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La
scena più suonata del film L'odio di Mathieu Kassovitz è
quella in cui il giovane disc jockey Cut Killer rivolge i giganteschi
altoparlanti del suo impianto verso la strada e suona a volume irragionevole
un pezzo di Krs-One, nume tutelare del rap statunitense. È il
suono lacerante di una sirena, sono i primi secondi di The Sound of
Da Police. In quella colonna sonora c'era un altro pezzo, a firmarlo
uno dei gruppi più arrabbiati della scena hip hop, i Ministère
Amer.: Sacre fils de poulet, un gioco di parole, innocua (non era ancora
tempo di allarme aviaria) celebrazione di un immaginario sacro «figlio
dei polli». In realtà si legge esattamente come «Sacrifice
de poulé», che in slang «sacrifica poliziotti».
Le periferie di Francia hanno portato nell'hip hop nazionale le loro tensioni soltanto a partire dall'inizio degli anni `90, prima la Zulu Nation e lo scratch erano roba per studenti del ceto medio. Dentro la scena sono in seguito cresciute le costole più legate all'immigrazione, come se dopo essersi sentiti tutti francesi, da una decina di anni a questa parte i ragazzi avessero abdicato nei confronti di quel diritto di cittadinanza, così duramente conquistato da nonni e genitori. C'è voglia di identità africana: i Bisso Na Bisso (ancora Passi di mezzo) lavorano sulle radici congolesi, gli Alliance Etnik si ricordano della loro tempra latina, tra i più amati ci sono i 113. Due loro canzoni, Tonton du bled e Tonton des iles, fanno furore raccontando due aspetti dello stesso dramma: i ragazzi si sentono africani in Francia e francesi quando vanno nel continente d'origine per le vacanze; non c'è via d'uscita. Così nell'esagono si accentuano le dichiarazioni d'appartenenza a una comunità specifica: l'ultimo arrivato in classifica è L'algérino, giovane acrobata delle rime, vero nome Samir, nato a Marsiglia, la città in cui lavorano gli I.a.m. di quell'Akénathon che tanto piaceva a Jean-Claude Izzo. Samir gli Ntm li ascoltava a dodici anni, quando sconvolgevano il paese con album minacciosi, Paris sous les bombes, Parigi sotto le bombe, oppure J'appuie sur la Gachette, premo sul grilletto. Samir è della generazione di Disiz La Peste, altro idolo dei ragazzi fuori dal gioco: sul disco Les aventures extraordinaires d'un jeune de banlieue posa con in braccio un bimbo senza futuro, sullo sfondo solo palazzi bruciati e rovine urbane. Il viaggio verso l'Africa ha intanto trasformato in star alcune crew di Dakar, come Daara J, né mai sul fronte dell'immaginario banlieue è venuto meno il reggae; storici l'inno antirazzista di Pablo Master, Touche pas à mon pote, e il Blues des racailles celebrato da Daddy Yod. Storia
a sé hanno fatto a Tolosa gli Zebda, nati nella zona nord sull'onda
lunga del progetto di intervento sociale gestito dall'Associazione Vitécri,
poi evolutasi in Tactikollectif. Nel 1991 nasceva così il festival
«Ça bouge au nord». Vennero i dischi di successo,
il sostegno alle campagne antirazziste, addirittura la candidatura alle
elezioni politiche: sembrano passati anni luce. Parigi, Marsiglia, Tolosa.
E poi Lione, la città da qualche anno in maggior fermento sotto
il profilo delle produzioni, della break, del rap. Discipline bandite
ufficialmente lo scorso mese di luglio dalla programmazione ufficiale
della città e dei suoi locali più importanti dopo una
rissa avvenuta a una serata lungo il fiume. Il dialogo è finito,
e l'hip hop racconta lo scontro, anche se è comodo spacciarlo
per artefice.
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