THE GOOD THE BAD AND THE QUEEN

Damon Albarn chiede a Paul Simonon di tirar fuori dalla cassapanca il basso, perché ha in mente una cosa, un progetto da mettere in piedi con Tony Allen (drummer degli Africa 70) e Simon Tong (ex Verve). Nascono (probabilmente per non durare) The Good The Bad and The Queen, una fotografia dalla West London fatta di atmosfere rarefatte e melodie insinuanti, di quelle strane che non ti mollano (leggi Kingdom Of Doom), in puro stile Albarn. Il disco della band uscirà il 23 gennaio 2007, dall’ascolto dei brani messi in anteprima sul loro sito ne deduciamo che non sarà cosa banale. (mz)
Info : http://www.thegoodthebadandthequeen.com/

“Territori Londinesi”
Stralci di un articolo a cura di Andrea Pomini tratto da “Rumore” del dicembre 2006

Damon Albarn :”Tutto è cominciato a riprendere forma da una serie continua di conversazioni fra me e Paul Simonon”. “Abbiamo scoperto di abitare ad un paio di strade l’uno dall’altro, e di condividere l’interesse per la storia del luogo in cui viviamo”.

Paul Simonon “Siamo come storici locali. Continuamente ci diciamo l’un l’altro : sai cos’è successo in questa strada nel diciannovesimo secolo?? E l’altro giorno? Abbiamo in comune l’interesse in questa zona. E’ una parte di città tutta mista, dove si sono succedute diverse classi sociali e diverse nazionalità. Se sei interessato puoi conoscere altre persone, le loro culture, il loro cibo, cosa pensano del mondo, come vivono. E’ un educazione. La chiave di tutto è il mercato di Portobello Road, il punto focale dell’intera comunità, di poveri e ricchi, di tutte le diverse culture. Noi, con le nostre esperienze e la nostra mentalità, siamo prodotti del vivere lì. A Londra Ovest puoi essere scippato, puoi essere abbracciato, baciato….”

Non sarà l’unica perla sibilata dal nostro, arrivato con l’Independent sotto braccio e la stessa aria da signore che portava in giro nei giorni di gloria, temperata dal relax di chi ne ha viste tante e sarebbe a suo agio in un anfratto all’ombra della Westway come ad un’inaugurazione di una galleria d’arte. Albarn sembra il fratello minore, di tredici anni più giovane, ancora combattuto fra caos creativo ed agi da artista illuminato. Ha giacca e camicia pure lui, un completo anzi, ma portato con un fare scazzato che tradisce l’eterno slacker dentro. Ha il cappello pure lui, la tuba anzi, ma al posto del quotidiano un sacchetto di Sainsbury’s con dentro delle ciambelle che inizia ad offrire.
Potrebbero essere due gangster di quartiere londinesi di una volta, entrambi vantano un bel varco tra gli incisivi ed entrambi erano sulla copertina di “Time Out” fino a l’altroieri, fotografati da Pennie Smith.

Ma come suona “Herculean” ?? Benone. Non è un singolo facile con cui presentarsi al mondo, cuoce a fuoco lento, lavora ai fianchi. Non ha ritornello, ma cori senza parole e una specie di inciso dolente che corre alle pagine più notturne ed umane dei tardi Clash. Non caschiamoci però : il gioco dei gruppi di provenienza si ferma qui. Certo il pollice destro di Simonon spinge giri profondi e spaziosi manco fossimo al Channel One di Kingston, e al mondo nessuno suona alla maniera in cui suona Tony Allen, ma se dicessimo che The Good The Bad and The Queen suona gli Africa 70, i Clash, i Blur, i Gorillaz, i Verve messi assieme saremmo un bel po’ fuori strada. Suona invece meno multiculturale ed eclettico del previsto, e molto molto Albarn. Quello più atmosferico, riflessivo, crepuscolare. Più Blur che Gorillaz, se proprio puntate la pistola. Gli altri tre sono (per ora?) soprattutto il suo gruppo.

Ancora Paul Simonon “ I concerti di riscaldamento nel circondario sono andati bene, sono stati interessanti anche perché nessuno conosceva i pezzi. Magari qualcuno si aspettava chitarre e bassi rumorosi, con noi a saltare dappertutto sul palco, e invece l’atmosfera era abbastanza intima”.

Molto intimo suona anche l’album, in uscita a gennai. Collezione di dodici canzoni firmate Albarn, innanzitutto. Che citano tante cose senza che nessuna prevalga, e compongono un affresco di gran canzone inglese moderna. Racconti fatti di placida melodia soprattutto, raramente scossi dai fremiti ritmici che ci si aspetterebbe da cotanta drum and bass line, ma sempre percorsi da correnti di calore che li fanno vivi e rilevanti. Racconti che parlano di amore quasi infantile come “Northern Whale” (“E’ la mia compagna, che stava per imbarcarsi in una intrepida vacanza al Polo Sud. Io canto di essere una balena del nord, se le capita qualcosa nuoto fin laggiù, me la carico sulla schiena e torniamo a casa”), personali come “80s Life” (“sono un ragazzo degli anni ’80, sono diventato grande negli anni ’80 e la canzone è più o meno autobiografica”). Come era diventare grande negli anni ’80? Pareva che volessimo davvero sbarazzarci della Thatcher e dei conservatori, e ora sembra che non ci sia nulla di nuovo…”) o inevitabilmente politicizzati come “A Soldier’s Tale” (“Viene da Stravinsky, ma potrebbe essere ovviamente essere una cartolina spedita da qualcuno che è in Iraq o in Afghanistan”) e “Kingdom Of Doom” (“Da tempo non univo temi negativi e musica vivace. Parla dell’Inghilterra fondamentalmente : viviamo in un periodo di incredibile mancanza di consapevolezza delle nostre responsabilità”).

Tutti raccolti sotto lo stesso tetto : il buono, il cattivo e la regina. Come a dire : le vite di noi tutti sono legate insieme, dalle strade in cui viviamo o da una tensione più impalpabile. “Il nome è un’analogia per il nostro paese adesso. Ci trovi il buono e il cattivo. E c’è sempre la Regina. O il presidente, per voi. Ecco, avremmo potuto chiamarlo The Good, The Bad and The Prime Minister !”.
Già, il primo ministro. Di Tony Blair vogliamo parlare ? “ E’ ora che se ne vada. Blair ha perso tutta la sua autorità da quando ha mentito sull’Iraq. Basta, fine”.

E si ritorna ai fatti e misfatti della vecchia Albione. Ma anche se suona assai inglese in un modo tutto suo, The Good The Bad and The Queen non è secondo Damon un inno triste alla Britannia che fu. Una fotografia di cosa significhi essere inglesi oggi, piuttosto. Con eroi sportivi come il pugile figlio di pakistani Amir Khan e il nazionale sikn di cricket Mudhsuden Singh “Monty” Panesar, che gioca per la Corona con barbone e turbante. O con l’indiano chicken tikka masala affermatosi come piatto più diffuso del Regno e dichiarato di recente “vero piatto nazionale britannico”. “La nostra nazione è un miscuglio fantastico, conclude Albarn, risultato di una lunga e spesso brutale storia coloniale. Stiamo sperimentando le sue conseguenze in molti modi diversi. Essere britannico adesso è una lotta tra identità originale e identità futura, tra passato e futuro”.