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. REBEL WALTZ : IL SOGNO RIVOLUZIONARIO DI SANDINISTA!
Lo sforzo più grande prima
dell'epilogo. |
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“Volevamo
estenderci in ogni direzione, musicalmente. Anche i testi spaziavano
in modo fantastico su diversi argomenti, erano diversi in molte cose.
Volevano far riflettere la gente o dare alla gente informazioni, affinché
potessero prendere coscienza delle cose. Anche il titolo, Sandinista!,
fu visto al tempo come qualcosa di istruttivo. La gente si chiedeva
: Cos’è questa cosa?, è la prima volta che la sento
nominare. La gente in tutti i posti, lo ripeteva, Sud America…..
Notava che qualcosa era accaduto” Mick Jones, nel 1999 in Westway
To The World
“Stavo
cantando questa canzone, “Washington Bullets”, e c’era
un verso che riguardava il Nicaragua. Venni fuori con questo verso e
lo urlai. Mick disse : questo è il titolo dell’album, ed
io ci cominciai a pensarci su. Avevo saputo qualcosa sui Sandinisti
solo attraverso un mio amico a San Francisco che mi aveva inviato diverso
materiale sul movimento. Non avevo letto uno straccio di notizia sui
quotidiani riguardo l’argomento, quindi ci immaginammo che avremmo
potuto usare meglio quello spazio”.
Joe Strummer, NME 1981
“Abbiamo
davvero desiderato avere un titolo che potesse essere utile per ogni
persona. Fu qualcosa che volle attirare l’attenzione della gente
verso dei fatti che stavano accadendo in quel periodo”.
Mick Jones, alla fanzine Rip It Up
L’obbiettivo di far “aprire gli occhi” alla gente
che li seguiva, è sempre stato costantemente perseguito dai Clash.
Ed alla base di questo processo un ruolo di primo lo giocava (e lo gioca,
alla grande) l’informazione. La scelta del titolo “Sandinista!”
(album triplo, dicembre 1980), fu infatti in primo luogo un tentativo
di mettere al centro dell’attenzione di milioni di giovani in
tutto il mondo, il successo della rivoluzione Sandinista in Nicaragua
nel 1979. L’informazione attraverso il rock’n’roll
: i Clash volevano far sapere a più persone possibile che poco
tempo prima una rivoluzione popolare e socialista aveva trionfato, dopo
anni di lotte, in un piccolo paese del Centro America. Il significato
simbolico era ovviamente di grande importanza, ed andava ad alimentare
quel sogno rivoluzionario, socialista, idealista e romantico tanto caro
soprattutto a Joe Strummer. La vicenda del piccolo popolo nicaraguense
che combatteva e si liberava del dittatore Anastasio Somoza fiancheggiato
dagli americani, che si riappropriava del proprio destino nel periodo
in cui Margareth Thatcher era al potere e Reagan stava entrando alla
Casa Bianca, doveva forzatamente avere una adeguata visibilità
ed anche una degna colonna sonora. I Clash fornirono entrambi gli elementi
alla causa Sandinista.
Come già indicato nell’articolo precedente, i Clash cominciarono
a leggere documenti, forniti da Mo Armstrong, sulla lotta del FSLN (Frente
Sandinista de Liberacion National) già qualche anno prima a San
Francisco. A Strummer in particolare Armstrong diede il libro “The
People’s War” ed altra letteratura relativa alla vittoria
sandinista, ed il rocker britannico sviluppò velocemente un notevole
interesse per le sorti di quel popolo e di quella terra, stimolato dal
suo innato senso di solidarietà verso le cause degli oppressi
ed anche dalla conoscenza di un altro dramma latino americano : quello
del golpe fascista di Pinochet in Cile. Furono gli esuli cileni conosciuti
a Londra nei primi anni ’70, nel “periodo squatters”
e dei 101’ers, a portagli le testimonianze dirette di quella dittatura,
e certamente gli avranno raccontato della storia di Victor Jara, autore
di meravigliose ballate , al quale i militari di Pinochet tagliarono
le mani, simbolo del suo essere musicista, prima di finirlo nello stadio
di Santiago.
Strummer rimase coinvolto nelle vicende drammatiche, eroiche e passionali
di un continente, quello sudamericano, che difficilmente lascia indifferenti.
A conferma di questo coinvolgimento ideale del rocker britannico, arriverà,
nel 1988, la composizione della colonna sonora del film di Alex Cox
“Walker” (che consiglierei di rivalutare, vengono fuori
inaspettate capacità compositive di Strummer), dedicato alla
figura di William Walker, un sedicente condottiero deciso a conquistare
il territorio latino-americano, per conseguire il potere e rovesciare
i conservatori di Granata, proprio in Nicaragua.
Peraltro la vittoria del FSLN contro la “dinastia dei Somoza”
tanto cara agli americani, è di quelle davvero appassionanti
nella loro drammaticità, dove l’elemento del coinvolgimento
popolare è realmente protagonista. Fondato addirittura nel 1961
l’FSLN, nato nel nome del rivoluzionario Augusto Cesar Sandino
ucciso dalla famigerata Guardia Nacional nel 1932, ci mise quasi vent’anni
a scalzare i somozisti, pagando un prezzo di 60.000 vittime fra guerriglieri
e civili, compiendo azioni spericolate quanto efficaci, sostenendo scontri
durissimi con la Guardia Nacional, lottando contro le ingerenze di ogni
tipo provenienti da Washington (amministrazione Carter), ma riuscendo
alla fine a trascinare gradatamente nella lotta la popolazione appartenente
a diversi ceti sociali, compresi, nella parte terminale del processo
rivoluzionario, la borghesia ed anche il clero (ma qui il “flirt”
fu davvero breve).
Finalmente, il 17 luglio 1979 (diventerà il “dià
de la alegrìa”), l’ultimo Somoza fugge (con le casse
dello stato, as usual) dal Nicaragua, ed il 19 luglio i Sandinisti entrano
trionfalmente a Managua, indicendo per il giorno successivo un’enorme
manifestazione popolare dedicata alla memoria di Carlos Fonseca, fondatore
del FSLN. La rivoluzione sandinista fu “l’utopia distribuita”,
una rivoluzione che venne successivamente difesa strenuamente, contro
gli attacchi dei Contra finanziati da Reagan, da migliaia di volontari
provenienti dal Nord America, dall’Europa, dagli altri paesi dell’America
Latina. Una solidarietà importante che può essere paragonata
idealmente a quella scattata a favore della Repubblica durante la guerra
civile spagnola del 1938. Dichiarava Tomas Borge, uno dei leader storici
sandinisti, nel 1979: “Abbiamo vinto la guerra contro il somozismo.
Adesso dobbiamo affrontare la guerra contro l’ignoranza ed il
ritardo economico, la guerra per ricostruire il nostro paese. Il popolo
ci ha seguito nella nostra lotta contro la Guardia Nacional. Noi gli
chiediamo di rimanere con noi, nella nostra lotta per la ricostruzione.
La ricostruzione non sarà fatta in un giorno, e richiederà
tempo e lavoro, ma la rivoluzione non sarà mai tradita”.
Non finirà bene, i sandinisti non riusciranno a sopportare l’attività
controrivoluzionaria dell’amministrazione Reagan oltre a qualche
errore proprio nella gestione del potere. Naturalmente tutto ciò
che accadde in Nicaragua durante gli anni ’70 venne praticamente
ignorato dalla stampa filogovernativa americana. Dal 1960 al 1978 (cioè
poco prima della caduta di Somoza) vennero dedicati alla esplosiva situazione
nicaraguese solo tre editoriali. Il Nicaragua non interessava a nessuno,
almeno finchè la dittatura non venne davvero messa in concreto
pericolo.
I Clash ebbero la capacità, la felice intuizione, di “puntare
i riflettori” sul successo Sandinista, creando una particolare
connessione fra gli ascoltatori distribuiti su scala mondiale ed il
mondo degli oppressi, dei diritti calpestati, della violenza come regola
di vita , della povertà senza fine. Fu probabilmente il primo
esempio di globalizzazione attraverso la musica di un messaggio rivoluzionario
così esplicito, che davvero riuscì a toccare l’anima
di moltissimi ragazzi. In “Sandinista!” la denuncia della
politica imperiale americana, alla loro volontà di imporre il
proprio marchio agli altri paesi con la forza, fu chiarissima (vedi
“Washington Bullets” in cui si ricordavano però anche
le aggressioni imperialiste cinesi e russe). Ma lo sforzo politico presente
nei testi del triplo dei Clash coinvolse anche la vecchia Inghilterra
(“Something About England”, “Corner Soul” che
in qualche modo anticiperà la rivolte nelle città inglesi
nell’estate ’81) , divenne anti-sistema (militare,sociale,economico)
con “The Call Up”, “Kingston Advice”,“The
Equaliser”,”One More Time”,”Up in Heaven”.
“Sandinista!” fu un album politico, internazionalista, fuori
dagli schemi (molti recensori inglesi ci capirono poco restando completamente
spiazzati, e devo dire che anche per il sottoscritto fu uno choc sapere
che “The Magnificent Seven” passava nelle peggiori discoteche
di Milano ), con eccellenti testi (a parere di chi scrive il talento
di Strummer da questo punto di vista è paragonabile ai più
grandi della “scrittura rock”) e grande musica, principalmente
black music, in tutte le sue diramazioni, classiche ed innovative :
si passava dal funk, al reggae, al dub, al rap assimilato velocemente
da Mick Jones nelle strade di New York (i Clash furono una delle primissime
rock band a mettere in pratica la lezione di Grandmaster Flash, poi
invitato ad aprire il primo dei loro ormai mitici concerti al Bond’s
in Times Square). Come spesso accadeva musica e testi fluivano spontaneamente
sulla base delle esperienze di vita dei membri nella band. Ad esempio
“Corner Soul” e “Let’s Go Crazy” vennero
composte dopo che Strummer e Simonon parteciparono di nuovo, nel 1980,
al carnevale giamaicano di Notting-Hill. Fu un carnevale con momenti
di tensione non paragonabili agli scontri del carnevale del 1976, ma
fu sufficiente il “clima”, il fatto di ascoltare il sound
militante proveniente dai sound systems per fornire le ispirazioni giuste
ai due Clash. La spontaneità, la genuinità, l’eclettismo
(si noti anche l’influenza del cinema attraverso il film di Coppola
“Apocalypse Now” che stregò letteralmente Strummer),
l’intelligenza e lo spessore presenti nei 36 brani di questo storico
triplo, contrassegnarono il periodo di massima creatività artistica
dei Clash, che registrarono il tutto partendo dai Pluto Studio di Manchester
(febbraio ’80 con “Sheperds Delight”), passando agli
Electric Lady di New York (“Fu il miglior periodo di sempre. Essere
a New York, negli studi di registrazione di Jimi Hendrix, era tutto
un flusso continuo” disse Strummer) dai Channel One Studios di
Kingston per la registrazione di “Junco Partner”, e terminando
ai Wessex Studio di Londra.
Se i Clash furono, e lo furono, un gruppo capace di cambiare la faccia
del rock’n’roll, “Sandinista!” può essere
definito l’album che ha determinato una cultura politica nella
musica rock, influenzando successivamente gente come i Public Enemy
ed i Rage Against The Machine, i quali si avvicinarono a loro volta
ad un'altra importantissima lotta popolare sudamericana, quella zapatista
condotta dal comandante Marcos in Messico. Un disco ancora oggi attuale,
che a ben vedere potrebbe anche funzionare bene come colonna sonora
del movimento no-global. Le tematiche sociali e politiche presenti nel
triplo ispirarono in alcuni casi scelte personali radicali; sentite
a tal proposito Michael McCaughren dell’Irish Times : “La
prima volta che seppi della rivoluzione sandinista in Nicaragua fu guardando
la copertina di “Sandinista!”, comprato con la paghetta
di Natale. Cinque anni dopo mi ritrovai sdraiato con la febbre su un
letto di un polveroso villaggio rurale del Nicaragua, un viaggio “punk-rock
politico” ispirato dal magnifico triplo album dei Clash”.
Un triplo ancora una volta imposto al prezzo di poco più di un
album singolo (5,99 sterline inglesi), con la Cbs che a fatica disse
sì in cambio della rinuncia della band alle royalties sulle prime
200.000 copie vendute. I Clash accettarono perché volevano che
il disco uscisse con quel formato ed a quel prezzo. Senz’altro
un’iniziativa politica anche questa, che meritava rispetto, viste
anche le croniche insoddisfacenti condizioni finanziarie della band
anche nei confronti della Cbs : “Fare questo con la Thatcher al
potere in Inghilterra, durante la recessione economica, fu un gesto
importante”, dichiarò Strummer. Pensate che, solo per fare
un esempio, nello stesso periodo l’album doppio “The River”
di Bruce Springsteen uscì ad un prezzo di poco superiore al triplo
dei Clash. That’s politics !
La
popolarità dei Clash raggiunse in quel periodo livelli davvero
notevoli (un particolare : al concerto del 15 maggio a Goteborg, in
Svezia, partecipò anche Sven Goran Eriksson, attuale imperturbabile
ct della nazionale inglese di calcio), i loro folgoranti concerti portavano
sempre più gente a vederli, ma l’attitudine della band
rimase praticamente la stessa dei primi tempi, compreso ovviamente il
rispetto dovuto al loro appassionato pubblico. Durante i concerti al
Bond’s di New York (maggio-giugno 1981) la band venne avvicinata
da una rappresentativa della Federazione Democratico Rivoluzionaria
del Salvador (FLMN) , altro paese centroamericano brutalizzato dalla
dittatura, che nel 1980 aveva assassinato il vescovo Oscar Romero. I
rappresentanti chiesero espressamente di essere aiutati nella loro causa
e la band mostrò in fretta il proprio interesse, offrendo loro
la possibilità di organizzare uno stand informativo all’interno
del locale, mentre al termine di “Washington Bullets” Joe
Strummer urlò “El Salvador!”. La cosa poi non ebbe
seguito, a parte una citazione della lotta salvadoregna in “Ghetto
Defendant” (1982), ma si tratta di un piccolo episodio che può
testimoniare quanto il rock’n’roll possa diventare un formidabile
mezzo di comunicazione popolare.
Pose, frasi ad effetto, estetica (magari non quella del look della copertina
di “Sandinista!”, francamente non molto azzeccata, almeno
mio parere) tutto questo fa parte del rock’n’roll, che è
intrigante anche per questo, perché fa sognare, perché
ti butta in un’altra dimensione. Ma i Clash, si ribadisce, furono
anche e soprattutto altro, furono veri ed inafferrabili, furono, perdonatemi
la metafora, gli Apache Chiricahua (non Mescaleros) del rock’n’roll
: arrivarono, incendiarono, razziarono, lottarono per la loro indentità
e sparirono dopo qualche anno di vita libera e ribelle sulle montagne
della Sierra Madre, lontano dalle giacche blu, lasciando un segno indelebile
e diventando un esempio per il loro popolo. Il loro comandante, Joe
Strummer, rimase nella Sierra per diversi anni, prima di ritrovarsi.
Fu una vita da “rebel chic” ? No, fu un tratto intensissimo
di vita, punto. Esperienza tosta, totalizzante, fatta di magnifica musica
e grandi obbiettivi. Ecco cosa disse Strummer a Bill Flanagan nel 1988
: “La definizione moderna di “fatto!” è quella
di riempire con 100.000 persone uno stadio per un concerto. Gli U2 lo
hanno fatto più volte. Noi abbiamo venduto uno spicchio di quello
che stanno facendo gli U2. Ma noi abbiamo cercato di raggiungere lo
stesso obbiettivo con altre modalità. Abbiamo provato a farlo
nella cultura”.
Anni
dopo lo scioglimento dei Clash Mick Jones dichiarò : “Non
penso che qualcuno di noi abbia fatto tutto questo solo per i soldi”.
Penso che molti di coloro che avranno la voglia di leggere questo scritto
saranno d’accordo con zio Mick. Il resto è noia.
Arriviamo
in fondo, all’album che sul retro della copertina contiene la
bellissima frase “the future is unwritten” , arriviamo a
“Combat Rock”. Due righe a ritroso per dire che nel febbraio
1981 rientrò nei ranghi Bernie Rhodes (rientro fortemente voluto
da Strummer/Simonon e subito da Mick Jones), che sul finire dello stesso
anno Topper Headon cominciò a non reggere più la sua situazione
di tossicodipendenza (preludio al suo allontanamento dal gruppo di lì
ad un anno) , e che nello stesso periodo le divergenze fra Strummer
e Jones si fecero sempre più consistenti. Sembrava che il grande
sforzo sviluppato per produrre “Sandinista!” avesse, nel
giro di un anno, lasciati esausti i Clash. Invece, nel novembre ‘81,uscì
il singolo “This is Radio Clash” (i Clash stavano davvero
pensando di mettere in piedi una propria radio), e a distanza di qualche
mese “Combat Rock” (Maggio 1982), l’ultimo vero disco
della band.
“Combat
Rock” (pensato inizialmente come doppio), fu un disco travagliato,
distante dalla forza trascinante di “London Calling” o dalla
creativa esuberanza di “Sandinista!”, ma comunque un gran
bel disco, che determinò per i Clash un successo di vendite mai
conosciuto prima (nel mercato americano sbancarono “Should I Stay
Or Should I Go” e “Rock The Casbah”). Le registrazioni
dell’album si interruppero nel gennaio ’82 per un tour che
toccò Giappone, Nuova Zelanda ed Australia in cui la band propose
in anteprima “Know Your Rights” e “Should I Stay Or
Should I Go”. In Nuova Zelanda i Clash ebbero un ottimo impatto
con il pubblico (erano già molto popolari) e Joe Strummer al
solito si dimostrò particolarmente disponibile con i fan ai quali
chiedeva notizie circa la cultura e la politica locale, e fermandosi,
in un “rigurgito busker”, a suonare per strada un ukulele
appena comprato. Anche in Australia le cose andarono molto bene, ed
i Clash non mancarono di dare uno spessore sociale ai propri concerti.
Fu il caso del concerto dell’11 febbraio al Capitol Centre di
Sydney nel quale la band invitò sul palco il rappresentante di
“Aboriginal Land Rights”, che promosse la causa dei diritti
dei nativi aborigeni ritmando le parole sulle note di “Armagideon
Time”.
Finalmente l’album trovò il suo compimento di nuovo ai
Vessex Studio londinesi, ed una parte del materiale venne scartato,
non senza tensioni fra i componenti. Alcuni dei brani esclusi vennero
successivamente pubblicati come b-sides (Cool Confusion, First Night
Back in London), altri pezzi come “Kill Time” e “The
Beautiful People Are Ugly Too” rimangono, per ora, inediti a livello
ufficialle, anche se si possono ascoltare in bootleg tipo “The
Rat Patrol”.
I Clash lasciarono gli studi di registrazione proprio nel periodo in
cui si svolgeva la guerra nelle lontane isole Falklands, piccole colonie
britanniche vicine all’Argentina.
“Combat rock” non ebbe nulla a che fare con questo evento
militare, che vide l’esercito inglese, spronato dalla Thatcher
in cerca di consensi, scontrarsi contro i colonnelli argentini per onor
di patria, e che soprattutto costò la vita a centinaia di inglesi
e migliaia di giovani coscritti argentini mandati a crepare per qualche
roccia sperduta nell’Atlantico. Ma in ogni caso i temi politici
presenti in ogni disco dei Clash, “Combat Rock” compreso,
sono stati in grado di mettere in relazione le due cose in qualche modo.
Il testo di “Inoculated City”, ad esempio, si inserisce
perfettamente in questa relazione chiedendosi “nessuno parla della
guerra nel vicinato, nessuno sa per cosa sta combattendo”. Con
questo album venne riproposta di nuovo la collaborazione con Allen Ginsberg,
il poeta della beat generation, con il quale i Clash furono lietissimi
di collaborare attraverso la stupenda “Ghetto Defendant”,
dopo averlo avuto già ospite sul palco il 12 giugno ’81
a New York con il suo poema “Capital Air”.
Davvero tutta la band espresse l’onore di poter lavorare con Ginsberg
(Strummer lo propose scherzosamente come prossimo presidente degli Stati
Uniti) , anche se Paul Simonon ammise che il poeta “non era esattamente
la mia tazza da tè” (e chi conosce la biografia di Ginsberg
potrà capire perché). I brani contenuti in “Combat
Rock” (con “Straight To Hell” si toccano i vertici
della produzione Clash) sono ritratti del genere umano al limite del
collasso, sono scatti di orgoglio, sono immagini cinematografiche (ancora
una volta l’influenza/incubo del Vietnam con riferimento al film
“Taxi Driver” dei fan Scorsese/De Niro) in un contesto di
degrado umano e sociale che vede incombere, costante, l’immagine
della Grande Mela sullo sfondo. Ormai il linguaggio utilizzato dai Clash
era diventato un linguaggio comune, una specie di “notiziario
alternativo” aperto sull’altra faccia del mondo, quello
degli esclusi. I ragazzi volevano sapere cosa dicevano e pensavano i
Clash; per gente che non aveva alcuna possibilità di confronto
nei classici ambiti familiari, scolastici o lavorativi, i Clash ed in
particolare Joe Strummer furono una sorta di “educatori”.
Nella sua recensione su “Combat Rock”, l’NME diceva
: “Questo disco è per noi, non per i babbei. Combat Rock
è troppo importante per essere confuso con altre cose senza valore,
e questa band è troppo importante per auto-eliminarsi. I Clash
hanno ancora “un buon odore” (se non sono nella vostra top
ten, voi non siete nella mia) e quella guerra (Falklands) puzza di marcio.
Annusatelo. Ascoltatelo. Correte”.
E
poi “Combat Rock”, volente o nolente, ha dato il nome ad
un filone musicale. Le etichette, nella musica, servono spesso solo
ad agevolare il lavoro dei critici di settore, oppure a creare scene
inesistenti. Può darsi che anche il cosiddetto combat rock, non
sfugga a queste valutazioni, ed alla fine di tutto contano, come sempre,
le scelte personali, quelle di ogni singolo gruppo. Ma è indubitabile
che le centinaia di band sparse in tutto il mondo che si sono riconosciute
e si riconoscono nell’esperienza Clash, abbiano forti tratti caratteristici
comuni riconoscibili immediatamente. Approcci stilistici diversi, ma
identica attitudine, dove il rock’n’roll diventa anche veicolo
di denuncia ed impegno. I disciolti Rage Against The Machine hanno fatto
parte di queste band. Tom Morello, il loro chitarrista, ha rilasciato
questa significativa dichiarazione nel corso della cerimonia di introduzione
dei Clash alla Rock’n’Roll Hall Of Fame, svoltasi a New
York il 10 marzo 2003 e con la quale chiudiamo questa lunga serie di
articoli : “Ho avuto la fortuna di vedere i Clash suonare all’
“Aragon Ballroom” a Chicago quando ero un teenager. Fu una
esperienza che cambiò la mia vita. La trasformazione avvenne
subito dopo che fu suonata la prima nota. Comprai una loro t-shirt nell’atrio
del locale. Ero solito comprare magliette heavy metal con tutta la serie
di immagini di maghi e draghi impresse sopra, ma la maglietta dei Clash
era differente. C’erano solo poche parole scritte sopra un cuore.
Dicevano, il “futuro non è scritto”. E quando vidi
i Clash suonare, capii esattamente il significato di quella frase. I
Clash suonarono con passione, con impegno, con uno scopo, con onestà,
e con un evidente fuoco politico. Ci fu come un senso di forte comunità
nel locale, sembrava che ogni cosa fosse possibile quella notte. Fui
scosso dall’energia e dall’impeto politico dei Clash quella
notte e ne uscii cambiato, sapendo che il “futuro non era scritto”.
E che noi fan e la band lo stavamo scrivendo insieme.
Joe Strummer aveva suonato con lo stesso piccolo amplificatore che io
usavo nelle high school. Lui mi ha dimostrato che non abbiamo bisogno
di muri di ampli Marshall per fare grande musica. Ciò che noi
dobbiamo fare è dire la verità, e proporla. Non avevo
mai visto una band migliore dei Clash prima di quella notte, e non ne
ho mai più viste dopo. I Clash furono una di quelle rare band
che diventarono grandi nella somma delle loro parti, ed ogni loro parte
era sorprendente. Mick Jones era un brillante arrangiatore e compositore,
che guardava sempre a ciò che c’era di nuovo nella musica,
e spingeva oltre il possibile i confini di una punk band, o di ogni
altra band.
Paul Simonon aveva un look assolutamente unico, assolutamente “cool”,
e la sua immagine di lui che distrugge il basso sulla copertina di London
Calling somma la furia e la grande forza della band. Egli si calò
anche nella musica reggae, un sound che completò la perfetta
formula chimica dei Clash fatta di pochi accordi, un “groove”
funky, e verità. Terry Chimes diede il ritmo della cavalleria
ai loro primi anthem, ma fu Topper Headon che fece diventare realtà
l’ineguagliabile sound dei Clash. Lui suonava quasi senza sforzo,
con grande originalità, dirigendo la band verso generi inesplorati.
Ma sinceramente i Clash non ebbero uguali, perché al centro della
loro tempesta, c’era uno con un grandissimo cuore ed una delle
anime più profonde della musica del ventesimo secolo. Al centro
dei Clash c’era Joe Strummer…….. Joe Strummer ed i
Clash continueranno ad ispirarci ed agitarci per bene nel futuro. In
effetti i Clash non se ne sono andati per sempre. Perché ogni
volta che una band si interesserà più dei suoi fan che
del proprio conto in banca, lo spirito dei Clash sarà lì.
Ogni volta che una band suonerà come se ogni singola anima delle
persone nel locale fosse la propria, lo spirito dei Clash sarà
lì. Ogni volta che una grande band, o una garage band, avrà
il fegato di mettere a nudo le proprie convinzioni per fare la differenza,
lo spirito dei Clash sarà lì. Ed ogni volta che la gente
scenderà in strada per fermare una guerra ingiusta, lo spirito
dei Clash sarà definitivamente lì.
Per me questo è quanto i Clash hanno fatto sempre. Hanno combinato
un sound rivoluzionario con idee rivoluzionarie. La loro musica ha lanciato
migliaia di band e coinvolto milioni di fan ed io non potrei immaginare
cosa sarebbe stata la mia vita senza di loro. Durante i loro anni migliori
erano conosciuti come “l’unica band che conta”, e
dopo 25 anni sembra proprio che sia ancora così”.
Mauro
Zaccuri