THE GOOD THE BAD AND THE QUEEN
Live in London - Luglio 2007
"Everybody's looking for last gang in town"
Londra brucia ancora, e un po' anche Sesto Fiorentino




Purtroppo nascere nel 1987 in uno sperduto paesino pugliese ha giocato a mio sfavore sino a quest'anno almeno, essendo fan di un gruppo che ha fatto la sua ultima apparizione live nel 1985.

Dunque di 20 anni suonati, buoni cinque sono stati vissuti nel mito dei Clash: io faccio parte di coloro che non hanno avuto la possibilità di vedere Joe Strummer all'azione su un palco, facendo i suoi discorsi pubblici con la chitarra, ma che come il Bond niente e nessuno mai; di quelli che hanno sentito il richiamo di Londra, anche se ci hanno messo piede per la prima volta circa un mese fa, di quelli educati politicamente da 'Sandinista, di quelli che si scrivono polemicamente il testo di “Career Opportunities” sulla maglietta dopo aver annunciato pubblicamente di aver scelto una facoltà che li renderà disoccupati a vita, di quelli che la guerra in Vietnam prima di studiarla sui libri l'hanno studiata su 'Combat Rock'.

Essere fan dei Clash quando i Clash si sono sciolti da più di vent'anni è in una certa maniera “difficile”: vivere la musica su un palco è impareggiabile, e quindi essere consapevoli che su di un palco il proprio gruppo preferito non lo si vedrà mai è, beh, non è buono.
Ma tempo al tempo e tutti i pomeriggi passati a tradurre i testi, a cercare bootleg e vinili saranno ripagati.
Andare a Londra è stato un chiodo fisso dal 22 dicembre 2002 – strano a dirsi, è questa la data in cui ho sentito parlare per la prima volta dei Clash.
Essere lì finalmente e ascoltare i Clash i primi di luglio di quest'anno è stato ciò che ho ritenuto per circa un giorno la cosa più bella ed entusiasmante al mondo, almeno finché non mi sono trovata catapultata nella University of London Union: avevamo scoperto che ci sarebbe stato un incontro organizzato da “Love Music Hate Racism”, nata per celebrare i 30 anni di Rock Against Racism, con un forum in cui sarebbe stato intervenuto Chris Salewicz e in seguito un dj set di Don Letts in persona.

Il forum prevedeva interventi di Paul Sillett e Chris, che arrivato il suo turno, ha letto alcune pagine di 'Redemption Song', dilettando il piccolo pubblico presente con una splendida imitazione della voce rosicchiata dalla raucedine di Joe. L'argomento verteva sull'influenza della musica punk sulla politica degli anni '70. Perchè nasconderlo, ero quasi commossa: dopo esser vissuta per anni nel mito di quel periodo, essere faccia a faccia con gente che nel 1976 era a Notting Hill a tirar mattoni è stato davvero emozionante. Ma i veri protagonisti della serata erano proprio i Clash: erano sulla bocca di tutti, tutti li tiravano in ballo, la coscienza politica di Joe, il concerto al Victoria Park, la decisione di intitolare un album 'Sandinista!', c'era molto da discutere, insomma.

Il djset di Don Letts è stato diviso in due parti: la prima subito dopo il forum, che vedeva la stanza quasi vuota, con una decina di cinquantenni che un tempo portavano chiodo e anfibi e popolavano il 100 Club in Oxford Street, Chris Salewicz e noi. E penso che a tutti i presenti sia scesa una lacrimuccia sulle prime note di 'Justice tonight/Kick it over', la versione dub di 'Armagideon Time'. Chris è davvero gentile, parliamo per poco sulle note di 'Mustapha Dance' – avrei voluto chiedergli se fossero in previsione traduzioni del suo libro, ma ho finito solo per ringraziarlo e dirgli che i Clash mi hanno cambiato la vita, e che il suo libro me li ha fatti amare, se è possibile, ancora di più.

Don Letts, dopo l'esibizione di due gruppi, ha ripreso il suo djset, facendo ballare gli universitari londinesi a ritmo del roots reggae fine anni '70, e io in parte continuavo a blaterare, in uno stato semi confusionale, che sembrava di stare al Roxy trent'anni fa, ma senza creste e giubbotti di pelle. Questa serata, da sola, avrebbe fatto il mio viaggio londinese, sarebbe stata l'evento del mese e dell'anno, se solo non fossimo arrivate a Londra con in saccoccia la prenotazione dei biglietti del concerto dei The Good The Bad and The Queen alla Torre di Londra.
Dunque, la mattina del 9 luglio mi sono svegliata notevolmente agitata, perché nel bene o nel male andavo incontro al mio ultimo idolo vivente oltre Mick Jones – o anche perché, evidentemente, la sera prima avevamo mangiato dall'indiano a Paddington.
Ad un orario non ragionevole (14:30) per uno show che sarebbe iniziato alle 19 e che sapevamo non seguito da folle oceaniche, arriviamo alla Torre di Londra, bighellonando discretamente in giro e cercando di ottenere i biglietti che non ci erano stati spediti (diffidate sempre di ticketmaster.com)

Solitamente sono una persona molto calma e tranquilla, ma solitamente non ho la certezza di vedere Paul Simonon in carne ed ossa su un palco per la prima volta in vita mia.
La tensione, dunque, inizia a farsi sentire allorché ad uno ad uno tutti i componenti di questa band innominata ci passano davanti e guadagnano la strada verso il backstage. Nonostante continuassi a blaterare qualcosa che pressapoco faceva “Ora arriverà anche Paul”, lui non si vede. Ma subito dopo sento familiari note di basso provenienti dal palco, dunque abbandoniamo il vecchietto indiano con cui discutevamo amabilmente del più e del meno su una panchina e ci dirigiamo verso il palco: in un formidabile colpo di fortuna (!), eravamo arrivate in tempo per il soundcheck, che essendo lo spettacolo all'aperto, era accessibile alla folla gaudente, che constava di noi cinque italiane più gente in visita alla Torre di Londra, che in continuazione ci chiedeva chi fossero costoro impegnati a suonare. Ed ecco finalmente Paul Gustave Simonon con il suo Fender Precision con su inciso PAUL in mano su un palco: l'emozione è tanta, quasi da togliere il respiro. Dopo aver letto tutto lo scibile in merito, dopo aver mandato a memoria ogni testo e ogni nota, dopo tutti i pomeriggi passati guidando per lerce stradine di provincia gridando a squarciagola “C-O-N Control”, ecco finalmente “un quarto di Clash”davanti a me. E' incredibile come sia uguale a 30 anni fa, come abbia conservato lo stesso piglio – tuttavia mentre ai tempi dei Clash e degli Havana 3A.M. era rinnomato per quel suo basso a penzoloni quasi all'altezza delle ginocchia, ora lo impugna come una mitragliatrice. (In tutto ciò l'emozione è accresciuta dal vedere Pennie Smith che, in parte al palco, continuava a scattare foto a Simonon – che bel “de ja vu”)

Con un po' di impegno, dopo aver aspettato sotto la pioggia battente per qualche tempo (altro che pioggiolina londinese, era un temporale bello e buono), riusciamo a guadagnare la prima fila, esattamente di fronte a quello che, un paio d'ore più tardi, sarebbe stato il posto di mr. Simonon.
Dopo poco inizia lo spettacolo: i primi ad esibirsi sono gli Hypnotic Brass da Chicago, un gruppo di fratelli che suonano ottoni di vario genere e natura, seguiti da un rapper di Mogadiscio, K'naan, (che dieci giorni dopo rivedremo su uno dei palchi dell'Italia Wave a Sesto Fiorentino), e dal grandissimo poeta punk John Cooper Clark, che ci diletta leggendoci strofe in rima.
Ma ovviamente la tensione sale, nonostante Harry Enfield faccia cantare 'history Song' ad una scatola con la faccia di Lady Diana, rediviva dopo il Live a lei dedicato di qualche giorno prima.
Ma ecco finalmente, “I give you The Good The Bad and The Queen” - entrano dunque, introdotti da un quartetto d'archi: il risultato è splendido ed emozionante. Tempo di prendersi i dovuti applausi e subito partono le prime note di 'History Song'.
La premessa doverosa è che l'album di questo gruppo è stato da me accolto con grandissimo entusiasmo – un po' perché c'era Paul, un po' perché lo ritengo molto valido: atmosfere fumose, colpi di coda che sono una goduria, il fatto che parli in maniera così sfacciata di quella West London che sogno tanto, etc.

La band che ha dato vita a quest'album è una grandissima live band: sul palco riescono a creare un'energia incredibile, a tirare fuori dal cilindro di Damon Albarn uno spettacolo entusiasmante, in cui snocciolano una per una le canzoni dell'album, più una bellissima 'Back In The Day', b-side di 'Herculean', resa ancora più valida dalla linea di melodica che manca nella versione studio, e 'Mr Whippy', nella quale sale sul palco Eslam Jawaad. Si susseguono violini, cori e coretti, Damon fa la spola dal microfono centrale al pianino, Simon Tong incredibile (strano ma vero, non me lo aspettavo per la verità), Tony Allen immenso, e sebbene interamente coperto dalla batteria, lo vedevamo ridere e sorridere continuamente: l'intesa che si è venuta a creare tra i quattro membri del gruppo è tangibile, e non possiamo che sorridere anche noi, soddisfatti.
Per ovvi motivi, però, la mia attenzione è stata monopolizzata dal fatto che uno dei miei idoli suonava il basso a neanche un metro di distanza da me. Impugnando lo strumento come un'arma, Paul Simonon sembrava appena uscito da un vecchio spaghetti western: ha tirato fuori tutto un repertorio di smorfie da ganzo, pose e saltelli, cercando di fare il duro ma aprendosi poi in sorrisoni a chi lo guardava ridendo dalla primissima fila (più di una volta!) - e che subito dopo non credeva avesse sorriso per davvero (ogni tanto infatti si poteva sentire un grido che faceva: “LAURA! MI HA SORRISO PER DAVVERO!”)

L'album scorre tutto d'un fiato, le canzoni dal vivo acquistano ancora più consistenza, ripulite dai coretti e dalle sovraincisioni sono tutte passione ed energia.
E dunque bravo Paul Simonon. Da quando sono venuta a conoscenza di questo nuovo progetto mi sono chiesta come mai Paul abbia accolto proprio la proposta di Damon Albarn e non le altre che certamente gli sono state fatte nel corso degli anni: dopo il concerto la risposta è apparsa chiara, e sebbene non avessi mangiato né bevuto neanche un sorso d'acqua dalla mattina, nonostante la pioggia e la stanchezza ero la persona più felice del mondo.
Alla fine c'è tempo per una chiacchierata con Tony Allen (il nostro personale appuntamento con la storia della musica) e con un felicissimo Damon Albarn, che al mio “thanks for lettin' Paul play again” accoratissimo si apre in un sorrisone e replica che questo è “nice”. Paul scappa via in macchina, nonostante il disappunto generale. Forse meglio così, sarà per la prossima volta, mi dico.

Attraversiamo tutta Londra e torniamo a Paddington.
It's the blessed routine
for the Good the Bad and the Queen...Ma la storia non finisce qui.
Il giorno prima di partire gironzolavamo per Notting Hill, in una mattina senza sole. Ad un certo punto vedo venire verso di noti un distinto signore di mezz'età, con giornale sotto braccio e caffè in mano.
Io: “Ma è Mick Jones”
Laura: “Ma non dir cazzate”
Quasi in stato di shock per l'ennesima botta di culo mi avvicino, per la serie o ora o mai più.
“Mick...”
Allora Mick Geoffrey Jones in persona, che era di spalle, si gira e – forse vedendo il mio sorrisone beato e comprendendo il mio status di fan – mi dice stringendomi la mano:”Hi! Nice to meet you!”

Questo incontro è stato profetizzato milioni di volte, ma dal dir cazzate mezzi ubriachi in Italia all'incontrare per davvero Mick Jones a Londra ce ne passa.
Gli dico che volevo solo ringraziarlo per la sua musica, perché “y'know, you changed my life” - era questo un vecchio desiderio che avevo, di dirglielo, e finalmente... Gli dico di quanto ami i Carbon/Silicon, e tutta la storia di diffondere musica tramite Internet, lui si illumina e mi dice che presto ci saranno concerti e di andarli a vedere. Mick Jones è davvero un gentleman: comprendendo il mio imbarazzo inizia a farmi domande del tipo di dove fossi, prima volta a Londra? T'è piaciuta? Sei in vacanza? “a sort of... we've seen Paul... The Good The Bad and The Queen concert at the Tower of London...”, alché pare molto interessato a sapere com'era andato, dicendosi sicuro di un bellissimo spettacolo e commentando la splendida location.
Foto di rito – ultieriori ringraziamenti.

E poi ci saluta, fa: “It's been very nice to meet you!” e si allontana. E io inizio a correre per Ladbroke Grove gridando qualcosa che faceva pressapoco così “HO INCONTRATO MICK JONES!”, proprio in maiuscolo. Luglio interamente dedicato ai Clash, dunque... il 20 luglio i TGTB&TQ sono arrivati a Firenze per l'unica data italiana. Lunga attesa ma n'è valsa la pena. Prima fila anche qui. La scaletta è stata la stessa di Londra, ma a causa di un'acustica pessima lo show non è stato bello come quello del 9. Ma rivederli dal vivo è stato emozionantissimo. Paul era visibilmente felice di essere in quella che è stata casa sua tanti anni fa (non Sesto Fi, s'intende) – alla fine ha esclamato: “Molte grazie e buonanotte!”, e vedendo un ragazzo che sventolava qualcosa di clashiano, l'ha indicato e si è portato teatralmente la mano sul cuore, rendendo felice tutto il pubblico accorso lì per lui.Insomma, me la sono passata abbastanza bene in 'sto mese.

An' after all this, won't you give me a smile?

Ornella Olivieri