THE
CLASH |
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White Riot (March 18, 1977) 13
Hitsville UK (January 16, 1981) THE
CLASH Introduzione.
Mike dei Beastie Boys “non avevo mai sentito nominare Lee ‘Scratch’ Perry prima di avere ascoltato la loro cover di ‘Police And Thieves’, una versione che secondo me rappresenta al meglio il concetto di come si possa prendere una canzone di qualcun altro e farla propria. I Clash amavano il reggae e così anch’io ho scoperto il reggae e me ne sono innamorato. “Ho visto i Clash al Palladium di New York, locale che sarebbe poi diventato un famoso nightclub. Mi ero aggregato ai miei fratelli maggiori e probabilmente gli ho messi in imbarazzo con il mio comportamento sopra le righe: ballavo sul mio posto a sedere, urlavo fino a perdere la voce e così via. E’ stato in occasione di quel concerto che ho cominciato a sognare di far parte un giorno di una band. E’ stato lo stesso concerto in cui Paul Simonon ha sfasciato il basso nella foto immortalata sulla copertina di London Calling. “White Riot” di Shane McGowan dei Pogues “’White Riot’ per me è il singolo per eccellenza dei Clash: innanzi tutto è stato il primo singolo, non era nell’album e ha ‘1977’ come lato B. E poi mi ricordo ancora il giorno in cui l’ho comprato, che era poi il giorno della pubblicazione. “Era il marzo del 1977 e si capiva che ormai la festa era finita e che stavamo andando diretti verso l’estate dell’odio. ‘White Riot’ e ‘1977’ emanavano quello spirito di paranoia e i Clash stavano lì a cantarcele e a suonarcele ed era tutto molto bello. “Una canzone che parlava di vita sparata al massimo e anche di rivolta. E poi aveva una bellissima copertina. “Era anche una presa per i fondelli della maggioranza dei bianchi che non riescono a far valere i propri diritti e a divertirsi allo stesso tempo, mentre i neri ci riescono bene. Sia i Clash che i Sex Pistols erano dei maestri nell’essere completamente decadenti e nel rendere la decadenza divertente. La molla essenziale che muoveva il punk non era l’odio, ma bensì il completo disprezzo dell’idea del diritto al lavoro o del bisogno di fare qualcosa. Non era ignoranza era semplicemente ‘Al diavolo, non me ne frega niente. Voglio solo divertirmi.’ E ‘White Riot’ è tutto questo.
“Il giorno dell’intervista qui contenuta Mick, Paul, Joe ed io ci siamo incontrati in una stazione del metrò della Circle Line. Io avevo delle anfetamine. Li avevo già incontrati prima e questo era uno dei modi migliori per entrare in connessione con loro. Io li adoravo come band. E credo che anche loro mi vedessero come un alleato. La cosa che ricordo meglio è di noi quattro dentro una cabina per le foto alla Liverpool Street Station mentre prendiamo la droga e un poliziotto che cerca di entrare nella cabina. Erano i primi mesi del 1977, un periodo fantastico perché stava iniziando tutto. Loro erano consapevoli della grande avventura che stava per dipanarsi di fronte a loro. Siamo poi andati dalla nonna di Mick lungo la Westway e poi siamo andati allo Speakeasy. Non ci fecero entrare perché non eravamo abbastanza famosi. “Il giorno successivo Julie (Burchill) ed io siamo andati in studio di registrazione per seguire l’incisione di ‘Capital Radio’ perché sarebbe dovuto uscire come singolo per NME: tipo che i primi 25.000 lettori ne avrebbero avuto una copia. Siamo stati tutto il giorno in studio a vederli lavorare. Erano una band con tre leader; in quel periodo era evidente che si amavano come fratelli.. “Alla batteria c’era Terry Chimes in quel periodo; era un buon batterista, ma era troppo regolare, non capiva di essere in un momento storico, diceva cose tipo ‘stasera c’è un film con Bing Crosby’. Mi ricordo che a Mick la cosa non piaceva per niente. “Mi ricordo anche di Strummer che cantava improvvisando ‘Don't touch that dial’ (non toccare quel tasto). Già sapevano che i loro sogni si sarebbero avverati. Erano una grande band, dal vivo, in studio, stavano bene insieme, sembravano delle superstar quando camminavano per strada. “Eravamo troppo stanchi per andare a letto quella notte e c’erano i Pistols che avrebbero suonato molto tardi al Screen On The Green. Siamo andati lì e c’era Strummer, con in braccio un bebè. ‘E’ mio’ disse scherzando. Pareva impossibile che chiunque di noi potesse mai avere dei bambini o addirittura crescere. Erano giorni magici.”
Questo è stato il primo singolo dei Clash che ho comprato e guardando questa lunga lista mi rendo conto che il primo e l’ultimo sono stati gli unici che mi sono perso. L’ho preso tornando da scuola, con la mia giacchetta verde, la mia bicicletta color porpora da corsa legata ad un palo, al negozio di dischi usati di Altrincham. Tutte le copertine dei nuovi singoli erano pinzate al muro e quei tre personaggi con le loro scarpe, le fasce al braccio erano irresistibili per un ragazzo che si comprava tutte le cose punk che si poteva permettere sulla scia del Bill Grundy Show. “Cercare un lavoro, il senso di repressione, la situazione di Londra in quel momento non erano per me delle priorità in quel momento, ma tutti i temi della canzone erano sufficienti a spazzare via i Beach Boys, che erano il gruppo che più amavo prima dei Clash, e soprattutto davano l’impressione di crederci alle cose che cantavano. “Mick suonava una Gibson, Mick faceva gli assoli, Mick era quello che io ascoltavo, era lui che mi insegnava a suonare. Senza i Clash non sarebbero esistiti gli Stone Roses. Neanche il lato b era male ed era un assaggio di quello che sarebbe successo in seguito; Il mio primo concerto in assoluto, la mia iniziazione, un accecante e assordante sguardo verso il futuro: i Clash all’Apollo di Manchester, il 29 ottobre 1977.”
“Quando avevo 14 anni vivevo con mia madre e mio padre a Kingsbury, a nord ovest di Londra. Dopo la scuola correvo in camera mia e mettevo su i dischi. Sul muro c’erano poster di tutte le band che amavo, i Clash, gli Stranglers, gli Stiff Little Fingers, David Bowie. Grazie a Bowie mi sono appassionato alla musica e il punk è venuto di conseguenza. Avevo una scaletta di un concerto dei Lurkers ed un grande poster di ‘Holidays In the Sun’ dei Pistols. Ottenevo queste cose da un negozio della zona; avevano dei cartonati delle band e io chiedevo al ragazzo del negozio di tenermeli da parte quando li toglievano. “Non avevo idea di quello che volevo fare allora e ancora non lo so. Mi piaceva un sacco la musica. A quel tempo non volevo ascoltare pezzi lenti o ballads; volevo cose veloci e rumorose su cui io potessi cantare a squarciagola saltando sul letto con in mano una mazza da baseball come un idiota. ‘Complete Control’ era la canzone più tosta che avevo, aveva in sé tutto ciò che volevo, la crudezza. “Ho
visto i Clash dal vivo almeno dieci volte. Il più bel concerto
per me è stato quello di Harlesden. Un’altra canzone che
mi piaceva un sacco era ‘The Prisoner’, che mi sembra fosse
il lato B di ‘White Man In The Hammersmith Palais’. Ascoltavo
‘White Riot’ prima di giocare, soprattutto quando ero al
Nottingham Forest ed ero capitano. L’allenatore chiudeva un occhio. “Il riff iniziale di chitarra, suonato con violenza e precisione, ti fa subito rizzare le orecchie e ti fa capire che sei di fronte a qualcosa di grande. Il punk era principalmente una cultura giovanile maschile e la canzone se la prende con alcuni personaggi glam come Bowie e Gary Glitter. Dice che non c’è bisogno di truccarsi e fare gli ambigui per scuoterci; ci bastava essere quello che eravamo: dei giovani incazzati e annoiati. “Questa è stata una delle canzoni che mi ha spinto a lasciare casa mia e andare a Londra ed è stata la sigla dei miei primi anni in città. Era sempre in diffusione nella casa occupata di Shepherd’s Bush e a Queensbridge Road ed era il nostro inno nazionale. Sono diventato insonne a causa di questa canzone. Mi dava una carica pazzesca. “Ogni
volta che la mettevi su era come fare una dichiarazione di intenti:
questo è il nostro momento e nessuno ce lo può togliere.
Da allora è passata molta acqua, birra e anfetamine sotto i ponti.
Ma nelle giuste circostanze, per esempio se esce a tutto volume da uno
stereo a Stoke Newington in una calda giornata londinese, sento ancora
un brivido lungo la schiena e spariscono di colpo quasi trent’anni.
L’adoro.” “C’è qualcuno che sia mai riuscito a combinare tra loro grandi motivi e tanto feroce moralismo? Probabilmente il primo Dylan, anche se Dylan mutuava i suoi temi musicali da altrove. Non era solo il fatto che Joe Strummer ti faceva credere alla sua rabbia; faceva anche in modo che la si condividesse. Ho ascoltato questa canzone centinaia di volte e ancora non riesco a capire bene come ci riesca a trasportare da un concerto reggae al Palais ad Adolf Hitler su una limousine. Quello che so è che quando si arriva all’ultimo fantastico e tagliente verso viene voglia di mollare il lavoro e la famiglia per raddrizzare le cose come Joe ci chiede di fare. La cosa ironica è che lo stile alla Four Tops che Joe prende in giro nel testo è replicato, in parte, dalla sensibilità pop di Mick Jones. Ecco perché ci piace ancora ascoltare questa canzone. E’ un grande singolo di uno dei due o tre gruppi inglesi migliori di sempre.” 'Tommy Gun' di Carl Barat, Dirty Pretty Things, ex The Libertines “Sapevo dell’esistenza dei Clash da bambino. Facevano parte della colonna sonora senza nome dei primi anni della mia vita. Mia mamma e mio padre avevano delle compilation di punk in cassetta che mettevano spesso su a casa e c’erano dentro ‘Should I Stay Or Should I Go’ e ‘London Calling’. Non conoscevo gli altri gruppi, ma i Clash sapevo chi erano. “Quando ho cominciato ad interessarmi di più alla musica ho letto che erano delle icone del punk, ma erano più interessanti dei Sex Pistols. Erano più intelligenti ed avevano più cose da dire. ‘Tommy Gun’ rievoca quell’epoca. E’ un prodotto del clima incostante e volubile della fine anni Settanta, con tutte quei riferimenti ad organizzazioni terroristiche come Baader Meinhoff e le Brigate Rosse. E’ come un adattamento punk di ‘Revolution’ dei Beatles. 'Tommy gun, you ain't happy less you got one’ (Tommy Gun non sei contento finché non hai colpito qualcuno), grandissimo. “A me pare che i Clash facessero le stesse cose che hanno fatto in seguito i Rage Against The Machine, far sapere al loro pubblico quello che succedeva in giro dal punto di vista politico, con la band nella posizione di fuorilegge che diffondono la notizia. Il rullante della batteria all’inizio della canzone è bellissimo. “Un mio amico mi ha raccontato una storia divertente sulla parte ripetuta verso la fine quando Strummer canta ‘OK, so let's agree about the price, and make it one jet airliner for ten prisoners' (Va bene mettiamoci d’accordo sul prezzo e facciamo un aereo in cambio di dieci prigionieri). Questo amico mio ha mandato il testo ad un suo amico che non capiva bene cosa volesse dire, ma il giorno dopo si sono presentati alla sua porta alcuni agenti del MI5 (servizi segreti inglesi) per sapere cosa avesse in mente di fare! Basta questo per dimostrare che ‘Tommy Gun’ è ancora una canzone importante come lo era allora”.
“Ho comprato ‘Give ‘Em Enough Rope’ nel reparto dischi di Rumbelows a Northwich. Avevo comprato ‘Sandinista’ poche settimane prima e ero nella fase in cui vuoi ascoltare tutto quello che puoi. I primi tre brani mi hanno fatto subito andare fuori di testa, 'Safe European Home', 'Tommy Gun' e 'English Civil War'. Non avevo mai ascoltato un disco che suonava così potente e grande. “Adoro ‘English Civil War’; è una canzone da marcia. L’introduzione è tutta su di un solo accordo poi Strummer urla ‘Alright’. A quattordici anni mi sembrava straordinario. Un rock’n’roll con le armi in pugno. Andavo a casa dei miei amici, la mettevamo su e saltavamo in giro per la stanza. Era il sound che annunciava l’arrivo dell’ultima gang in città attraverso gli speaker. “Credo
che il testo sia adattato da un vecchia canzone della Guerra Civile
Americana. Cantavo l’inizio della canzone ‘quando Johnny
tornerà marciando a casa’, ma non sapevo bene a cosa si
riferisse. Sapevo solo che voleva dire di alzarsi e combattere per quello
in cui si crede. Mi ha veramente illuminato. “I
Clash non erano solo una ottima rock band. Mi hanno fatto capire che
potevo veramente vivere i miei sogni”. Ero un punk di otto anni quando è uscito l’EP di ‘Cost Of Living’. A mio padre piaceva un sacco e, come regalo di compleanno, mi ha portato a vedere i Clash all’Apollo a Manchester. Mi ricordo ancora il momento in cui ho visto il cartello all’esterno quando siamo arrivati: Dal vivo stasera: i Clash’ “Joe Strummer era in gran forma e lanciava la chitarra in giro per il palco. Eravamo seduti in galleria e alla fine tutto il pubblico era andato fuori di testa. Alcuni poltroncine sono state sradicate e lanciate in giro. Mio padre era della serie ‘forse è meglio che ce ne andiamo’. Il primo verso di ‘I Fought The Law’ dice ‘rompere rocce sotto il sole caldo’. Geniale. Dopo di ciò si può fare di tutto. “Ho scoperto solo di recente che ‘I Fought The Law’ è stata scritta da Sonny Curtis, il chitarrista dei Crickets. E’ strano, è migliore di qualunque cosa abbia mai composto Buddy Holly e per giunta Bobby Fuller è morto a 22 anni. Cosa che aggiunge mistero a mistero. “E’
un grande pezzo, ma i Clash facevano sempre cover eccellenti: ‘Police
And Thieves’, ‘Brand New Cadillac’. Ho ancora la copia
in vinile di mio padre del primo album. L’ho tirata fuori proprio
l’altro giorno. Da bambino ci avevo scritto sopra con una matita:
‘Jimi Goodwin – il punk è vivo!’ Il seme di
tutto quello che ho fatto dopo è stato piantato lì!” “Adoravo i Clash. Mi piaceva il loro primo album anche se non era prodotto molto bene. Come si sa loro sono nati dopo che hanno visto i Pistols, quindi noi non li abbiamo mai vissuti come una minaccia. I Pistols erano i numeri uno e i Clash i numeri due, anche se per alcuni le cose sono cambiate lungo la strada. “Mi piace come suonavano perché era lo stesso stile da cui provengo anch’io, la stella scuola di glam, e le canzoni sono simili a quelle con cui ero cresciuto. Le strutture e il marchio di fabbrica che imprimeva Mick Jones venivano dallo stesso luogo da dove venivo anch’io. Sono andato una volta a Birmingham, alla Music Machine, e ho suonato con loro. Non c’era nessuna rivalità, era tutto bello per me. “’London Calling’ era la loro ‘Anarchy In the UK’. Mi sembrava una canzone deprimente ma importante per ciò che diceva il testo. La volta migliore in cui li ho visti è successo prima ancora, mentre stavano provando, c’era ancora Keith Levine nella band e li ho ascoltati provare al Roundhouse e da allora non sono poi cambiati molto. “Si
sa che la storia a volte viene distorta da quelli che non sono presenti.
I Clash c’erano, c’eravamo noi. Ho avuto Mick al telefono
per la mia trasmissione in radio. “London Calling” di Damon Albarn, The Gorillaz, Blur “C’è molta drammaticità in questa canzone – sembra di essere in mezzo ad un sogno”
C’ero durante l’incisione di ‘Bankrobber’. Io ed il mio amico Pete Garner stavamo camminando lungo Granby Roads a Manchester un giorno e sentivamo il suono di una batteria attraverso un muro. Pete era un vero fan dei Clash ed era convinto che fossero loro. Dopodichè esce Topper Headon proprio di fronte a noi! “Ci ha invitato in studio per vedere come andavano le cose. C’era Mikey Dread e ci siamo messi a chiacchierare. Erano tostissimi. Joe Strummer stava seduto in un angolo con un cappello a larghe falde sotto un grande orologio vecchio stile e batteva il tempo dell’orologio: Paul Simonon ci chiese quale era il nostro film preferito e poi ci disse (con puro accento di West London) “il mio è ‘Anno 2000 la corsa della morte’”. E’ curioso ricordarsi di certe cose. “Poi
abbiamo mostrato a Johnny Green, il loro tour manager, la strada per
il negozio di dischi più vicino e lui è andato a comprare
due copie di ‘London Calling’, una per ognuno di noi. Non
me lo scorderò mai”. “’The Cool Out’ è un mix di ‘The Call Up’ ed è importante perché mette in evidenza la versatilità dei Clash nel senso che sapevano incorporare differenti generi musicali. La cosa che più appariva evidente dei Clash è che loro stessi erano dei grandi appassionati di musica, stavano sempre attenti a sentire quello che c’era in giro. Prendevano ciò che era nuovo e non aveva ancora avuto risonanza, lo mescolavano assieme a qualcosa di accessibile e lo rendevano Clash. “Hanno cambiato completamente la musica facendo vedere che possono prendere una band con basso, chitarre e batteria e portarla su nuovi terreni. Possono prendere gli Chic o il rap o qualunque cosa e miscelare il tutto. Probabilmente avevano frequentato i club e le discoteche di New York all’epoca. Questo tipo di contaminazioni continuano ad influenzare molte band di adesso. A quel tempo probabilmente o eri un fan del rock o della dico music. E la disco music era più per le donne. Molte band temevano di apparire frivole con questo tipo di musica, ma non i Clash. “Il
mio singolo preferito in assoluto dei Clash era “Rock The Casbah”
perché ero convinta che cantassero la frase ‘Sharleen don’t
like it’. C’era un periodo in cui mi prenotavo negli hotel
a nome Janie Jones, finché qualcuno non mi ha sgamato.” “In ogni film che ho fatto ho cercato in vano di metterci dentro ‘Hitsville UK’. Questa stilettata di post-punk e di Motown darebbe lustro a qualunque film inglese. E’ anche una perfetto esempio di come andrebbe fatto un film inglese. Per molto tempo era prevista alla fine di ’28 Giorni Dopo’, ma la presenza di mutanti, balordi e macho mi hanno convinto a sostituirla con altro. “Un paio di mesi dopo Joe Strummer è morto e, sebbene io fossi un suo grande fan non avevo mai conosciuto né lui né altri del gruppo. Adesso mi sentivo uno stupido per averlo in qualche modo deluso. Alla fine l’ho messa dentro ‘Millions’ e non pagherò più i miei debiti in ritardo”. 'The Magnificent Seven' di Bobby Gillespie, Primal Scream Quando comprai Sandinista ascoltai un sacco di volte i primi due dischi e penso che ‘The Magnificent Seven’ sia il brano principale. A quel tempo lavoravo in una stamperia e il testo rispecchiava benissimo la mia vita. ‘Sveglia, sveglia sono le 7, ti devi alzare e ricominciare’. Ero così stufo che a volte mi veniva voglia di suicidarmi; la canzone ritraeva quel tipo di situazione e se ne prendeva anche gioco… Quando Joe dice ad alta voce ‘cheeseburger’ so che stava veramente chiedendo un panino e alla fine l’hanno tenuta nell’incisione. “La canzone parla della futilità del lavoro ed è quello che provavo io, mi ci ritrovavo. Il fatto di sentirsi in gabbia, imprigionati senza un vero futuro. Questa canzone mi ha dato la forza di mollare il lavoro e per questo mi ricordo sempre le parole. “Io adoravo gli Chic e questa canzone mi ricordava ‘Good Times’. Non mi rendevo conto che Joe stava in qualche modo rappando, adesso lo capisco in prospettiva. A me sembrava solo una versione punk degli Chic. “E’ una canzone ribelle ma ballabile. L’album precedente era ‘London Calling’, che tutti dicevano essere un capolavoro rock, dopodichè se ne vengono fuori con un disco triplo, pieno di disco music, psichedelica, country, dub, di tutto. Se non ricordo male l’ho comprato da Soundtrack Records a Glasgow. Avevano sempre dischi di punk. Io avevo diciotto anni e abitavo con mio padre. E’ un disco sorprendente, grande energia, grandi remix, un disco veramente bello con alcuni dei testi migliori di Strummer. “Radio Clash” di Richard Archer, Hard FI “La cosa bella di ‘Radio Clash’ è che inizia con una grande intro con Joe che urla come a dire ‘attenzione arrivo io’ e poi parte il riff. E’ come fare un balzo nel futuro se si considera quello che riuscivano a fare con i sampling e i remix ma senza la tecnologia moderna. “Non c’ero al tempo del punk ma non serve esserne stati testimoni per capire che i Clash erano avanti. Questa canzone è ancora valida adesso e il testo di Joe sempre attuale. Se la si paragona a ‘White Riot’ c’è una grande differenza di stile e questo è ciò che, secondo me, ha reso i Clash dei grandi. Il mescolamento di stili, la volontà di sperimentare, il riuscire a fare i dischi come volevano senza scendere a compromessi. Il fatto di non avere paura di provare stili differenti ha influenzato gli Hard-Fi. “Io provengo da una città-satellite dove gli stimoli culturali non erano molti e i Clash sono stati uno dei modi che ho avuto per scoprire le cose, che fosse dub, ska o Jack Kerouac. Parlavano di ciò che succedeva nel mondo, anche questo lo abbiamo preso da loro, anche se loro parlavano di cose a livello globale noi invece restiamo su argomenti locali. Mio fratello Steve, che è più grande di me, me li ha fatti conoscere. Poi ho letto dei Nirvana che in alcune interviste parlavano di loro e alla fine Mick ha prodotto la mia prima band. “Avanti rapido fino ad un paio di mesi fa quando Mick si è unito a noi sul palco della Brixton Academy e questo mostra quante cose sono cambiate in pochi anni. Non avrei potuto chiedere niente di più. Quando sento le loro canzoni il mio cuore va più veloce e mi viene voglia di prendere in mano la chitarra ed salire su un palco.” “Know Your Rights” di Chris Shiflett, Foo Fighters “’Know Your Rights’ è l’esempio perfetto di come i Clash rendessero politico qualcosa che si poteva anche ballare. Il messaggio e la musica erano senza soluzione di continuità. Amo talmente quella canzone che ce l’ho tatuata sull’avambraccio (anche se Joe Strummer in persona mi aveva detto di non farlo).” “Know Your Rights” di Anthony Roman, Radio 4 “Tutto nasce dai primi 15 secondi di ‘Know Your Rights’. Come entra la chitarra di Mick Jones con Strummer che urla: “This is a public service announcement/With guitars!” (questo è un annuncio di servizio pubblico/Con chitarre!). Questo ero il motivo principale per il quale i Clash esistevano. Sono una grande influenza su quello che facciamo noi dei Radio 4. “Io ero un bambino in America e ‘Combat Rock’ lo si sentiva ovunque. Erano i primi tempi di MTV e il video di ‘Rock The Casbah’ era sempre in programmazione. Tutti i miei compagni di scuola l’adoravano ma ‘Know Your Rights’ era la mia preferita. E’ la sintesi perfetta di tutte le loro influenze, dal reggae al punk, attraverso l’ R&B e il soul. Dal punto di musicale c’è un senso di ‘urgenza’ come se loro volessero rendere le cose più dirette. “Forse erano consapevoli che avevano perso un po’ di fan lungo la strada dopo Sandinista e volevano tornare ad un sound basilare. Il punto forte del testo è quando dice: ‘l’omicidio è un delitto a meno che non sia compiuto da un politico o da un aristocratico’. Se ‘Know Your Rights’ venisse pubblicato oggi sarebbe assolutamente attuale. E un classico.” Rock The Casbah’ di Bernard Sumner, Joy Division e New Order “Ero ben consapevole dell’esistenza dei Clash quando arrivò il punk perché anche per noi è iniziato tutto lì anche se non penso che i Joy Division fossero propriamente punk. Credo che noi fossimo qualcosa di diverso che è venuto dopo e che non ha una vera definizione. “’Rock The Casbah’ è il mio pezzo preferito. L’ho ascoltato per la prima volta a New York quando abbiamo cominciato ad andarci nei primi anni ottanta, dopo la fine dei Joy Division. Eravamo in crisi perché la morte di Ian significava che non potevamo più andare in quella direzione, avevamo chiuso con quel sound. “I club di New York erano molto ‘new wave’ e la musica lì era molto migliore che in Inghilterra. I locali erano spesso dentro dei magazzini. C’era il Peppermint Lounge, il Danceteria, l’Hurrah’s, l’Am-Pm. Ce n’erano a decine. Non mettevano musica dance commerciale, ma brani di gruppi inglesi e i due pezzi più suonati in assoluto erano ‘Tainted Love’ dei Soft Cell e ‘Rock The Casbah’. “Rompeva la forma. Credo sia stata scritta dal batterista. Ci stava perfettamente in una discoteca e mi ha fatto capire che si può fare musica da discoteca senza essere futili come era la musica nei locali in Inghilterra al tempo. Qui c’era un gruppo vero e proprio che faceva musica vera, con una strumentazione rock ma riuscendo ad essere protagonisti nella scena dei club di New York. E’ una storia che mi ha dato molta ispirazione. “La canzone ha un grande contenuto ritmico e ti prende subito. Sono i Clash al meglio. Ok non sono chitarre violente e velocità folle, ma è un gran pezzo. “Should I Stay Or Should I Go” di Pete Townshend , The Who “La mia canzone preferita dei Clash è ‘Train In Vain’. Ma poi viene ‘Should I Stay Or Should I Go’. Mi sembrava di averla già sentita prima (non sto cercando di fare dell’ironia). I dischi dei Clash me li sono comprati fino a ‘Combat Rock’ che è stato prodotto dal produttore degli Who Glyn Johns. Così in questo caso ho avuto una copia omaggio. “Avevamo un junior manager che si chiamava Chris Chappel che era un grande fan dei Clash. Li ho invitati per il tour americano dopo che Chris aveva convinto il suo capo che sarebbero andati bene con noi. Alla fine del tour avevano conquistato l’America. Suonavamo in grandi stadi in quel tour e i Clash seppero gestire bene la loro parte di concerto e riuscirono a convincere la gente che erano veri. “Adoro i Clash, così come adoravo i Sex Pistols. Diversi, incompatibili, non paragonali, li sentivo come gruppi (come i Jam poco dopo) che seguivano il percorso tracciato dagli Who più di ogni altri. I New York Dolls e i Ramones hanno influenzato il British Punk ovviamente, ma era la nostra esaltazione del rock e indifferenza al tempo stesso che entrambe le band riprendevano, sebbene ognuna di loro avesse motivi diversi per usare quel particolare tipo di formula distorta. Per questo sono particolarmente orgoglioso di gruppi come i Clash, i Sex Pistols e i Jam. “Mi sono sentito male del fatto di essere sopravvissuto a Joe Strummer, ma contento del fatto che Topper sia ancora vivo nonostante tutto; è un ragazzo adorabile. Ammiro molto anche Mick Jones e Paul Simonon per essere rimasti fedeli alla loro tesi artistiche. Questi ragazzi hanno reso molto più sopportabile un periodo piuttosto travagliato della mia vita tra la fine degli anni settanta e l’inizio degli ottanta. Gli Who hanno appena suonato al Brighton Centre e la cosa a cui più ho pensato mentre suonavamo lì era che avevo suonato su quello stesso palco con i Clash nel 1981. “This Is England” di Bernard Rhodes, ex manager dei Clash “Quando sono tornato in questo Paese venerdì 29 giugno, dopo che ero stato via per alcuni anni, ho visto un giro un sacco di croci di San Giorgio. Dopo l’orrenda partita dell’Inghilterra del 30 e da quando questi cartelloni in bianco e rosso sembrano una moda stanca di ieri e fanno quasi ridere; come le stupide canzoni che accompagnavano quella stupida squadra. ‘This Is England’ riflette benissimo quella immensa figuraccia nazionale.” |
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