati nella loro causa e la band mostrò in fretta il proprio interesse, offrendo loro la possibilità di organizzare uno stand informativo all’interno del locale, mentre al termine di “Washington Bullets” Joe Strummer urlò “El Salvador!”. La cosa poi non ebbe seguito, a parte una citazione della lotta salvadoregna in “Ghetto Defendant” (1982), ma si tratta di un piccolo episodio che può testimoniare quanto il rock’n’roll possa diventare un formidabile mezzo di comunicazione popolare.

Pose, frasi ad effetto, estetica (magari non quella del look della copertina di “Sandinista!”, francamente non molto azzeccata, almeno mio parere) tutto questo fa parte del rock’n’roll, che è intrigante anche per questo, perché fa sognare, perché ti butta in un’altra dimensione. Ma i Clash, si ribadisce, furono anche e soprattutto altro, furono veri ed inafferrabili, furono, perdonatemi la metafora, gli Apache Chiricahua (non Mescaleros) del rock’n’roll : arrivarono, incendiarono, razziarono, lottarono per la loro indentità e sparirono dopo qualche anno di vita libera e ribelle sulle montagne della Sierra Madre, lontano dalle giacche blu, lasciando un segno indelebile e diventando un esempio per il loro popolo. Il loro comandante, Joe Strummer, rimase nella Sierra per diversi anni, prima di ritrovarsi. Fu una vita da “rebel chic” ? No, fu un tratto intensissimo di vita, punto. Esperienza tosta, totalizzante, fatta di magnifica musica e grandi obbiettivi. Ecco cosa disse Strummer a Bill Flanagan nel 1988 : “La definizione moderna di “fatto!” è quella di riempire con 100.000 persone uno stadio per un concerto. Gli U2 lo hanno fatto più volte. Noi abbiamo venduto uno spicchio di quello che stanno facendo gli U2. Ma noi abbiamo cercato di raggiungere lo stesso obbiettivo con altre modalità. Abbiamo provato a farlo nella cultura”.

Anni dopo lo scioglimento dei Clash Mick Jones dichiarò : “Non penso che qualcuno di noi abbia fatto tutto questo solo per i soldi”. Penso che molti di coloro che avranno la voglia di leggere questo scritto saranno d’accordo con zio Mick. Il resto è noia.

Arriviamo in fondo, all’album che sul retro della copertina contiene la bellissima frase “the future is unwritten” , arriviamo a “Combat Rock”. Due righe a ritroso per dire che nel febbraio 1981 rientrò nei ranghi Bernie Rhodes (rientro fortemente voluto da Strummer/Simonon e subito da Mick Jones), che sul finire dello stesso anno Topper Headon cominciò a non reggere più la sua situazione di tossicodipendenza (preludio al suo allontanamento dal gruppo di lì ad un anno) , e che nello stesso periodo le divergenze fra Strummer e Jones si fecero sempre più consistenti. Sembrava che il grande sforzo sviluppato per produrre “Sandinista!” avesse, nel giro di un anno, lasciati esausti i Clash. Invece, nel novembre ‘81,uscì il singolo “This is Radio Clash” (i Clash stavano davvero pensando di mettere in piedi una propria radio), e a distanza di qualche mese “Combat Rock” (Maggio 1982), l’ultimo vero disco della band.

“Combat Rock” (pensato inizialmente come doppio), fu un disco travagliato, distante dalla forza trascinante di “London Calling” o dalla creativa esuberanza di “Sandinista!”, ma comunque un gran bel disco, che determinò per i Clash un successo di vendite mai conosciuto prima (nel mercato americano sbancarono “Should I Stay Or Should I Go” e “Rock The Casbah”). Le registrazioni dell’album si interruppero nel gennaio ’82 per un tour che toccò Giappone, Nuova Zelanda ed Australia in cui la band propose in anteprima “Know Your Rights” e “Should I Stay Or Should I Go”. In Nuova Zelanda i Clash ebbero un ottimo impatto con il pubblico (erano già molto popolari) e Joe Strummer al solito si dimostrò particolarmente disponibile con i fan ai quali chiedeva notizie circa la cultura e la politica locale, e fermandosi, in un “rigurgito busker”, a suonare per strada un ukulele appena comprato. Anche in Australia le cose andarono molto bene, ed i Clash non mancarono di dare uno spessore sociale ai propri concerti. Fu il caso del concerto dell’11 febbraio al Capitol Centre di Sydney nel quale la band invitò sul palco il rappresentante di “Aboriginal Land Rights”, che promosse la causa dei diritti dei nativi aborigeni ritmando le parole sulle note di “Armagideon Time”.

Finalmente l’album trovò il suo compimento di nuovo ai Vessex Studio londinesi, ed una parte del materiale venne scartato, non senza tensioni fra i componenti. Alcuni dei brani esclusi vennero successivamente pubblicati come b-sides (Cool Confusion, First Night Back in London), altri pezzi come “Kill Time” e “The Beautiful People Are Ugly Too” rimangono, per ora, inediti a livello ufficialle, anche se si possono ascoltare in bootleg tipo “The Rat Patrol”.
I Clash lasciarono gli studi di registrazione proprio nel periodo in cui si svolgeva la guerra nelle lontane isole Falklands, piccole colonie britanniche vicine all’Argentina.
“Combat rock” non ebbe nulla a che fare con questo evento militare, che vide l’esercito inglese, spronato dalla Thatcher in cerca di consensi, scontrarsi contro i colonnelli argentini per onor di patria, e che soprattutto costò la vita a centinaia di inglesi e migliaia di giovani coscritti argentini mandati a crepare per qualche roccia sperduta nell’Atlantico. Ma in ogni caso i temi politici presenti in ogni disco dei Clash, “Combat Rock” compreso, sono stati in grado di mettere in relazione le due cose in qualche modo. Il testo di “Inoculated City”, ad esempio, si inserisce perfettamente in questa relazione chiedendosi “nessuno parla della guerra nel vicinato, nessuno sa per cosa sta combattendo”. Con questo album venne riproposta di nuovo la collaborazione con Allen Ginsberg, il poeta della beat generation, con il quale i Clash furono lietissimi di collaborare attraverso la stupenda “Ghetto Defendant”, dopo averlo avuto già ospite sul palco il 12 giugno ’81 a New York con il suo poema “Capital Air”.

Davvero tutta la band espresse l’onore di poter lavorare con Ginsberg (Strummer lo propose scherzosamente come prossimo presidente degli Stati Uniti) , anche se Paul Simonon ammise che il poeta “non era esattamente la mia tazza da tè” (e chi conosce la biografia di Ginsberg potrà capire perché). I brani contenuti in “Combat Rock” (con “Straight To Hell” si toccano i vertici della produzione Clash) sono ritratti del genere umano al limite del collasso, sono scatti di orgoglio, sono immagini cinematografiche (ancora una volta l’influenza/incubo del Vietnam con riferimento al film “Taxi Driver” dei fan Scorsese/De Niro) in un contesto di degrado umano e sociale che vede incombere, costante, l’immagine della Grande Mela sullo sfondo. Ormai il linguaggio utilizzato dai Clash era diventato un linguaggio comune, una specie di “notiziario alternativo” aperto sull’altra faccia del mondo, quello degli esclusi. I ragazzi volevano sapere cosa dicevano e pensavano i Clash; per gente che non aveva alcuna possibilità di confronto nei classici ambiti familiari, scolastici o lavorativi, i Clash ed in particolare Joe Strummer furono una sorta di “educatori”. Nella sua recensione su “Combat Rock”, l’NME diceva : “Questo disco è per noi, non per i babbei. Combat Rock è troppo importante per essere confuso con altre cose senza valore, e questa band è troppo importante per auto-eliminarsi. I Clash hanno ancora “un buon odore” (se non sono nella vostra top ten, voi non siete nella mia) e quella guerra (Falklands) puzza di marcio. Annusatelo. Ascoltatelo. Correte”.

E poi “Combat Rock”, volente o nolente, ha dato il nome ad un filone musicale. Le etichette, nella musica, servono spesso solo ad agevolare il lavoro dei critici di settore, oppure a creare scene inesistenti. Può darsi che anche il cosiddetto combat rock, non sfugga a queste valutazioni, ed alla fine di tutto contano, come sempre, le scelte personali, quelle di ogni singolo gruppo. Ma è indubitabile che le centinaia di band sparse in tutto il mondo che si sono riconosciute e si riconoscono nell’esperienza Clash, abbiano forti tratti caratteristici comuni riconoscibili immediatamente. Approcci stilistici diversi, ma identica attitudine, dove il rock’n’roll diventa anche veicolo di denuncia ed impegno. I disciolti Rage Against The Machine hanno fatto parte di queste band. Tom Morello, il loro chitarrista, ha rilasciato questa significativa dichiarazione nel corso della cerimonia di introduzione dei Clash alla Rock’n’Roll Hall Of Fame, svoltasi a New York il 10 marzo 2003 e con la quale chiudiamo questa lunga serie di articoli : “Ho avuto la fortuna di vedere i Clash suonare all’ “Aragon Ballroom” a Chicago quando ero un teenager. Fu una esperienza che cambiò la mia vita. La trasformazione avvenne subito dopo che fu suonata la prima nota. Comprai una loro t-shirt nell’atrio del locale. Ero solito comprare magliette heavy metal con tutta la serie di immagini di maghi e draghi impresse sopra, ma la maglietta dei Clash era differente. C’erano solo poche parole scritte sopra un cuore. Dicevano, il “futuro non è scritto”. E quando vidi i Clash suonare, capii esattamente il significato di quella frase. I Clash suonarono con passione, con impegno, con uno scopo, con onestà, e con un evidente fuoco politico. Ci fu come un senso di forte comunità nel locale, sembrava che ogni cosa fosse possibile quella notte. Fui scosso dall’energia e dall’impeto politico dei Clash quella notte e ne uscii cambiato, sapendo che il “futuro non era scritto”. E che noi fan e la band lo stavamo scrivendo insieme.

Joe Strummer aveva suonato con lo stesso piccolo amplificatore che io usavo nelle high school. Lui mi ha dimostrato che non abbiamo bisogno di muri di ampli Marshall per fare grande musica. Ciò che noi dobbiamo fare è dire la verità, e proporla. Non avevo mai visto una band migliore dei Clash prima di quella notte, e non ne ho mai più viste dopo. I Clash furono una di quelle rare band che diventarono grandi nella somma delle loro parti, ed ogni loro parte era sorprendente. Mick Jones era un brillante arrangiatore e compositore, che guardava sempre a ciò che c’era di nuovo nella musica, e spingeva oltre il possibile i confini di una punk band, o di ogni altra band.
Paul Simonon aveva un look assolutamente unico, assolutamente “cool”, e la sua immagine di lui che distrugge il basso sulla copertina di London Calling somma la furia e la grande forza della band. Egli si calò anche nella musica reggae, un sound che completò la perfetta formula chimica dei Clash fatta di pochi accordi, un “groove” funky, e verità. Terry Chimes diede il ritmo della cavalleria ai loro primi anthem, ma fu Topper Headon che fece diventare realtà l’ineguagliabile sound dei Clash. Lui suonava quasi senza sforzo, con grande originalità, dirigendo la band verso generi inesplorati.

Ma sinceramente i Clash non ebbero uguali, perché al centro della loro tempesta, c’era uno con un grandissimo cuore ed una delle anime più profonde della musica del ventesimo secolo. Al centro dei Clash c’era Joe Strummer…….. Joe Strummer ed i Clash continueranno ad ispirarci ed agitarci per bene nel futuro. In effetti i Clash non se ne sono andati per sempre. Perché ogni volta che una band si interesserà più dei suoi fan che del proprio conto in banca, lo spirito dei Clash sarà lì. Ogni volta che una band suonerà come se ogni singola anima delle persone nel locale fosse la propria, lo spirito dei Clash sarà lì. Ogni volta che una grande band, o una garage band, avrà il fegato di mettere a nudo le proprie convinzioni per fare la differenza, lo spirito dei Clash sarà lì. Ed ogni volta che la gente scenderà in strada per fermare una guerra ingiusta, lo spirito dei Clash sarà definitivamente lì.
Per me questo è quanto i Clash hanno fatto sempre. Hanno combinato un sound rivoluzionario con idee rivoluzionarie. La loro musica ha lanciato migliaia di band e coinvolto milioni di fan ed io non potrei immaginare cosa sarebbe stata la mia vita senza di loro. Durante i loro anni migliori erano conosciuti come “l’unica band che conta”, e dopo 25 anni sembra proprio che sia ancora così”.

Mauro Zaccuri