"OUT ON THE STREET" di Mauro Zaccuri
Quando la musica sapeva parlare
IL TRENTENNALE DEI CLASH (1976 - 2006)

 

2 - Pub Rockers in the UK
Il pub rock, fenomeno tutto inglese di metà anni '70 non molto conosciuto ma che ebbe un suo peso nel creare terreno fertile all'avvento del punk.

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Se la cultura pop anni ’60 aveva perso il proprio slancio, lo stesso non si poteva completamente dire per il rock’n’roll delle origini, quello degli anni ’50, di cui lo stesso Mc Laren si dichiarò fervente ammiratore (e dal quale trasse più di una ispirazione) a causa della spontanea carica anticonformista che quel sound sprigionava. Proprio le radici del r’n’r vennero prima tenute in vita dai teddy boys e poi gradualmente riscoperte da una parte delle fasce giovanili del proletariato inglese. I pezzi dei vari Bill Haley, Little Richards, Carl Perkins, Jerry Lee Lewis, Chuck Berry, Elvis ripresero a girare con frequenza nel loro giradischi. Il ritorno alle radici volle significare anche la testimonianza e la riaffermazione di quella che agli esordi fu una vera e propria rivoluzione culturale e di costume, prima di finire al solito triturata dall’ “industria del consumo”.

Il rock’n’roll mischiava blues e country, tradizione nera e bianca, era provocatorio e sfacciato, era capace di parlare ai giovani finalmente con il linguaggio dei giovani, trattando temi che li interessavano direttamente. “Roba da delinquenti”, aveva sentenziato con disgusto nel 1957 Frank Sinatra. Delinquenti estremamente prolifici a quanto pare, se capaci di influenzare a distanza di 25 anni, ed aldilà degli estetismi, un’altra “rivoluzione” : quella punk.

Il cosiddetto Rock’n’Roll Revival interessò buona parte di quel variegato ambiente londinese che viene descritto nell’ultima parte dell’articolo precedente (“Take Down The Union Jack”). Nel 1972 Ted Carroll (lo ritroveremo in seguito a capo della piccola Chiswick Records produrre i 101’ers) aprì il negozio “Rock On” in Golborne Road, dedito all’importazione di rarità rock’n’roll e R&B e luogo di incontro privilegiato per gli appassionati del genere. La bottega si ritrovò quindi frequentata da vecchi rockers ma anche da giovani musicisti irrequieti, compresi i futuri Clash Mick Jones e Joe Strummer. Intanto un buon numero di band si erano costituite nello spirito di un ritorno al roots-rock, gente proveniente da influenze ed esperienze diverse che andavano dal folk-blues, al r&b inglese di metà anni ’60, in qualche caso al country. Tutti però convergevano sulla necessità di salvare, di tenere alta l’idea originaria del r’n’r, ponendosi così in contrasto con le logiche industriali , costose e ben poco innovative, della musica pop inglese di quel periodo. A tal fine venne anche progressivamente creato un circuito alternativo di locali in cui suonare, persuadendo i proprietari dei pub, magari con pochi clienti, ad aprire alle nuove band che provavano a riproporre il “sound delle radici”.

Il pub rock, almeno così venne identificato dalla critica, fu essenzialmente questo. Una storia specificatamente inglese, che si giocò buona parte della reputazione attraverso i concerti dal vivo, che non produsse, salvo qualche caso, grandi successi da classifica né ottenne la visibilità che probabilmente avrebbe meritato, ma che sfornò musicisti e gruppi di eccellente livello ed ebbe il suo peso nella preparazione di una nuova scena riportando il rock ai minimi termini. Il sound che usciva da questi gruppi non fu particolarmente innovativo (dal vista prettamente musicale non lo fu neppure il punk) ma era però espressione in larga misura della working class : musica energica, diretta, onesta, qualcosa di diverso ed anche comunitario, vista la massiccia presenza di amici e sostenitori durante i concerti. Molte erano le cover di classici r’n’r e r’n’b eseguite dal vivo, parecchio il sudore e la passione scaricata fra fumi e birre dei pub londinesi che aprivano loro le porte a Londra e nei suoi dintorni, tipo il Nashville, il Newlands Tavern, l’Elgin, il Roundhouse o l’ Hope & Anchor.

Se il glam riusciva a scalare le classifiche inglesi anche grazie al look fatto di stivaloni e travestimenti vari, prima con i T-Rex di Marc Bolan, poi con i Mott The Hoople di Ian Hunter ai quali David Bowie produsse “All the young Dudes” (1972), vero anthem della scena, le band di pub rock con il loro anti-look per eccellenza (i primi tempi videro spesso solo jeans, camicie, capelli lunghi e basettoni) cominciavano a spostare l’attenzione su un differente approccio nel modo di suonare e di relazionarsi con i circuiti discografici tradizionali. Fra i primi gruppi ad affermarsi nel circuito pub-rock furono i Brinsley Schwarz di quel talento chiamato Nick Lowe, che curiosamente tentarono di sfondare (non riuscendovi) negli States, provando però “ l’ebrezza” di aprire un concerto di Van Morrison al Fillmore East. Anche i Ducks Deluxe ed i Kursaal Flyers (suoneranno prima dei Clash nel settembre ’76 al Roundhose in Chalk Farm, fu l’ultimo concerto di Keith Levene con Joe Strummer & Co.) ebbero un ruolo di spicco fra i primi gruppi della scena , mentre in seguito emersero band come i Kilburn and The High Roads che vedevano fra le loro fila Ian Dury (divenne in seguito con i suoi Blockheads grande amico dei Clash) ed il futuro 999 Nick Cash, come gli Ace, come i Dr.Feelgood , i Count Bishops (la prima band a firmare per la suddetta Chiswick Records) i proto-punk Eddie & The Hot Rods, gli oscuri e seguitissimi Stranglers, che da questa scena emersero per poi, rapidamente, allontanarsi .

E i 101’ers di Joe Strummer? Una fra le migliori band del circuito. Come le altre non originale nella proposta musicale, ma grintosa ed efficace dal vivo, tanto da meritarsi in breve tempo un discreto pubblico al seguito ed una riguardevole attività live nei pub di Londra. Strummer ci entrò nell’autunno del 1974, rientrato da Newport e dopo un breve periodo passato nello squat dell’amico Tymon Dogg in Chippenham Road. I 101’ers nacquero all’interno del giro di persone che gravitavano intorno al nuovo squat di Joe e compagnia, quello al 101 di Walterton Road, una vera e propria “casa per musicisti liberi” attraversata da un invidiabile spirito comunitario. Primo concerto alla fine di settembre del 1974 al Telegraph Pub di Brixton, di supporto ad una reggae band denominata Matumbi, con un repertorio fatto di pezzi degli Stones, Small Faces, Them, Chuck Berry, Bo Diddley, Eddie Cochran e Little Richard. Dopo vari cambiamenti di line-up, finalmente il gruppo trovò stabilità all’inizio del 1975 : Joe Strummer (chitarra e voce) , Alvaro (sax, voce), Simon Cassell (sax), Clive Timperly (chitarra), Mole Chesterton (basso), Jules Yewdall (maracas, voce, poi brillante fotografo, autore di bellissimi scatti in bianco e nero sulla band) e Richard Dudansky (batteria, poi nelle Raincoats e nei PIL).

Come si potrà notare alcuni dei musicisti citati nella carrellata precedente si ritroveranno poi, quasi naturalmente, nella nuova scena punk londinese. Dai critici venne infilato nella scena pub rock, probabilmente suo malgrado, anche Graham Parker, uno fra i migliori rocker che la musica britannica abbia saputo proporre. Originario del quartiere proletario di Hackney, il ventiseienne Parker fece il proprio esordio discografico con i suoi Rumor (composti fra gli altri da due ex Brinsley Schwarz e dal chitarrista Martin Belmont ex Ducks Deluxe, band scioltesi nel 1975) nel 1976 con “Howlin’ Wind” (prodotto da Nick Lowe) un disco diretto e grintoso che già metteva in luce il talento di un musicista “outsider”, rabbioso ed irrequieto : “Sto tornando indietro ai giorni di scuola/sto tornando indietro per metterli in riga/ Mi hanno detto che era come un film là fuori/ Ma ragazzi è un vero show dell’orrore/ Mi hanno detto che era tutto bianco o nero/ Ma ragazzi ci sono molte tonalità diverse che posso vedere/ E nessuno vuole conoscerti quando sei giù/ E nessuno vuole perderti quando ti sei trovato/ Adesso penso che potrei tornare a casa tranquillamente/ Potrei sposare una ragazza ricca/ Ma al contrario sto tornando, e giustamente, per fare un gran casino/ Sto tornando indietro ai giorni di scuola/ sto tornando indietro per metterli in riga”. Così cantava Parker in “Back to Schooldays” (1976), i concetti come si vede erano chiari e precisi, un calcio in culo alla vita da “regolare” nell’asfittica middle-class inglese.

I già citati Eddie & The Hot Rods iniziarono come cover-band di R&B e finirono per suonare, con i Sex Pistols a far da spalla, al Marquee di Londra il 12 febbraio del 1976. In realtà gli Hot Rods (il cui chitarrista Douglas proveniva dai Kursaal Flyers) non furono mai una classica punk band, ma la loro velocità ed il loro atteggiamento “on stage” li fecero inserire facilmente nella nuova scena. Soprattutto i versi delle loro canzoni si calavano per bene in quella realtà : si prenda ad esempio “Teenage Depression” del 1976, “Ho speso tutti i miei soldi/Se ne sono andati da sotto il naso/ Mio padre mi ha trovato perso lì fuori/ E ora piange sui miei vestiti/ Ho la depressione giovanile, è quello di cui sto parlando/ Se non capisci quello che dico è meglio che ti guardi fuori/ Le stesse cose ogni giorno, non posso uscire dal letto/ Troppe domande si confondono nella mia testa/ Non posso sopportare il pensiero di un altro giorno a scuola/ Ho la depressione giovanile, è quello di cui sto parlando/ Se non capisci quello che dico è meglio che ti guardi fuori, guarda fuori !! / Depressione giovanile sta diventando un’ossessione”. Frustrazione, noia, rabbia : erano fra i temi caratterizzanti del punk.

Un rock stradaiolo, vibrante e sgraziato fu quello che invece propose nella sua carriera Ian Dury, forte nel carattere (conviveva con una forma di poliomielite che l’aveva minato sin da piccolo) quanto formidabile dal vivo. Un grande performer dal timbro “cockney” londinese, sarcastico ed irriverente. Veterano del pub rock con i Kilburn and The High Roads, Dury a 35 anni pubblicò con i Blockheads “New Boots And Panties” (Stiff/1977), album importante e destinato ad un ottimo successo commerciale. Un vero talento nello scrivere, Dury fu una “cosa sola” con le sue parole. La sua “Sex And Drugs and R’n’R” , oltre ad essere stata un grande successo contenuto nell’album sopracitato, è la sintesi di uno stile di vita legato al r’n’r: “E’ tutto ciò di cui il mio cervello ed il mio corpo hanno bisogno”, dichiarò lui stesso. “What a Waste!” (1978) è un altro suo anthem che è doveroso ricordare per la sincera e netta “scelta di campo” : “Potrei essere un avvocato fra stratagemmi ed inganni/potrei essere un dottore fra lividi e contusioni/potrei essere uno scrittore dalla crescente reputazione/potrei essere un bigliettaio alla stazione di Fulham/ Che spreco! Che spreco!/ Perché io ho scelto di suonare in modo folle in una band di sei persone/la prima notte regge coi nervi/ogni altra notte in piedi/dovrei essere felice per essere così propenso a tutto questo/Che spreco! Che Spreco!/ Ma io non ci faccio mai caso”.

Con i Dr.Feelgood entriamo invece nel cuore del classico sound che caratterizzò il pub rock. I Feelgood sono stati probabilmente la migliore espressione di quel circuito. Nati nel ’73 a Southend/Canvey Island si costruirono presto una solida reputazione di brillante ed energica band di R&B grazie al vocalist Lee Brilleaux (scomparso nel 1994) ed al chitarrista Wilco Johnson dalla grande presenza scenica, che con la sua elettricità on stage influenzò non poco Joe Strummer che lo vide dal vivo nell’aprile 1975 al Windsor Castle. Molto efficaci i Feelgood dal vivo, la loro musica era davvero solida, vibrante, condita di cover di Chuck Berry, John Lee Hooker, Larry Williams. Anche se il realtà i loro testi non furono mai particolarmente impegnati, i Feelgood colsero e fecero proprio lo spirito di quegli anni . Nel 1976 Lee Brilleaux ebbe a dire : “Non devi essere un musicista per suonare rock’n’roll. Devi solo amarlo e volerlo suonare”. Una band capace di cogliere anche importanti successi discografici in particolare con il loro terzo album, “Stupidity” (1976), attraverso il quale raggiunsero le vette delle classifiche inglesi. Altra cosa da sottolineare è che i Feelgood, grazie al buon successo commerciale, aiutarono a far aprire, ad un vero fan del pub rock, Dave Robinson, la Stiff Records, un’etichetta fondamentale per la nuova scena. “La casa discografica più flessibile del mondo”, che pubblicherà lavori di musicisti come Nick Lowe, Elvis Costello (songwriter destinato a luminosa carriera che a sua volta aveva lasciato la propria pub rock band, i Flip City), Ian Dury, Wreckless Eric, Dave Edmunds, ed addirittura il singolo “New Rose” l’esordio (prodotto da Nick Lowe nell’ottobre ‘76) di quei matti scatenati dei Damned, considerata come la prima vera incisione del punk inglese.

Soffermiamoci di nuovo sulle liriche, questa volta esaminando un paio di brani di Elvis Costello, che fra l’altro nel ’75 lavorò come roadie dei Brinsley Schwartz, tratti dal suo esordio “My Aim Is True” (1977). Cominciamo da “Welcome To The Working Week” : “Ora che hai foto sui giornali e ammirazione ritmica e puoi avere chiunque tu abbia mai desiderato dimmi una sola cosa : perché? / Benvenuto nella settimana di lavoro, lo so che non ti eccita, spero non ti uccida/ Benvenuto alla settimana lavorativa, devi farla,ci sei dentro, perciò ti conviene adattarti/ Ti sento dire : Ehi, la città è perfetta, quando la conosci solo nei libri, spendi gli ultimi spiccioli per convincerti che proprio non t’importa del tuo look/ A volte mi chiedo se viviamo nello stesso mondo perché vuoi essermi amico se io mi sento un giocatore di mano malferma/Benvenuto alla settimana di lavoro, benvenuto”. In “Less Than Zero” l’attacco politico antifascista è diretto contro Oswald Mosley, il fondatore della British Union Of Fascist : “Chiamata per il signor Oswald con il tatuaggio a svastica, c’è un posto vacante nel voodoo inglese/ Intaglia V per vandalo sul cranio del colpevole, quando ne avrai avuto abbastanza, forse lo porterai a letto, per insegnargli che è vivo/ Accendi la tv, nessuno che ascolti sospetterà, neanche tua madre lo scoprirà, così tuo padre non saprà/ Pensano che io non abbia rispetto ma tutto significa meno di zero/ La pistola fuma ancora, c’è un cadavere sul pavimento, il signor Oswald dice che se la intende con la legge/ dice che ha sentito di una coppia negli USA, dice che hanno scambiato il loro figlio con una Chevrolet / parliamo del futuro, il passato è ormai in archivio/ Pensano che io non abbia rispetto ma tutto significa meno di zero”.

Un ultimo tassello ,condensato in un paio di esempi, per evidenziare continuità ed incroci fra le storie di alcuni protagonisti del pub-rock con quelli della prima scena punk inglese. Il 16 giugno 2000 si tenne alla Brixton Academy di Londra un concerto tributo in memoria dello scomparso Ian Dury : fra i protagonisti della serata ci fu Mick Jones. Il chitarrista dei Feelgood, Wilco Johnson, suonerà la chitarra nel tributo a Joe Strummer svoltosi a Granada il 20 agosto 2003, insieme a Richard Dudansky dei 101’ers, a Tymon Dogg ed a Mick Jones. Tutto sembrerebbe tornare allora, “niente si inventa e niente si distrugge” come direbbe il vecchio saggio. Ma il pub rock da solo non bastava, non poteva bastare di fronte a giovani che volevano un cambiamento radicale e che si apprestavano, attraverso il punk, ad operare una vera “rivoluzione culturale”. Partendo dal lifestyle del “mondo squatters” che fornì al punk dei personaggi di primo piano, è giusto riconoscere però al pub rock di aver provato a scuotere, con energia e brillanti individualità, l’imbolsito mondo discografico inglese. Diede un segnale,indicò il ritorno alla sostanza nuda e cruda del rock’n’roll attraendo intorno a se una nuova audience e consegnando al punk alcuni luoghi in cui poter suonare (tutt’altro che un dettaglio in quel periodo) : il Nashville, l’Hope & Anchor, il Red Cow, ad esempio.

Detto del debito con il pub-rock, del “do it yourself” già sperimentato dai più illuminati musicisti di quella scena, è certamente necessario ricordare in breve che le radici del punk, ed anche il termine stesso (una fanzine di New York nata nel ’75 e diretta da McNeil-Holmstrom si chiamava appunto “Punk”) vanno ricercate negli States e nella “filiera” di gruppi che vanno dagli MC5, agli Stooges di Iggy Pop, alle New York Dolls, ai Flamin’ Groovies, fino ad arrivare ai Dictators, ai fondamentali Ramones (i Clash amarono visceralmente il loro album d’esordio) , ai Television, a Patti Smith (il giro del CBGB’s a New York fra punk e new wave). Queste band influenzarono, nell’asprezza del sound, nella presenza scenica e nel look, le giovani leve del punk britannico in via di formazione (si evidenzia che Malcom McLaren, oltre che dei Pistols, fu anche manager delle New York Dolls), mentre a livello politico furono gli MC5 a lasciare il segno, in particolare sui Clash.

Richiamato e riconosciuto anche questo tributo, lo scenario può di nuovo tornare nella Londra del 1975, dove Mc Laren stava lanciando il punk attraverso i capostipiti Sex Pistols (primo concerto alla St.Martin School Of Art, 6 novembre ’75), dando origine ad un fenomeno dai connotati contradditori ma dall’impatto così fortemente oltraggioso e ribelle, tale da provocare le reazioni isteriche ed esasperate delle istituzioni inglesi, fornendo davvero in qualche frangente la sensazione di “poter minacciare la legittimità dell’ordine sociale rivelandone l’aspetto tirannico, così come la scabrosità della musica dei Sex Pistols minacciò la legittimità del rock ufficiale e ne rivelò la tirannia. Si trattava di una rivolta fatta di stile (sapientemente orientato dalla coppia Viestwood-Mc Laren n.d.r) ma anche di uno stile fatto di rivolta” (Greil Marcus, Anarchia nel Regno Unito).

Già, perché il primo punk inglese ebbe le sue marcate (e vincenti) peculiarità rispetto la corrispondente scena americana. Netto fu il rifiuto ed il distacco rispetto la scena musicale “dominante”, fortemente trasgressivo ed unico il look ostentato (si pensi allo shock rappresentato dai Pistols), meno intellettuale il loro approccio artistico (vedi Patti Smith o Television negli States) ma più fiero, rabbioso, aggressivo fino all’autodistruzione, rappresentante della cruda realtà e della disillusione che caratterizzava la società inglese. In Inghilterra i gruppi punk furono più emotivamente coinvolti e relazionati con quello che succedeva nelle strade, nelle scuole, intorno a loro, la provenienza trasversale dalla working class e dal ceto medio li rendeva vicini alle problematiche giovanili nel loro complesso come nessun altro avrebbe potuto fare. Furono ,in sintesi, più politici. Di questa fondamentale connessione i Clash furono senza dubbio l’espressione migliore, ma in generale questo elemento contraddistinse un po’ tutto il movimento.

Non è qui il caso di andare oltre nell’analisi del fenomeno punk made in UK. Il fondamentale testo “Il sogno Inglese” di Jon Savage (Arcana 2002), dice davvero tutto in tal senso.
Ciò che vale la pena invece di sottolineare è l’essenza di questo movimento culturale e sociale destinato a spaccare in due la storia del rock. Il punk fu in origine un movimento di libertà : personale e politica. Un movimento libertario per il cambiamento e contro ogni tipo di autorità, capace di attrarre intorno a sé molti giovani nel Regno Unito, e per questo da subito osteggiato dai giornali, attaccato dalla polizia, colpito duro per strada, soffocato dalle istituzioni. Indipendentemente dalle logiche “mercantili” di McLaren & Co e dal fatto di essere stato piuttosto rapidamente risucchiato dal mainstream, il primo punk rappresentò davvero qualcosa nel momento in cui si concretizzò ed anche per le future generazioni di musicisti (senza il punk rock quanti di noi avrebbero avuto il coraggio di salire sul palco e dire la loro?). Un punto di riferimento dai molteplici contenuti per i giovani di talento rimasti fino ad allora alla finestra. Con il punk ognuno di loro ebbe una chance, un’imprevista opportunità di espressione artistica e politica . Aboliti gli orpelli la musica ritornava essenziale : chitarra – basso – batteria, con il palco a fare la differenza fra chi “ne aveva” e chi no.


Mauro Zaccuri