Tralasciando i dettagli sul concerto di Joe al Rolling Stone e relative
forti emozioni, se non altro anche poiche' vigeva un clima veramente
particolare all'interno del locale, con persone di almeno due decadi
di differenza tra loro ma amalgamate uniformemente tra la folla, passiamo
a quella che si e' rivelata una serata del tutto eccezzionale (e questa
volta la doppia zeta rafforzativa e' davvero necessaria!).
Tramite un amico che conosceva l'organizzatore del concerto, vengo a
sapere che probabilmente dopo il concerto, Joe si sarebbe diretto all'Atomic
Bar dove aveva gia' trascorso una serata qualche tempo prima in occasione
del suo avvento a Milano per la presentazione del suo nuovo album.
Ed ecco che ancora estasiato dal live appena consumato, mi dirigo con
una manciata di amici all'atomic in attesa di un arrivo sul quale non
facevo molto affidamento. Ma ecco che, appena dopo la mezzanotte, dalla
porta di entrata del locale, vedo materializzarsi la persona che piu'
di tutte, a livello artistico, ha rappresentatato per me un vero e proprio
punto di riferimento.
Joe entra incappottato e sciarpato, vista la freddura milanese, con
un organizzatore del concerto che lo accompagna e che, dopo un paio
d'ore, lo abbandonera' alle brame dei suoi pochi fans che, come me,
avevano goduto della soffiata e che al quel punto inziavano a sfoggiare
sorrisi a 72 denti ed euforia tipicamente jamaicana pur non avendo ancora
consumato alcuna sigaretta farcita di quell'erbetta che ben cresce al
caldo della terra natale del reggae.
Le altre persone che popolano il locale, fatto salvo i "soffiatari",
si guardano stranite chiedendosi il perche' di tali attenzioni rivolte
a Joe e, arrivate le 2, si defilano gettando la spugna di un altro sabato
comune.
Ed e' qui che parte la vera nottata chiacchereccia.
Ci si stringe sempre piu' fino a ritrovarci in una decina stretti attorno
all'unico tavolo ormai popolato del locale.
Joe beve Porto rosso per scaldarsi e rolla sigarette di Golden Virginia
una dopo l'altra prima di passare definitivamente alle pinte di chiara
e risponde a tutte le nostre curiosita'.
I discorsi spaziano da un argomento all'altro fino ad arrivare a parlare
persino delle differenze tra la cucina italiana e le abitudini alimentari
degli inglesi (ma qui forse eravamo gia' arrivati al decimo giro di
pinte), dei vari tipi di droghe assunte da Joe (anfetamine in adolescenza
e ganja a vita) di quanti denti reali gli fossero rimasti (asserisce
di averli tutti finti ormai) di come e se si fosse accorto che la maglietta
"brigade rosse" da lui creata riportava una D al posto di
una T (poco conta sinceramente), di come avesse fatto a prendersi l'epatite
grazie ad uno sputo di un fan direttosi nella sua bocca ad uno dei loro
primi concerti e di altri aneddoti riferiti piu' che altro al primo
periodo dei Clash, fino ad arrivare a spiegarmi, simulando a voce il
suono della chitarra, i giusti accordi di "white man in Hammersmith
palais" (a detta di Joe la sua canzone preferita dei Clash ) in
modo da poterla poi coverizzare con la mia band. Joe poi si alza e dopo
essersi fatto offrire un paio di pinte, si dirige al bancone e offre
un giro di pinte x tutta la tavolata, sempre piu' intima minuto dopo
minuto, all'interno del locale ormai chiuso da un paio d'ore.
L'umanita' di Joe e l'adrenalina della situazione cancellano il tasso
avanzato di alcool nel sangue e lo fanno passare come se fosse un amico
di vecchia data che sta raccontando le sue vicissitudini di un periodo
trascorso lontano da casa.
Arrivati alle 5 passate del mattino ci alziamo tutti dal tavolo (Joe
accenna un leggero barcollamento tipicamente da "serata etilica")
e col sopracciglio un po' "ancelottiano" viene invitato da
mia cugina a coprirsi con la sua mitica sciarpa proprio come se fosse
uno di famiglia che sta per partire e che si deve preservare per la
data successiva (il giorno dopo) a Parigi.
Si rimane ancora qualche minuto fuori dal locale al freddo a chiacchierare,
ci si scambiano i saluti e dopodiche' Joe viene accompagnato in hotel
mentre noi torniamo a casa. Quella notte non ho chiuso occhio, forte
dell'adrenalina che le emozioni di una nottata del genere hanno scaturito
in me e forte della convinzione di aver creduto in una persona (nei
suoi testi, nelle sue canzoni e nei suoi messaggi) che si e' rivelata
esattamente, a livello umano, come avrei voluto aspettarmi, non un gesto
da fottuta rock star ma semplicemente una persona vera, come, spero,
tutte quelle che credevano e credono in lui.
ALWAYS REMEMBER, NEVER SURRENDER
Stefano Loi