"CLASH - INTERNAZIONALE COMBAT ROCK"

La band che bruciò Londra : un incrocio di cultura, suoni, linguaggi che diventarono patrimonio di tutti

Articolo di Alberto Campo apparso su "Musica!" del 16 Gennaio 2003


Anche solo banalmente : in quanti modi si può pronunciare, o visualizzare con la memoria, il nome The Clash? Un'infinità. Basterebbe questo ad affermare che hanno fatto storia. Tanto che ne era imminente l'ammissione in quel museo delle cere chiamato Rock'n'Roll Hall Of Fame. Doveva capitare, ed effettivamente capiterà nel marzo prossimo venturo. Ma non sarà la stessa cosa. Si erano ripromessi di suonare di nuovo insieme per l'occasione : Joe, Mick, Paul e Nick. Soprattutto Joe e Mick, che non calcavano il medesimo palco da quasi 20 anni. In verità era accaduto già in novembre, venerdì 15. Estemporaneamente. Concerto di sostegno ai pompieri in sciopero, nell'Acton Town Hall di Londra. Jones raggiunge Strummer sul palco. E fanno tre canzoni dei vecchi tempi : "Bankrobber", "White Riot" e "London's Burning". Londra brucia! Per i pompieri! Le solite facce toste…


Dicevamo del nome : THE CLASH. Una scritta così, tutta maiuscola, ha troneggiato per anni sotto sotto il traffico sopraelevato della Westway, in Harrow Road, al confine fra Notting Hill Gate e Paddington. Limitrofo a quella zona di Londra compresa fra la stessa Notting Hill e Ladbroke Grove che fu luogo di bohème giovanile su scala continentale tra fine anni Settanta e inizio Ottanta. Perché prima lo era stata del punk locale. Area di squat fin dai tempi dei freakettoni. E di interscambio razziale fra visi pallidi e rasta. Per via della ganja. E del dub. Accadde là qualcosa di speciale fra il 1975 ed il 1977. Un reciproco travaso di culture, e suoni, e linguaggi. Fermo immagine : il Carnevale caraibico di Notting Hill, 1976, come sempre nell'ultimo weekend di agosto. Scontri aspri fra "indigeni" e polizia. Una sessantina di arresti, 500 feriti. In mezzo al casino c'erano anche Paul e Joe. A tirare mattoni. Una fotografia degli avvenimenti fu immortalata sul retro copertina del prima album dei Clash. A un certo punto, che stesse accadendo "qualcosa di speciale" lo intuì pure Marley. Il grande Bob era a Londra, fuggito dalla Giamaica dopo essere scampato ad un attentato. E vedeva e sentiva quello che capitava. Così scrisse una canzone : Punky Reggae Party. In due parole : i diseredati rasta erano fratelli dei diseredati punk. Guardare il colore della pelle serviva solo a confondere le idee. E quando i Clash incisero la cover di "Police and Thieves" di Junior Murvin, o chiamarono il mitico Lee "Scratch" Perry a produrre "Complete Control", intendevano la stessa cosa. Un concetto forte, generatore di un modo di essere e di pensare, che in musica percepiamo ancora oggi ascoltando dischi ormai distantissimi dal principio originario, siano essi di Basement Jaxx o So Solid Crew. Il "groove" di Londra. Roba che non si può dire più se sia bianca o nera. Semplicemente è.

Così come la patchanka del dopo Mano Negra. Ovunque nella fetta latina del pianeta. Francia, Italia, Spagna, Messico, Argentina….Dite THE CLASH in qualunque di quei paesi e vi sarete fatti capire. Oppure domandate a Manu Chao o a chi era nei primissimi Casino Royale, premessa di tutto l'attuale skacore nostrano, perché è per come hanno cominciato a fare musica. E sentite se nelle risposte, a un certo punto, non sbuca fuori quel nome. Il solito THE CLASH.

Magari abbinato al disinvolto pachiderma terzomondista chiamato "Sandinista". I Gang raccontavano di un'altra scritta a caratteri cubitali con quelle otto lettere in fila. L'avevano vista a Città del Messico. I Clash erano ovunque. Persino dopo la fine. Nel 1991 arrivarono per la prima volta in cima all'hit parade dei singoli con "Should I Stay Or Should I Go", divenuto tema conduttore dello spot televisivo di una "celebre marca di jeans". E quello stesso anno "Rock The Casbah", uno dei pezzi forti provenienti dallo stesso disco, Combat Rock, edito nel 1982, composto ironizzando sul veto al rock appena imposto in Iran dall'ayatollah Khomeini, andava forte tra i militari americani impegnati nella Guerra del Golfo. Il fatto è che quando sei morto ti fanno dire quello che vogliono. Pensiamo piuttosto alla scena di Billy Elliott in cui il fratello del protagonista viene massacrato di botte dalla polizia a cavallo. Minatori contro Thatcher (vincerà quest'ultima). Accompagna le sequenze l'impeto rabbioso di "London Calling". "E dopo tutto questo, non mi potresti sorridere?", recita il penultimo verso della canzone. Un'immagine. Una fotografia. Paul Simonon che sfascia il basso sulle assi del palco del Palladium di New York nel 1979. Lo scatto è di Pennie Smith. Si trova impresso sulla copertina del doppio disco intitolato come quella canzone. Opera talmente monumentale da indurre la redazione di "Rolling Stone" ad un piccolo artificio temporale: uscito nel dicembre 1979, venne acclamato come migliore album rock degli anni Ottanta. Cronologicamente imperfetto, ma storicamente impeccabile. Gli anni Settanta che diventano Ottanta. Il punk che perciò muore tramutandosi in altro. E intanto Margaret, il 1 maggio 1979, era diventata primo ministro. C'è chi di fronte all'entità del problema preferì andare in frantumi e chi provò a spingersi oltre. Con tutti i rischi del caso.

California, 1978. I Clash sono in studio per preparare il secondo disco "Give 'em enough rope". A casa del nemico: avevano cantato, e ancora cantavano, "I'm so bored with the USA". Pochi mesi prima erano stati in zona i loro "cuginetti" nichilisti Sex Pistols. E fu l'ultimo loro concerto. Il 14 gennaio al Winterland di San Francisco. Epilogo del punk,in un certo qual modo. Punk nel senso di caos.Come la volta che ad un concerto dei Clash, il 23 ottobre 1976 all'ICA di Londra, Shane MacGowan, futuro cantante dei Pogues, aveva mozzato con un morso il lobo dell'orecchio ad una ragazzina. O quando, subito dopo, i Clash avevano accompagnato i Pistols in giro per il Regno Unito nell'Anarchy Tour: più concerti cancellati per ragioni di ordine pubblico di quelli fatti. Joe Strummer stava cominciando a domandare, cantando "White Riot": "Prendi il controllo/o prendi ordini?"

Beh, adesso è tutto finito. Persino i ricordi sono definitivamente congelati. I Clash non si sono più rimessi insieme. Né potranno farlo in futuro. Meglio così, forse. Ci torneranno in mente quei poster (gli sguardi un po' vacui e un po' sprezzanti, da ribelli che chissà davvero avevano una causa) e quelle t-shirt (la scritta battagliera, rossa, impudente), quei concerti (per la campagna elettorale del PCI di Berlinguer nel giugno 1980, gratuiti) e quelle canzoni.
"Canzoni folk di protesta con una chitarra elettrica", le chiamava il vecchio Joe quando ancora era giovane ed invincibile. "Tommy Gun", "Rudie Can't Fail", "Guns Of Brixton"….Vabbè ognuno ha le sue. Ma ce n'è una che ad un certo punto fa : "Perché gli anni sono passati e le cose sono cambiate/ e io vado dove mi pare". Nome e cognome: "Stay Free". Resta libero. Occorre altro?