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up: Roberto “Bobo” Boggio – Voce Giorgio “Zorro” Silvestri – Chitarre, ukulele, melodica Gianluca Vacha – Tastiere, pianoforte Sergio Pollone – Batteria Luigi “Giotto” Napolitano – Tromba Toti Canzoneri – Sax e flauto Josh Sanfelici – basso, chitarra Track-list : MCQ3188 – Taca Borgnu – I Ragazzi escono a piedi – Mai dire mai – Nuvole di Rabbia – Nuvole di dub – Dubbi e guai – Velasco – Al di là del sole – Al di là del dub – Quello che canta onliù – Il Marsigliese – Il Graffio – Verso il Soul – Solo una notte – Resto Solo Scusate la breve riflessione, in particolare quando viene introdotta prima della recensione di un nuovo disco. Ma al cuor non si comanda, e noi il pensierino lo infiliamo comunque, piaccia o no, consapevoli che potrà interessare a qualcuno di voi. Ebbene, l’argomento non è nuovo e suona più o meno così : “Ma dai lasciate perdere, questa è musica vecchia, se va bene di 15-20 anni fa. Non sentite come è datata ?”. E ancora : “Non vi rendete conto che tutto è cambiato, che non si può vivere continuamente con la testa rivolta al passato? Ma come fate ad essere così nostalgici, ad essere così fissati intorno alle stesse storie, alle stesse note, alle stesse persone ?”. Allora, una volta per tutte : possiamo ammettere una certa fissazione (ah..ah..ah..), ma questa critica è una caricatura della realtà, fra l’altro piuttosto approssimativa e superficiale. Qual’è infatti il significato di nuovo? Qualcosa che rispecchia le condizioni o le aspirazioni dell’attualità, del nostro tempo? Se il nuovo viene rappresentato, per rimanere in Italia e senza farla lunga, da gruppi come Vibrazioni, Velvet, gli stessi Negramaro, allora non ci capiamo sul significato di nuovo. Ci capiamo invece se parliamo di novità mediatica, cioè è nuovo quello che si vede più spesso, che “gira” maggiormente fra suonerie dei telefonini,Festivalbar ed MTV. E siccome la novità mediatica non ci interessa e non ci rappresenta, per noi il problema del nuovo così posto semplicemente non esiste. Si rischia di essere piuttosto banali in queste considerazioni, ma è la chiave che ci permette di affrontare il positivo ritorno discografico (se lasciamo perdere compilation e live) di una band storica, e di riaffermare nel contempo l’attualità di un sound a torto marginalizzato ma che resiste intorno ad una bella serie di gruppi con diverse caratteristiche ma con radici comuni. Veniamo dunque al disco dei Fratelli di Soledad che, lo diciamo chiaro, è un bel lavoro, compatto e con una propria anima. Non ci sono tracce di stanchezza o segnali di brani raffazzonati per una estemporanea reunion, il suono è vivo, ed è qui per restare.
Con l’amato e danzereccio rocksteady a fare da collante, i Fratelli producono musica efficace e testi sinceri e vissuti, mischiano caraibi (ska, reggae, dub) e rock’n’roll, storie urbane della loro Torino e citazioni cinematografiche, ricordano con passione il maestro, Joe Strummer, al ritmo di un reggae che farà piacere ai rudeboys . Ci si muove subito all’ascolto della strumentale “MCQ3188” e di “Taca Borgnu”, dedicato alla libertà busker. Sanno scrivere canzoni Zorro e compagnia, e lo dimostrano con la title track “Mai dire mai” (yeah, i’m not down, vi rimarrà in testa per un bel po’), con lo swing di “Dubbi e Guai”, con il reggae sottovoce di “Solo una notte”, e con la “western ballad” “Resto Solo” (bella interpretazione di Bobo). Ottima anche la cover di Jannacci “Quello che canta Onliù”, mentre la voglia di fare musica della band si manifesta in una serie di brani strumentali, con “Il Marsigliese” su tutti. Lo ribadiamo con convinzione, lo sapete. Non stiamo farfugliando parole inutili e stanche. Questo è un sound ancora vivo che chiede il suo spazio. E non è per nulla vero, stampiamocelo in testa, che non ci siano ancora orecchie pronte ad ascoltarlo, ancora cuori pronti a custodirlo. Occhio alla traccia nascosta, Silvia (1994), profuma di garageland. Mauro Zaccuri Voto : 7,5 Web : www.fratellidisoledad.it |
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