JOHNNY MARR & THE HEALERS
21
MARZO 2003, HIROSHIMA, TORINO

Mi fanno ridere quelli che, all'arrivo di una celebrità del passato, vanno per vedere "l'effetto che fa". Nel caso di Johnny Marr, la maggior parte della gente presente ad Hiroshima questa sera rientra nel novero ( a proposito, io sono qui proprio per sentire la sua mitica chitarra suonare! ).
La band è forte, oltre che di "mano di fata", di un ex Kula Shaker al basso, un americano (?) alla chitarra e tastiere (uno strumento alla volta, beninteso!) e del figlio d'arte Zack Starr, il quale si spera suoni appena meglio di suo padre!!!

Non ho avuto modo di ascoltare la loro prima fatica discografica, uscita non da molto e ho voluto "rischiare": beh, il risultato mi pare buono. Suoni ben calibrati, affiatamento fra i componenti e uno stile… Ricordano qualcosa degli Oasis - dai quali Johnny prende ispirazione per la voce, non eccelsa ma competente, forse perché anche loro sono di Manchester - e, in generale, un misto di brit-pop blueseggiante (Charlatans, i primi a venirmi in mente). Tutte cose già ascoltate, ma che vuol dire? Li trovo bravi e, come al solito, molto più professional di noi italiani.

" E gli Smiths?", mi chiederete voi. Ragazzi, neanche l'ombra - salvo per qualche giretto di Marr, il quale non può cancellare il proprio stile a forza e quindi non far venire in mente la band citata. Per dirla tutta, credo proprio che sia il genere di situazione in cui l'artista, avendo rotto malamente con i partner passati, faccia di tutto per evitare ogni genere di accostamento ai suoi trascorsi. Eppoi, gli Smiths senza la voce di Morrissey (o la chitarra di Johnny Marr) non possono essere riproposti in alcun modo.


The Smiths


Gli anni 80, per quello che mi riguarda, hanno sfornato tre meraviglie tipicamente british: Redskins, Billy Bragg e Smiths. Il ricordo è piacevolissimo e li ringraziamo ancora adesso per le loro canzoni; comunque Marr - nella fattispecie - mi pare sulla buona strada per proseguire in modo dignitoso una brillantissima carriera.
Verso il finale, Johnny parte con un pezzo arpeggiato molto dolce, il quale si rivelerà poi un brano di Dylan: "Don't think twice it's alright" - decisamente irriconoscibile, ma buono.
Mentre esco dal locale, mi chiedo da chi possa avere imparato a suonare così bene il figlio di Ringo Starr.

Alessandro Zangarini