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OASI DI ESSAKANE Il
suo funerale fu una grande festa popolare: durò tre giorni e
richiamò una folla stimata in cinque milioni di persone. Era
la cerimonia di addio a un supereroe dell'Africa postcoloniale. Fela
Anikulapo-Kuti: gran sacerdote dell'afro-beat. Personaggio rilevante
quanto Bob Marley e James Brown nell'iconografia musicale "terzomondista"
del Novecento: sia per l'intrinseco valore artistico delle opere, sia
per l'aura epica che ne inscrive il profilo biografico. Adeguata commemorazione
postuma è un recente album intitolato Red Hot + Riot (Universal),
dove a misurarsi con pagine classiche del suo repertorio - Gentleman,
Tears + Sorrow, Shakara, Zombie, Colonial Mentality
- è
un formidabile cast cosmopolita: divi africani (Manu Dibango, Baaba
Mal, Ray Lema, il figlio Femi Kuti) e stelle soul statunitensi (D'Angelo,
Kelis, Macy Gray), giovani leoni dell'hip hop (Common, Talib Kweli)
e veterani jazz (Archie Shepp), assi del blues (Taj Mahal) ed eroi del
tropicalismo brasiliano (Jorge Ben). Il disco arricchisce la collana
curata dalla Red Hot Organization: associazione che promuove la raccolta
di fondi per la ricerca sull'Aids. Avvertono preliminarmente le note
di copertina: "Nel tempo che ci vuole ad ascoltare questo album,
150 africani contrarranno l'Hiv". Furono le conseguenze di quello
stesso male a uccidere il 2 agosto 1997 Fela Anikulapo-Kuti, due mesi
e mezzo prima che compisse 59 anni. L'Aids
è una tragedia nazionale in Nigeria, il Paese che concentra in
sé miseria e grandezza dell'intero continente. 120 milioni di
abitanti in un colosso agitato da convulsioni croniche. Da quando nel
1960 fu proclamata l'indipendenza non ha avuto mai pace. La guerra civile
seguita al golpe del 1966 sfociò nell'atroce conflitto in Biafra,
costato milioni di morti fra combattimenti e stenti. E poi, di lì
in avanti, un'alternanza nevrotica di brevi parentesi "democratiche"
e violenti rigurgiti autoritari innescati da una casta militare storicamente
collusa con le multinazionali interessate allo sfruttamento delle materie
prime. Cuore nero della nazione è Lagos, metropoli in cui il
contrasto fra le architetture avveniristiche dei quartieri centrali
e le formicolanti bidonville delle periferie sembra avverare gli incubi
fantascientifici di Philip Dick. A rendere aggrovigliato il caso nigeriano
concorre senz'altro la complessa identità antropologica della
popolazione. Sono infatti circa 400 le etnie che la compongono, sommariamente
raggruppabili intorno ai tre ceppi fondamentali: gli haussa a nord,
gli ibo a est e gli yoruba a ovest. Ognuno portatore di usi, costumi
e idiomi propri. Non fa eccezione la musica. Filoni dominanti nella
storia recente del folklore locale sono stati il juju e il fuji, ambedue
di radice yoruba, mentre l'highlife importato dal vicino Ghana attecchì
originariamente in territorio ibo. A sparigliare le convenzioni fu proprio
Fela Kuti.
Spina nel fianco del potere militare, Fela Kuti non era per niente affatto disposto a bearsi del crescente successo fingendo che tutto andasse per il meglio. Abile a sfruttare la popolarità di cui godeva per alzare il tono delle accuse contro la spirale di corruzione e repressione in cui il Paese si stava avvitando. Cresciuto anticolonialista, divenuto panafricano, era stato folgorato poi dall'incontro con il pensiero rivoluzionario delle Black Panthers in occasione della prima tournée americana, nel 1969. Rientrato in patria, provò ad applicare quei precetti: istintivo miscuglio di tradizionalismo afrocentrico, terzomondismo rivoluzionario e anticapitalismo anarchico. Bersaglio delle invettive divennero militari al potere e multinazionali che li sostenevano indirettamente. Né si lasciò intimorire dalla feroce reazione del governo, traendone piuttosto energie e motivazioni nuove, al punto di organizzare nel 1983 un proprio partito - Movement Of the People, M.O.P. - con l'intenzione di presentarsi l'anno dopo candidato alle elezioni. Ma i militari giocarono d'anticipo e ne ordinarono l'arresto per reati tributari: era tornato in patria portando con sé mille dollari americani, senza denunciarli in dogana. Condannato a cinque anni ne scontò uno e mezzo nel famigerato carcere di Kiri Kiri, fino a quando cioè l'ennesimo colpo di Stato rovesciò un regime per instaurarne un altro. Il giorno della sua liberazione, tutta Lagos fece festa. Non fu però l'ultima volta dietro le sbarre: ancora nel 1994, quando già era malato, venne incarcerato come responsabile della morte di un elettricista del suo staff. Un pretesto come quasi sempre nelle circa 200 volte in cui fu arrestato (una volta anche in Italia durante una tournée), spesso per detenzione e consumo di igbo, l'erba nigeriana - quella che secondo lui "il Dio d'Africa ha creato per illuminare le persone". A
ripercorrerne le rocambolesche vicende umane, si corre il rischio di
sottovalutare le qualità artistiche del personaggio. La musica,
allora. Spedito ventenne a Londra dai genitori, che sognavano per lui
una carriera da avvocato, Fela Kuti decise di fare di testa sua e si
iscrisse alla Trinity School of Music, pagando gli studi con lavoretti
occasionali alle poste. Dopo quattro anni di corso, si diplomò
in tromba - strumento a cui si era dedicato per emulare Miles Davis
- e composizione, ma soprattutto mise a frutto la gavetta fatta con
il suo primo gruppo - Koola Lobitos - nel sottobosco londinese, in club
quali il Marquee o il Birdland. Suonavano un miscuglio di highlife nigeriano,
jazz e ritmi afrocubani, impressionando gente come Ginger Baker e Jack
Bruce, allora nella Graham Bond Organization e poi nei Cream. A Lagos
tornò verso metà anni Sessanta, insieme alla prima moglie
Remy Taylor, sposata a Londra nel 1962. La dialettica fra quanto appreso
all'estero e ciò che viceversa trovò in patria, ossia
l'evoluzione delle musiche tradizionali attivata dagli influssi afroamericani,
in senso stilistico (jazz e rhythm'n' blues) e tecnico (l'elettrificazione
degli strumenti), cominciò a dar forma compiuta alla sua identità
artistica.
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