INTERVISTA A JOE STRUMMER - Rock Against The Rich - Tour 1988
(Intervista realizzata da Rockerilla circa 3 anni dopo il disastroso tentativo di riformare i Clash nel 1985 con l'uscita di "Cut the Crap")
Introduzione:

Joe "Non mi piace l'opera. Una volta lavoravo al Teatro dell'Opera di Londra, facevo le pulizie di giorno e potevo sentire i cantanti che provavano. Tutti i giorni ero costretto a sentirli, e così ho finito col detestare l'opera". Joe Strummer sta cercando di aprire la porta della sua stanza d'albergo a Birmingham. In una mano ha una bottiglia di brandy di marca, "è lo stesso che beve Pavarotti", dice con aria divertita.
Strummer e la sua nuova band la Latino Rockabilly War, hanno da poco terminato il loro concerto alla Powerhouse di Birmingham, quindicesima tappa del Rock Against The Rich Tour, e ora vorrebbero far festa, hanno già tutto l'occorrente, dalle birre allo stereo. Joe non ha più molta voglia di interviste, anche se poi la sua loquacità ed il carattere disponibile lo fanno capitolare. Il fatto è che negli ultimi mesi ha rilasciato una marea di interviste ed ora è comprensibilmente stanco di fornire sempre le stesse risposte, Ma come si fa, dopo il silenzio di questi anni un ritorno così bello ed entusiasmante non può mancare di incuriosire. Strummer era il volto e la voce di quella che forse è stata la più importante rock'n'roll band della seconda metà degli anni 70.
I Clash sono stati l'ultima incarnazione eroica e romantica del mito del rocker ribelle , e se Mick Jones era il musicista esploratore con lo sguardo mobile aperto ad ogni contaminazione ed ogni novità, Strummer impersonificava lo spirito , l'anima politica del gruppo, il condottiero istrionico ma sincero, convinto che la musica potesse cambiare il mondo. Attento allo "stile" pensate alla foto in bianco e nero di Pennie Smith, quanto bastava per diventare un simbolo di una generazione, quella punk, che disprezzava i simboli.
Quel che segue dopo l'orrendo Cut The Crap è l'isolamento di Strummer. Una sorta di buco nero esistenziale per riflettere, una riflessione certo difficile, tante amarezze, tanti rimpianti, ed i fantasmi del passato si sa, sono brutte bestie, ma quando Strummer riappare in pubblico la prima fortissima impressione è quella di un uomo che si è lasciato alle spalle l'adolescenza, e con onestà dice di se stesso : "I'm a terminal rock'n'roll romantic", ma aggiunge anche "non voglio pretendere di essere ancora un rocker", e se vi sembra che ci sia una contraddizione in tutto ciò, ebbene, la novità è l'aver preso coscienza delle proprie contraddizioni ed aver imparato a conviverci. "Ora voglio scrivere canzoni più semplici e personali che parlano della condizione umana, forse rivelando anche qualcosa di me stesso, perché il meno che puoi fare per chi paga per i tuoi rozzi sforzi è strappare un pezzo della tua anima e gettarglielo".
Così lentamente Strummer riprende il cammino. Scrive "Love Kills" per la colonna sonora di Sid & Nancy di Alex Cox, che lo rende anche attore nel suo sgangherato western "Straight to Hell" dove compaiono anche i Pogues, i magnifici Pogues di Shane Mc Gowan, amico di Strummer sin dal 76. Le loro strade continueranno ad intrecciarsi quando Strummer si unisce ai Pogues in occasione di alcuni concerti in Irlanda e Stati Uniti e poi ancora in Nicaragua, sul set di "The Walker", dove Strummer è ancora attore e firma anche la colonna sonora del film, un piccolo capolavoro acustico di folklore latino, chitarre messicane, percussioni e trombe, dolci ballate ed il vecchio amore per Morricone che rispunta fra le pieghe.

Anche il vecchio rancore con Mick Jones è morto e sepolto, tanto che Strummer nel frattempo scrive parte dei testi e coproduce il secondo album dei B.A.D., N°.10 Upping Street.
Il 1988 per Strummer è l'anno della Latino Rockabilly War, la sua nuova band tutta americana, formata durante un soggiorno in California per registrare una nuova colonna sonora, Permanent Record, in cui compaiono anche Lou Reed, gli Stranglers, i BoDeans, i Godfathers. Della band fanno parte : Zander Schloss, chitarrista, ex Circe Jerks, il bassista Jim Donica, il batterista Willie Mac Neil, ex Untouchables, il tastierista Joe Altruda ed i due percussionisti latino americani Poncho Sanchez e Ramon Banda. Insieme, in Inghilterra, fanno qualche apparizione per Amnesty International e Green Wedge, infine si imbarcano in questo tour, Rock Against The Rich, che ha attraversato , fra luglio ed agosto, le contrade del Regno Unito in lungo e in largo, da Brighton a Edimburgo; passando per Birmingham, dove lo abbiamo incontrato il 2 Agosto.
Birmingham è la grigia provincia industriale inglese, la black country dove tutto è fabbrica e quando non è fabbrica è un centro commerciale all'americana , grattacieli e shopping, consumismo per rendere accettabile il vivere. Anche questo però sembra essere diventato un lusso sotto il terzo governo Thatcher, dove la privatizzazione dei servizi, la crescente disoccupazione, il progressivo smantellamento del Welfare State non fanno che aumentare il divario fra ricchi e poveri nel paese.

Nessuno stupore allora che qualcuno torni a parlare in termini conflittuali di "guerra di classe", come fa appunto Class War, l'organizzazione che ha promosso il tour Rock Against The Rich. Class War è molto chiara circa le proprie aspirazioni: "vogliamo sviluppare la coscienza della gente riguardo il modo in cui la classe dirigente ci tiene divisi", scrivono sui loro volantini e sul loro giornale. "La gente deve assumere il controllo della propria comunità. Ogni aspetto della nostra vita quotidiana deve essere messo nelle nostre mani…riprendiamoci i territori, governiamo le nostre fabbriche, realizziamo il nostro potenziale di individui e membri della comunità, per costruire un mondo il cui scopo sia godersi la vita e non solo sopportarla".
Class war punta l'indice contro gli yuppies, colpevoli di speculare nelle aree povere cacciando gli abitanti in aree ancora più misere, e promuove azioni di protesta e sabotaggio come spaccare i vetri alle Mercedes e prendere a mattonate le Porche. Sono favorevoli all'uso della violenza ma non in termini terroristici, solo a livello di rivolte comunitarie, e sostengono molte cause di sciopero dei lavoratori. Rispetto al vuoto creato dal Labour Party, Class War ha il merito di agitare almeno un po' le acque, ma la loro forma non organizzata sfiora l'anarchia, rifiutano ogni stato o partito, anche quelli comunisti, e certe posizioni sono un po' schematiche.
Il logo piratesco di R.A.R., un teschio in un tondo nero, fa bella mostra di sé sul banchetto con le magliette ed i poster alla Powerhouse. C'è molta gente, e, dopo il reggae degli One Style, ecco salire sul palco Joe Strummer con la sua L.R.W.. Il tuffo al cuore al cuore è inevitabile. E' poco che sono insieme eppure sono affiatati e macinano i pezzi come li facessero da una vita.
Strummer è in piena forma, sempre lo stesso generosissimo interprete che grida nel microfono con tutta la sua anima e lo struggimento da i brividi quando attacca le note di Armagideon Time, il reggae della notte del giudizio universale, e poi ancora tante canzoni dei Clash: Somebody Got Murdered, I Fought The Law, Straight To Hell, Spanish Bombs, Police on my Back, Garageland, Brand New Cadillac, This is England e Trash City, un paio di pezzi da Walzer e le cover di Oye Come Va, Love of The Common People e If I Should Fall from Grace With God, omaggio agli amici Pogues, per terminare gloriosamente con London Calling. Non erano i Clash, ma per un attimo è sembrato vero.

Intervista :

R: Che effetto fa tornare a suonare dal vivo dopo tanto tempo?
Joe : Una paura tremenda! Quando mancavano sei settimane all'inizio del tour andava ancora bene, ma più la scadenza si avvicinava e più la preoccupazione saliva; quando non restavano che due settimane,dio, ero sempre più teso. Poi è arrivato il gruppo ed avevamo solo quattro giorni per prepararci, quattro giorni, e non avevamo mai suonato insieme dal vivo, solo in studio!"
R: Buona parte dei pezzi che avete fatto in concerto sono dei Clash; è una scelta forse dovuta al fatto che questo è ciò che la gente vorrebbe da te?
Joe : Vedi, questo tour tocca tutti quei posti che io definisco "centri morti del mondo", dove il pubblico è in maggioranza hardcore, di conseguenza sono i più critici nei miei confronti, e questo fatto costituiva una preoccupazione in più per me. Voglio dire che se avessimo dovuto fare un tour in Svezia, non me ne sarei preoccupato tanto perché, insomma, non sai dove ti trovi, sei in un posto che non conosci e quindi è tutto ok, ma, in un certo senso per me suonare di fronte a questo pubblico inglese di hardcore punks è stato quasi un battesimo di fuoco. Ed anche per i ragazzi del gruppo non è stato facile, non sapevano ciò che sarebbe potuto succedere, avremmo anche potuto beccarci bottigliate dal pubblico, io me lo aspettavo. E poi, cercare di fare qualcosa di nuovo dopo i Clash, dopo qualcosa che è stato così intenso, ed ha avuto tanto successo, è quasi impossibile. Jimi Hendrix prima di morire aveva tentato di suonare della musica nuova dal vivo perché si era rotto di fare sempre Purple Haze oppure Hey Joe, ma il pubblico gli gridava ogni volta i titoli di quei pezzi, ovviamente erano quelle canzoni che loro volevano, e questo è il motivo per cui ho deciso di mettere in scaletta una consistente porzione di brani dei Clash, perché in fondo sono roba forte da suonare e non avrebbe avuto senso pretendere che i Clash non fossero mai esistiti.

R: Joe quanti anni hai?
Joe : Trentacinque.
R: Sono più di dieci anni che sei sulla scena, c'è un pubblico che è cresciuto con te ed altri che ti scoprono ora. Che differenze trovi fra loro?
Joe : In Inghilterra abbiamo un detto "a caval donato non si guarda in bocca". Mi è capitato tante volte di fare concerti con una sola persona che guardava, oppure due persone, o cinque. Davvero, ho fatto dei concerti con un'unica persona in sala, allora, quando ci sei passato attraverso l'esperienza di non avere più nessun pubblico, nessuno che ti segua, a quel punto sei semplicemente grato di avere nuovamente un pubblico e non guardi chi sono, cosa fanno, perché per me una sala vuota è una sala vuota ed una sala piena è una sala piena, e questo mi basta.
R : Tornando ancora ai tempi dei Clash, pensi sempre come hai affermato una volta che Rude Boy non fosse un film realistico?
Joe : Si, lo penso ancora . Il fatto è che avevamo dato al regista mano libera, non ci siamo impicciati, non siamo andati a chiedergli cosa stesse facendo. Lo abbiamo accettato come un collega artista, che aveva realizzato un film su David Hockey, intitolato Bigger Splash, e ci aveva contattato dicendo che gli sarebbe piaciuto fare un film su di noi, e gli rispondemmo, va bene, giralo, però non ci stare fra i piedi, non ci intralciare perché dobbiamo fare il tour. E non abbiamo mai saputo cosa stesse facendo finchè non abbiamo visto la copia grezza del film già montato, in cui lui mostrava la gente di colore che rubava e si faceva; ma per noi non era quello il punto, il punto era caso mai la SUS Law, lo "stop on suspicion", una legge che permetteva di fermare qualunque persona di colore mentre camminava per strada, anche il più regolare padre di famiglia nero che non ha mai rubato nulla, e invece lui mostrava questa gente di colore che rubava…
R : Però il film dava un'immagine realistica della componente bianca del vostro pubblico, del ribellismo che non è sostenuto da nessuna tradizione politica alle spalle.
Joe : E' vero, questa realtà il film la puntualizzava bene perché effettivamente in Inghilterra la voglia di lottare ce l'abbiamo ma non si riesce mai a darle una forma organizzata per poter ottenere qualche cosa, è un po' come lottare senza una ragione precisa, si sprecano tante energie.
R : Ti ricordi però quella maglietta con la scritta Brigate Rosse che indossavi nel film, sapevi allora chi erano le BR?
Joe: Certo che sì ! La scorsa settimana ho visto un gruppo chiamato Wonder Stuff ed il bassista aveva indosso una di quelle magliette. Le BR, si, certo che sapevo chi fossero, ma il gesto di portare quella t-shirt aveva il valore di un atto di guerra adolescenziale, giovanile esuberanza, se ti piace definirla così, come dire, era "rebel chic"; come i Public Enemy adesso, la stessa pericolosa linea . I discorsi di riallacciamento alla tradizione delle Pantere Nere hanno un senso quando riconosci in qualcun altro qualcosa di te stesso, ma secondo me nei Public Enemy non c'è alcun riconoscersi, c'è solo il perdersi in questo "rebel-chic" con tutto il loro atteggiarsi sul palco, le armi in mano, l'abbigliamento paramilitare, combat chic, sono storie che ho passato e so quanto siano pericolose. L'immagine dei Public Enemy è fotogenica, intervistabile, un trucco molto conveniente e poi c'è così tanto machismo in loro, ed il machismo non ti porta da nessuna parte. Spike Lee mi ha detto una volta che i neri prima di essere neri sono delle persone, e per me quella frase ha avuto l'effetto di una rivelazione. Guardando i suoi film ho capito all'improvviso come ciò fosse vero. I Public Enemy non fanno che rivendicare lo Stato Nero ed il separatismo, il che certamente li rende adatti ad essere venduti perché sono così radicali e tutti amano la loro radicalità, i giornalisti pensano "oh, si, davvero radicali, davvero neri", ma a me la cosa puzza un po' perché le persone di colore vogliono per prima cosa essere considerate in quanto persone, vogliono andare avnti ed ottenere un lavoro, una casa, fare i figli, vivere e morire, semplicemente avere una possibilità alla pari con gli altri, e poi fare i conti con l'essere neri. Ma i Public Enemy spingono nella direzione opposta, verso il conflitto ed il separatismo, dopo che per tutti gli anni '60 e '70 abbiamo lottato per l'integrazione, e oltretutto in America c'è molta più integrazione che non qui da noi.

R : Puoi spiegarci i motivi della tua adesione al tour organizzato da Class War ?
Joe : Se mi sono avvicinato a Class War è perché il Partito Laburista oggi è diventato così inutile, non c'è visione, non c'è un leader che si alzi e dica "potremmo ottenere queste cose", nessuno che parli di ciò che vogliamo. In questo paese abbiamo un 8% della popolazione che gode di tutti i privilegi. Sono l'aristocrazia, quella di cui i francesi si sono sbarazzati, ed anche i russi, e io penso sia necessario che pure noi ce ne sbarazziamo una volta per tutte, perché non l'abbiamo fatto nel 1790 quando ne avemmo l'opportunità, e Cromwell cominciò a farlo, ma poi sono tornati, e adesso è proprio l'ora di sbarazzarsene. Ecco perché in un certo senso mi sono arruolato in Class War, mi piace la loro idea che il cambiamento deve investire l'intera struttura, dalla base in su .
R : Non pensi che a volte la loro visione sia un po' schematica?
Joe : Sarà, ma almeno loro tentano di mettere insieme una sorta di manifesto. E poi, la mia comunità , quella a cui mi rivolgo, è la comunità degli sfatti, sono quelli che stanno dalla mia parte, anche se tutti loro sprecano tanta energia perché non fanno che dare fuori di testa, questo è il loro modo di vivere, e comunque per me questa gente è la comunità che può cambiare, dopo tanti anni di eroina almeno c'è un organizzazione come Class War che cerca di parlarne, il che è un grande passo avanti.
R : Sei anche stato coinvolto in alcuni concerti di Green Wedge, puoi spiegarci di cosa si tratta?
Joe : In Germania c'è questo movimento dei Verdi, molto forte, e Green Wedge sta cercando di riportare anche qui quell'esperienza, perché l'Inghilterra è uno dei paesi più inquinatori d'Europa, vomitiamo merda radioattiva da ogni costa, siamo i peggiori, perciò Green Wedge sta cercando di sollevare la questione anche qui, qui dove a nessuno fotte niente di niente. Abbiamo partecipato ai primi concerti che servivano a raccogliere fondi : tutto è nato quando Tony Allen , che è a capo di Green Wedge, ha saputo che la Latino Rockabilly War band stava arrivando (dall'America) e mi ha proposto di fare qualcosa insieme per la loro causa; ho accettato anche perché avevamo bisogno di uno spettacolo che ci riscaldasse e ci preparasse un po' prima del concerto per Amnesty International, che era proprio il giorno seguente.

R: Quando sei andato in Nicaragua con Alex Cox per girare WalKer, ciò che hai trovato è come te lo eri immaginato?
Joe: A dir la verità non sapevo proprio cosa avrei trovato.Hai presente "Cento anni di solitudine" di Gabriel Garcia Marquez? Bene, quello era ciò che mi aspettavo, sai, quella sensazione di un tempo che si è fermato, e non è stato poi molto diverso, non mi sono mai sentito così lontano, così tagliato fuori dal mondo. Non c'era null'altro da fare che stare seduti all'ombra. In Nicaragua poi ci sono moltissime sedie a dondolo, non ne ho mai viste così tante in vita mia, ogni casa ne aveva circa otto, le mettono davanti alla porta di casa, si siedono e non fanno altro che dondolarsi.Tutti questi vecchi la sera, quando tutto è avvolto nel silenzio, stanno lì a dondolarsi. E le zanzare che c'erano, incredibile !
R : Come è andato il disco di Walker, ha venduto bene?
Joe: No, ha venduto molto poco, anche perché il film non è ancora uscito. Immaginati, cercare di vendere la colonna sonora di un film che nessuno ha visto! Il fatto è che quel film non interessa i distributori. Qui in Inghilterra tutta la distribuzione è in mano a due grosse case che controllano tutto, e non c'è molto spazio per la produzione indipendente o per i film non commerciali.
R : Scrivere colonne sonore però ti piace, visto che hai fatto anche quella di Permanent Record.
Joe: Quello è un aktro film che non uscirà mai! Grande! Ho un vero talento, scrivo colonne sonore per film che non vengono mai distribuiti.
R: Le due colonne sonore sono molto diverse fra loro ; Walker è più etnica, Permanent Record fa pensare ai Clash.
Joe: Il motivo è che Walker si svolge fra il 1852 ed il 1866 e non volevo che nella musica vi fosse qualcosa che stridesse con quel contesto. Mi interessava pensare al pubblico che si siede, le luci che si spengono, ed ecco che partiamo per un viaggio attraverso il tempo e lo spazio, indietro di 137 anni; perciò non ho voluto usare nulla in Walker che fosse troppo moderno, nemmeno una batteria. Rispetto a Permanent Record, il film è buono ma troppo triste e commovente, volevo qualcosa che lo vivacizzasse un po' e così quando ci siamo incontrati io e la Latino Rockabilly War Band alla Baby O' di Hollywood abbiamo deciso di registrare della roba abbastanza energica ed abbiamo suonato molto, alla fine c'erano ben 14 pezzi. Il film tratta dei suicidi degli adolescenti, un argomento molto forte in America dopo l'episodio di qualche anno fa, quando quattro teenagers si suicidarono tutti insieme chiusi in una macchina in un garage; fu un grande shock. Nel film il ragazzo che si suicida è il più bello e più fico della scuola, e non il classico ragazzo miserabile e disgraziato, perciò tutti i suoi amici cercano di capire cosa lo abbia potuto spingere a quella decisione, ed il film è concentrato soprattutto su di loro.

R: Come mai non hai preso parte al'ultimo disco dei Big Audio Dinamite.Era solo una collaborazione estemporanea quella a N.10 Upping Street ?
Joe: E' meglio per me tenermi il più distante possibile dai B.A.D., se non altro per il loro bene. Quando stavano lavorando al loro secondo album Mick mi disse "senti dobbiamo farlo in fretta , perché non ci scrivi qualche testo e non mi aiuti a produrlo?" e io ho accettato, è stato un bene perché in un certo senso è servito a guarire le vecchie ferite, ma ora preferisco tenermi alla larga, perché ormai hanno il proprio giro, ed è meglio così.
R: Raccontaci invece della tua amicizia con i Pogues.
Joe: Ho imparato molto dai Pogues. Loro hanno questa sorta di uguaglianza all'interno della band, è molto sottile ma c'è, infatti nessuno dei Pogues potrebbe diventare una grossa popstar a scapito degli altri, perché gli altri salterebbero subito su a dirgli "hey cosa stai facendo?". Suonare con i Pogues mi ha dato la spinta a tornare su di un palco, perché ero molto indeciso, non sapevo se farlo, pensavo che sarei potuto andare avanti per sempre lavorando alle colonne sonore, tenendomi in secondo piano. Ma suonare con i Pogues mi ha fatto capire che quella per me era la cosa più importante ,la cosa numero uno, parlare col tuo pubblico, instaurare un dialogo, scrivere i dischi pensando a quella gente ed a ciò che vuoi dire loro.
R: In tutti questi anni silenzio sei anche diventato padre.
Joe: Sì, ho due figlie, una di due anni ed una di quattro. Sai che Paul Weller sta per diventare padre anche lui? L'ultima volta che l'ho incontrato, a Copenaghen, mi disse che voleva vasectomizzarsi ed io gli risposi "tu vuoi essere per sempre un adolescente, Paul, vuoi essere Peter Pan, e poi gli parlai tutto orgoglioso delle mie bambine ! No, non sono un buon leader per loro, Gabrielle, la madre, lei si che è brava a non viziarle, mi bilancia. Se loro mi chiedono un gelato io dico ok, ma lei dice subito "no!" e la sua parola è legge. E' lei la leader, io in realtà non sono che il suo terzo bambino!".