Incontriamo
Don Letts nella sede di Shake Edizioni a Milano (molto ben realizzata
la nuova libreria Interno 4, con numerose pubblicazioni dedicate alla
controcultura), circa un’ora prima dell’incontro organizzato
da Fridge Records con amici e giornalisti. Siamo fortunati, perché
Letts ci dedica un lasso di tempo inaspettato ed esclusivo per rispondere
alle nostre domande.
Jam
:
Nel 1976, come DJ al Roxy Club di Londra, sei stato il principale artefice
della diffusione della musica reggae fra i giovani punk. Quali erano
secondo te i punti di contatto fra queste due sottoculture, apparentemente
così distanti fra loro ??
Don Letts : Ai tempi del Roxy non ci fu
alcuna programmazione nell’unire la musica punk a quella reggae.
Fu una sorta di incidente di percorso. Le punk band in Inghilterra non
avevano molti posti in cui suonare, venivano al Roxy ed io fui fortunato
perché a diversi punk piaceva la musica reggae che io mettevo.
In Inghilterra c’è una lunga storia di ragazzi bianchi
della working class che amano la black music. Negli anni ’60 ai
mods piaceva il bluebeat, ed anche prima del “punky reggae party”
c’era il movimento skinhead. Ma voglio essere molto chiaro su
questo punto: all’inizio il movimento skinhead era l’affermazione
di uno stile, non l’affermazione di un sentire fascista. Questa
gente era già sintonizzata con la black music, la vera differenza
era che ai loro tempi non ci poteva essere una interazione con la gente
di colore come avvenne negli anni ’70, semplicemente perché
non c’era una consolidata comunità nera ai loro tempi,
né persone come me nate in Inghilterra da genitori emigrati dalla
Giamaica. L’effetto per noi fu molto più diretto, io sono
cresciuto con gente come Joe Strummer, John Lydon, Paul Simonon, c’era
una connessione che veniva direttamente dalla strada. E la connessione
continuava anche nei temi politici trattati dal punk e dal reggae. I
Sex Pistols gridavano “Anarchy In The UK” ed i neri cantavano
“Chant Down Babylon”, il significato è molto simile.
Entrambe sono musiche ribelli, fatte da sottoculture ribelli, entrambe
sono orientate verso l’eliminazione di orpelli e di sofisticazioni
tecniche. Il tratto che però più mi piaceva del punk rock
fu la capacità di trasformare un problema in una cosa positiva.
Qualche produttore reggae come Lee Perry provò a produrre dei
brani punk come nel caso di “Complete Control” dei Clash.
Sinceramente la sua mano nel pezzo non si sente, però ci aveva
provato. Penso che invece con Mikey Dread (Sandinista 1980) i Clash
ebbero una svolta positiva nella propria relazione con la musica reggae/dub
ed anche con l’uso di marijuana durante le registrazioni dell’album.
Joe Strummer disse che in quel periodo fumava così tanta erba
che avrebbe potuto trasformarsi in un albero !!
|
Jam
:
Quello che ha contraddistinto i giovani musicisti giamaicani nella Londra
del ’77 sembra essere la volontà di non emulare nei comportamenti
i loro padri, ma di cercare una propria via comunicativa attraverso
la musica reggae, quasi a marcare la propria orgogliosa differenza con
lo stereotipo dell’ immigrato giamaicano. Emancipazione e non
emulazione. Sei d’accordo ??
Don Letts : E’ così. Quando
i miei genitori arrivarono in Inghilterra dalla Giamaica erano molto
ottimisti. Si sentivano indipendenti, andavano verso la madre patria,
erano membri di un impero come il Commowealth. La verità è
che venivano assunti per i lavori peggiori e con le paghe peggiori,
erano trattati come delle merde. Quando noi giovani siamo cresciuti
abbiamo realizzato che i nostri genitori non avevano raggiunto niente,
non erano niente, anche se emulavano i comportamenti dei bianchi e volevano
essere dei perfetti inglesi. Così ci siamo ribellati, e la musica
seguì questa voglia di cambiamento, di rottura, diventando più
politica, più militante. Voglio dire che prima la musica ska
veniva spesso usata nei party o nelle feste di famiglia, esprimeva gioia
e spensieratezza per la raggiunta indipendenza giamaicana. Ma quando
la disillusione e la cruda realtà apparirono in modo chiaro,
anche la musica cambiò. Questo accadde nei primi anni ’70,
particolarmente con il dj Tappa Zukie e con Big Youth e le sue liriche
socialmente impegnate.
Jam
:
Buona parte della musica reggae, la cultura dei sound system, aveva
e ha fra le caratteristiche principali quella di fare informazione.
Parlare di cose concrete, che ti circondano, dei soprusi e delle ingiustizie.
Credi che nel primo periodo punk siano stati i Clash a recepire con
maggior coscienza questa caratteristica così peculiare ??
Don Letts : Assolutamente si. Non solo
i Clash, ma anche le Slits, e successivamente anche i Public Image di
John Lydon. Tutti loro capirono che il reggae parlava di cose concrete,
comuni a molta gente, ed ognuno poteva relazionarsi con esso. Il disagio
era comune, il portafoglio vuoto era cosa comune, e quindi non era difficile
relazionarsi su cose di questo tipo. Anche queste band però provarono
a portare qualcosa di nuovo nel loro modo di suonare il reggae. Pensa
alla versione dei Clash di Police and Thieves ed al lavoro di Mick Jones
con la chitarra, era innovativo rispetto alla versione base. Lee Perry
odiava la loro versione, ma i Clash non copiavano, cercavano di interpretare
a loro modo.
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Jam
:
Sappiamo del coinvolgimento dei punk nella musica e nella cultura reggae.
Ma i musicisti reggae nel loro complesso (a parte Marley, Lee Perry
e qualche altro esempio) avevano veramente un qualche interesse nella
musica e nei contenuti del punk rock ??
Don Letts : Domanda interessante. Quello
che il reggae ha preso dal punk fu l’esposizione sui media. Fu
una cosa positiva, perché in quel periodo il sistema non passava
mai la musica reggae sulle radio, mai. Invece quando il punk ha preso
piede sono nate etichette come la Island ed in parte anche la Virgin,
che diedero spazio al reggae. Il punk ha preso dal reggae la linea di
basso, lo spirito anti-establishment, i testi impegnati e la marijuana
. Il reggae ha preso dal punk l’opportunità di finire sui
media, fu una dinamica importante. Ti racconto una cosa divertente.
Quando Bob Marley si stabilì a Londra per circa sei mesi nel
‘77 (l’ho conosciuto bene, gli vendevo marijuana…),
un giorno a casa sua mi disse guardandomi : “Don Letts, assomigli
ad uno di quei sudici punk !!”. Era stato condizionato dai tabloid
inglesi che descrivevano il punk come una cosa assolutamente negativa.
Gli dissi : “Bob guarda che stai sbagliando. Prima cosa diversi
punk sono miei amici, e secondo faresti bene ad ascoltare quello che
dicono”. Lui continuò a prendermi in giro anche per come
ero vestito. Ma tre mesi più tardi, dopo essersi informato parlando
con alcuni giornalisti e dopo aver ascoltato il punk, Bob cambiò
idea e scrisse “Punky Reggae Party”. Mi illudo di aver avuto
un qualche merito in questo cambiamento di opinione, anche se assicuro
che non è stato facile per un giovane come me dire a Bob Marley
che aveva torto.
Jam
:
Nel tuo libro “Culture Clash. Dread Meets Punk Rockers”
(uscito in lingua inglese nel 2007 n.d.r.) hai detto che lo “spirito
punk” non si può fermare. C’è sempre qualcosa
nel mondo che si muove in avanti, basta guardare con attenzione verso
nuovi posti e nuove situazioni. Sono considerazioni “positive”,
che fanno capire che sei ancora “ottimista” nonostante tutto.
Dove ci consigli di guardare oggi per scorgere quella storica “punk
attitude” così rivoluzionaria ??
Don Letts : Non in occidente. Se guardi
oggi alla cultura occidentale sembra che il punk non sia mai esistito.
Nella musica delle classifiche non c’è alcuna traccia di
quell’attitudine. Quando sono cresciuto io la musica mi ha influenzato
culturalmente, nel modo di pensare, e mi ha aiutato ad essere chi sono
adesso. Oggi purtroppo la musica è un prodotto come altri. La
compri come comprare un altro paio di scarpe. Ma questo avviene in occidente.
Io viaggiando molto posso dirti che in altre parti del mondo (dove non
arriva Mtv …) noti che ci sono giovani che capiscono quest’attitudine
e questo spirito. Capiscono che la musica può aiutare molto a
comunicare idee, creare dibattito ed a mettere in contatto le persone.
Joe Strummer diceva di guardare sempre verso nuovi posti, sintonizzarti
verso nuove situazioni. Quello che voglio dire nel mio libro è
che non si può fermare lo spirito del punk. Ancora oggi io sento
di avere uno spirito punk, è lo spirito punk quello di cui stiamo
parlando. Non di chitarre o di stupidi modi d’essere, ma di qualcosa
che è nell’aria da qualche parte, e se è nell’aria
non potrà andarsene. Ci sono altrove giovani con nuovi messaggi
e nuove istanze che riescono a dialogare anche solo usando internet,
ma ci provano. In occidente tutti vogliono avere successo ed avere ai
loro piedi tappeti rossi. Come si può essere radicali con questi
presupposti ?? Sei fottuto, è una strada senza uscita.
|
Jam
:
Veniamo a te : DJ con il tuo Dub Cartel, filmaker, scrittore, musicista.
Cosa ti piace maggiormente fare oggi ?? Cosa stimola il tuo interesse,
la tua curiosità in una società profondamente cambiata
rispetto al ’77 ??
Don Letts : Ribadisco. Io rimango ottimista
nonostante i segnali non positivi che arrivano dalla società
occidentale. La musica ha avuto una parte importante nella mia vita,
ma ci sono paesi nei quali la musica fa parte della cultura ed è
parte integrante del paese stesso. Pensate all’Africa, al Sud
America, alla Giamaica. Quello che ho sempre voluto fare è incrociare
e provare a capire le diverse culture, avere scambi che mi aiutassero
ad avere nuove idee. Io ho un approccio interculturale. Il mio libro
si chiama “Culture Clash” , il mio programma radio alla
BBC si chiama “Culture Clash”. Anche Joe Strummer aveva
un approccio simile, lui abbracciava tutte le cose che potevano interessarlo
provenienti da culture diverse. Non voglio paragonarmi a Joe, ma da
questo punto di vista avevamo senz’altro lo stesso spirito. Prendere
le cose più interessanti che il mondo offre e provare a fare
qualcosa con esse, provare a muoversi in avanti. Oggi nel ventesimo
secolo abbiamo un grande problema in occidente : ognuno conosce quali
sono i problemi nel mondo ma non molta gente si chiede cosa è
possibile fare per risolverli. Ci sono giovani nelle strade che protestano
contro il G8 e la politica dei governi, però c’è
la maggioranza che li guarda dalla televisione e pensa che stanno sbagliando.
Questo non va bene. I momenti di maggiore crisi sociale sono i momenti
in cui ci possono essere grandi cambiamenti, dal disagio spesso si creano
nuove opportunità. I giovani occidentali dovrebbero provarci,
ma oggi i giovani (specialmente in Inghilterra e negli Stati Uniti)
hanno una visione molto conservatrice delle cose. Si emozionano solo
se gli si rompe la playstation. Nei giorni del punk usavamo dire : “non
ti fidare delle persone sopra i trent’anni”. Ma se mi guardo
in giro oggi potrei dire : “non ti fidare delle persone sotto
i trent’anni !!”. Per fortuna non tutti sono così,
ci sono anche tanti ragazzi nel mondo, nei posti più lontani
dai media, che si impegnano, che usano la testa e la creatività.
Jam :
Una curiosità fra le tante. Tu hai girato il video di “London
Calling” dei Clash nel 1979. Uno dei video rock più “cool”
di ogni tempo. Fu tutto ben costruito a tavolino, oppure, trattandosi
dei Clash, possiamo pensare a qualche forma di improvvisazione ??
Don Letts : Per la verità fu tutto
accidentale. Era il mio primo video, non sapevo bene cosa fare in realtà.
Dovevamo girare il video vicino al fiume, ma non sapevo che il Tamigi
era soggetto all’alta e bassa marea. Siamo andati per le lunghe,
siamo saliti su una barca ma la mia cinepresa si muoveva continuamente.
Poi ha iniziato a piovere, diventava buio, sembrava una situazione apocalittica,
ma siamo andati avanti a riprendere lo stesso. E ne venne fuori un grande
video. Questo è punk rock !! Probabilmente se avessimo fatto
il video con tutta la pianificazione perfetta ne sarebbe uscita una
schifezza. I problemi si sono trasformati in creatività.
Jam
:
Eri nella prima formazione dei Big Audio Dynamite di Mick Jones, il
talentuoso chitarrista dei Clash. Hai mantenuto in questi anni un buon
rapporto con lui ?? Ti abbiamo visto a Londra nel 2007 riprendere con
la telecamera i concerti del suo nuovo gruppo, i Carbon Silicon.
Don Letts : Sono orgoglioso di aver fatto
parte ai Big Audio Dynamite. Con Mick abbiamo fatto una larga parte
della nostra vita insieme, ci sentiamo e ci vediamo spesso. Vedo Mick
come vedo Paul Simonon. Paul ha detto che dopo Westway To The World
non avrebbe più partecipato a film o documentari legati ai Clash.
Rispetto molto questo atteggiamento. In effetti anche in “The
Future is Unwritten” di Julien Temple l’unico Clash mancante
è lui.
Jam
:
Chiudiamo con una cosa che ci sta particolarmente a cuore : alcuni definiscono
Joe Strummer (leader dei Clash scomparso nel 2002) un “profeta
del rock’n’roll”. Avendolo conosciuto molto bene concordi
con questa definizione ?? Joe aveva per davvero una visione profetica
del mondo e delle cose della vita ??
Don Letts : Non mi piacciono le definizioni.
Non mi piacciono i miti. Io amo Joe Strummer, ma credo che la cosa migliore
per tenere lo spirito di Joe vivo, sia quello di andare avanti positivamente
nella propria vita e di fare delle cose in prima persona. Per il resto
era un essere umano come noi, con problemi e difetti, ma proprio per
questo reale e vero. Ed alla fine ancor più da amare.
Ringrazio Giuliano Del Sorbo per la preziosa
collaborazione e Fulvio “Devil” Pinto
per le fotografie gentilmente concesse. (Mauro Zaccuri)