JUNIOR KELLY
Live a Milano, Rolling Stone, 22 Febbraio 2006




Fa freddo a Milano di questi tempi. Freddo fuori e freddo dentro, perché abbiamo perso il senso di questa città da molti anni ormai. Per allontanare le ansie metropolitane e scrollare di dosso questa fastidiosa sensazione di vuoto chiediamo aiuto, come sempre, alla buona musica. Yeah, sono le vibrazioni positive quelle che ci vogliono, sono i bassi nello stomaco, l’ondeggiare del tronco, la fluidità dei passi e del pensiero. La miscela equilibrata di suoni, gestualità e partecipazione prodotta da Junior Kelly è stata un’offerta perfetta in tal senso. Il musicista giamaicano infatti è musicista vero, esperto, formatosi con la vecchia scuola del reggae, e capace oggi di alternare reggae classico, ragga più duro, pezzi melodici e ballabili. Lui viene da uno dei quartieri più poveri di Kingston, sa cosa significa la vera sofferenza, e con il suo “conscious reggae” dispensa liriche militanti insieme a numerosi messaggi in cui sublima la forza benefica dell’amore. Di sicuro uno dei migliori rappresentanti del reggae in questo momento, insieme a Luciano, Sizzla, Capleton, Buju Banton.

Il locale si riempie gradualmente e quando gli organizzatori annunciano l’ingresso di Junior Kelly c’è buon pubblico ad attenderlo. La band in formazione classica si avvale di un paio di coriste, brave a supportare la voce duttile e potente del vocalist giamaicano. Si parte con “Though Life” (vita dura) che parla di gente povera, di oppressione, di violenza ma anche di speranza: “Though Life è speciale per me. Non sono nato in un letto di rose e non ho una corona piazzata sulla mia testa. Al contrario, sono nato in uno dei ghetti più violenti di Kingston ed era realmente una vita difficile. Ma io non ho mai perso la speranza e ciò costituisce un messaggio essenziale, quello appunto di dire che la speranza esiste sempre. Per me il più grande fallimento della vita è quello di non provarci.” Hai ragione Junior.
Il concerto sale gradualmente ma implacabilmente di intensità ed energia, grazie alla capacità di Kelly di coinvolgere il pubblico, di dare calore ed umanità alla performance scendendo a cantare in mezzo alle prime file, correndo da una parte all’altra del palco, interpretando intensamente i suoi pezzi di maggior successo, a cominciare da “If Love so Nice”, che al tempo sbancò le classifiche giamaicane per molte settimane.
C’è spazio anche per l’impeccabile band, che si lancia in jam che spaziano fra samba e jazz, ma è sempre il pulsare del reggae a comandare le danze. Si susseguono brani come “Touch my heart”, “Loser”, “Rasta should be deeper”, “Boom Draw”, “Receive”. Junior Kelly incita il pubblico, lo scuote con la potenza della voce e del messaggio, si concede generosamente per quasi un’ora e mezza senza cedimenti.

Conferma piena del valore dell’artista, e conferma piena delle positività (fisico-spirituali) delle vibrazioni reggae. One Love.

Mauro Zaccuri